domenica 7 novembre 2021

Il signor diavolo – Pupi Avati

un film d'altri tempi, ed è un complimento.

nella provincia profonda, appare, sembra, il diavolo.

e le cose non sono come sembrano, altrimenti sarebbe troppo facile, no?

una storia piccola, di bambini, e di diavoli con panni di bambini, pare, ma meglio dubitare.

tensione e colpi di scena, come si deve.

buona (diabolica) visione - Ismaele



 

QUI il film completo, su Raiplay

 

 

 

La messa in scena di Avati è perfetta, con il suo inconfondibile stile visuale a dare eleganza e raffinatezza alle immagini. Il mistero è fitto e più si procede nel film più si creano risolti sinistri. Il titolo - che pure, come si apprende dalla visione, ha una spiegazione molto azzeccata - potrebbe far pensare a qualcosa di diverso, più leggero, ma questo è un horror di grande cupezza che non si risparmia per andare in fondo alla sua tematica gettando uno sguardo filosofico e pessimista sulla natura umana e sul suo rapporto con il trascendente.

Senza bisogno di ricorrere a particolari effetti raccapriccianti e mantenendo ferma la propria cifra autoriale inconfondibile che lo rende unico nel panorama anche horror, Avati racconta una storia che avvince, interessa, sorprende e alla fine lascia un salutare senso di disagio…

da qui

 

Il comparto degli effetti speciali è stato affidato ad un gigante del settore come Sergio Stivaletti e la scelta ha dato i suoi frutti.

La loro realizzazione è di così ottima fattura da lasciare sgomenti gli spettatori. In un’epoca in cui la CGI la fa da padrona vedere dei prodotti “fatti a mano” da sapienti artisti riscalda il cuore di tutti gli appassionati del genere. Proprio in quest’ottica è necessario sottolineare come Il Signor Diavolo non sia stato risparmiato dalla tecnologia: l’utilizzo in un paio di circostanze di effetti chiaramente realizzati al computer stona con l’intera atmosfera e fa storcere il naso allo spettatore più attento ed esigente. Il cast in stato di grazia riesce a trasmettere con efficacia al pubblico quel senso di omertà mista a paura provato dai protagonisti; questi indipendentemente dal numero di battute a disposizione, riescono a raccontare molto di più grazie al loro agire e al loro vestiario. Una narrazione che quindi non si esaurisce alla semplice messa in scena…

da qui

 

E' un'opera dall'anima profondamente retrò, al tempo stesso un ritorno ad un nostro cinema che fu ma anche, più intimamente, una specie di auto-citazione e affermazione di Avati, di quello che era.

Un horror di provincia, di credenze, di maledizioni, di gente povera dai pensieri semplici quanto radicati, un genere affrontato da Pupi più e più volte.

Trovo quasi commovente che un regista così "anziano" negli anni non sia quasi mai uscito da questo suo provincialismo, da questo suo attaccamento alle radici e al racconto di tradizioni e piccole storie…

da qui


 

Il diavolo è vivo, e lotta insieme a noi. Almeno questo è ciò che appare ai nostri occhi ovunque ci giriamo. Dai festival della musica italiana in cui istrioniche presentatrici vengono accusate di inneggiare a Satana ai corsi su “esorcismo e preghiera di liberazione” apparsi sul portale del MIUR e prontamente ritirati, quasi ogni giorno rimbombano nelle nostre orecchie macabri rintocchi di campane ossidate dal tempo, a ricordarci che, come citava Baudelaire, “la più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste”. Ne sa qualcosa Pupi Avati, l’ottantunenne regista bolognese che apre le porte nientemeno che a Satana nel suo quarantesimo lungometraggio. Trasferendo idealmente poco più a sud la provincia in cui è ambientato il film, Il signor Diavolo rappresenterebbe, geograficamente e narrativamente, il crocevia ideale tra le due ville diroccate che fanno da sfondo alle vicende narrate negli altri due capolavori horror rurali di Pupi Avati, La casa dalle finestre che ridono L’arcano incantatore

da qui

 

 

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