domenica 21 novembre 2021

IL SOL DELL'AVVENIRE - Gianfranco Pannone

il film ricorda, con chi c'era, la nascita di un gruppo politico di Reggio Emilia che poi, con il gruppo di Renato Curcio, fondò le BR.

il film è importante perché permette di capire come mai a Reggio Emilia qualcuno decise di prendere le armi, spiegando una certa continuità, pensavano, con la Resistenza.

e la musica degli Offlaga Disco Pax è perfetta per il film.

davvero molto interessante.

buona visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo

 

 

 

Ha per base il libro Che cosa sono le BR (2005) di Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini. Reggio Emilia, 1969. 30 giovani militanti del PCI, in dissenso con la dirigenza accusata di aver tradito gli ideali della Resistenza, formano, con i coetanei anarchici, l'"Appartamento", una comune in cui si sogna di dare inizio alla rivoluzione e dalla quale, attraverso Sinistra Proletaria, uscirà una delle colonne delle future Brigate Rosse. Nell'autunno 2007, 5 dei "ragazzi del 1969" - 3 ex brigatisti, reduci da molti anni di carcere, e 2 (Rozzi e Viappiani) che non aderirono alle BR - si ritrovano in un ristorante delle colline a parlare e discutere le scelte di 40 anni prima. In questo viaggio nella memoria intervengono Corghi, esponente del cattolicesimo del dissenso (il più lucido a livello storico-analitico) e il simpatico Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei 7 fratelli comunisti uccisi dai nazifascisti nel '43. È il 1° film italiano sul tema scabroso delle radici ideologiche del terrorismo - o lotta armata - degli anni '70. Si chiude con le immagini di Aldo Moro e del suo assassinio (16-3-1978) che ne segnò l'inizio della fine. C'è onestà nel napoletano Pannone, nel suo tentativo di essere obiettivo e imparziale.

da qui

 

Ma i punti di forza di questo documentario sono altri. Anzitutto, il restituire l'immagine del brigatista come persona lucida che ha scelto scientemente la propria strada e non come un pazzo in preda a deliri, quale comunemente viene considerato (per restare al mondo del cinema, si leggano alcune interviste rilasciate anche di recente da Marco Bellocchio). Ma più che l'individuo conta il contesto: la lotta armata, così come gli eccidi del triangolo della morte, appaiono qui come la reazione, giusta o sbagliata che fosse, al fascismo guerrafondaio e al tradimento dei valori della resistenza (c'è anche un'intervista al figlio di uno dei fratelli Cervi, a rievocare quell'epoca).

Niente di particolarmente nuovo, ma un salutare ritorno alla Storia e alla sua (possibile) logica a fronte di alcune derive odierne, come le spiegazioni che riconducono a una presunta irrazionalità dei militanti cui si è già accennato. Come la volontà di rimozione del passato: il nicchiare imbarazzato di fronte alla richiesta di collaborare al documentario da parte delle autorità cittadine, che evidentemente preferirebbero depennare L'appartamento dalla storia di Reggio Emilia, è in questo senso emblematico. Infine, come le teorie complottistiche che dilagano tra la sinistra, impedendole di fare i conti con un'esperienza nata nel proprio grembo (uno dei protagonisti attualmente simpatizza per il PD).

Il tutto è mostrato senza il facile espediente del narratore; in generale, l'intervento del regista è davvero ridotto ai minimi termini. Anche le didascalie, in sostanza, hanno l'unica funzione di affiancare e sottolineare i toccanti versi de I morti di Reggio Emilia, filo conduttore del racconto, spesso a sottolinearne, a mo' di ballata funebre, i capitoli più drammatici. Gli interventi ironici degli Offlaga Disco Pax, che inizialmente sembrano fuori luogo, ne divengono invece un'efficace contrappunto: nel complesso, il film funziona anche da un lato meramente cinematografico. Piaccia o no a Sandro Bondi e a chiunque intenda montare ulteriori polemiche.

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…Quarant'anni dopo questi uomini si rivedono nella medesima trattoria, c'è una certa commozione fra di loro ed il luogo favorisce il riemergere dei ricordi di lotte combattute, di partecipazione alle manifestazioni, i cori scanditi. La telecamera di Pannone è quasi invisibile. Apparentemente può dare un'impressione stridente il clima di convivialità riguardo al tema trattato del film, ma permette ai protagonisti di parlare a ruota libera, di aprirsi con sincerità, senza tuttavia dare al documentario un tono né consolatorio, né tantomeno giustificativo delle loro gesta come saranno di lì a poco. Lo scopo di questo documentario non è riaprire delle ferite, perché in fondo tali ferite non sono mai state chiuse, bensì più semplicemente parlare e discutere di un argomento che si vuole rimuovere e dimenticare a tutti i costi. Se c'è una cosa a cui questo film da un certo punto vista va contro, questa è proprio la rimozione della memoria. I cinque sono gli unici che hanno accettato di far parte di questo progetto. Altri sono stati interpellati, ma hanno declinato per svariati motivi: alcuni per opportunità in quanto dirigenti di partito, altri non vogliono far riemergere qualcosa di morto e sepolto, altri ancora addirittura "non ricordano" affatto il periodo dell'Appartamento.
In fondo sono partiti come dei partigiani a combattere una guerra. Una guerra che, sotto la stella a cinque punte, hanno combattuto e perso. Rimane il ricordo doloroso dei morti. Alla fine del documentario c'è il momento più toccante del film: il ricordo della morte di un pentito all'interno del carcere di Torino. Dopo le torture subite dai carcerieri nella cella di punizione aveva iniziato a parlare, ma malgrado le torture subite, fu strangolato da alcuni brigatisti per impedirgli di continuare ("Fate in fretta" furono le sue ultime parole). Paroli lo ricorda con la voce rotta dal pianto ("L'hanno strangolato! Cosa fai se ti torturano?"). L'avanguardia armata era rimasta sola. L'attacco al cuore dello Stato le si è ritorto contro. L'iniziale allegria del pranzo ha lasciato il posto al dolore più profondo, al silenzio pesante come un macigno…

da qui

 

…Con un riduzionismo semplificatorio che taglia la storia con l’accetta, Fasanella intende dimostrare che le Br sono uno scheletro negli armadi del Pci e quindi dei suoi epigoni. Figlie di quel «triangolo rosso» emiliano, teatro nell’immediato dopoguerra di vendette partigiane contro i fascisti e i nemici di classe. Una sorta di residuo stalinista intriso di nostalgie resistenziali. Per arrivare a ciò viene azzerata la componente di fabbrica legata all’esperienza milanese e quella dell’università trentina. Ma qui non c’è lo spazio per approfondire. Ciò che conta è l’intenzione di Fasanella: portare l’affondo contro la tradizione comunista rappresentando gli anni 70 come l’ultimo capitolo del libro nero del comunismo. La destra avrebbe dovuto gioire per questo regalo inaspettato, invece per voce del ministro Biondi, sollecitato dall’ex presidente dell’associazione delle vittime del terrorismo Giovanni Berardi, improvvisatosi critico cinematografico, ha sferrato un durissimo attacco al film. Fasanella che negli ultimi anni ha promosso un grosso lavoro editoriale in favore di una parte dei familiari delle vittime di quel decennio, si è visto messo sotto accusa quasi fosse un apologeta della lotta armata. Furioso ha risposto: «Le vittime non hanno sempre e comunque ragione, alcuni di questa condizione hanno fatto un mestiere». Quando si è cagion del proprio mal non resta che piangere se stessi.

da qui

 

https://www.sceneggiatureitaliane.it/ilsoledellavvenire_sceneggiatura/

 

 

 

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