Hadewijch era una poetessa mistica fiamminga (fine sec. 12º - inizio 13º); visse, sembra, in uno di quei gruppi di feminae religiosae che hanno preceduto i veri e proprî beghinaggi. Negli scritti in prosa e in versi (Strophische Gedichten; Visionen; Brieven; le Rijmgedichten a lei attribuite sono di almeno una generazione più tarde), H. mostra una fine cultura, nutrita di spiritualità agostiniana e cisterciense e una intensa e pura esperienza mistica sentita come ascesa verso Cristo fino alla completa assimilazione a lui, in esaltazione e slancio verso l'amore (Minne) divino. (da qui)
Hadewijch è il nome che Celine prende quando diventa suora, ma la madre superiore la manda nel mondo, per diminuire il suo misticismo.
ma Celine, di famiglia ricca, indifferenti l'una all'altra reciprocamente, Celine-Hadewijch continua la ricerca e l'aspirazione per Cristo, indifferente a quello che succede, lei è fissata.
e quando incontra dei musulmani che hanno uno sterminato amore per il loro dio ne resta affascinata, seguendo quello che succede passivamente, purché abbia un'aura mistica.
e quando uno sfigato la salva da una morte certa forse capisce che la realtà non è solo Cristo.
un film senza teoremi, quello di Bruno Dumont, che racconta storie, emozioni, sentimenti, pensieri, anche ruvidi, ma non puoi non affezionarti a Hadewijch, una ragazza sempre alla ricerca.
buona (sofferta) visione - Ismaele
…Non credo che Hadewijch sia un film che parla di religione in
senso stretto: già il fatto che parla di cristianesimo e islamismo praticamente
ponendosi alla stessa distanza è testimonianza dell'approccio senza
preconcetti di Dumont. Sembra in realtà interessargli altro. Enuncia tesi
che possono essere condivise o meno, affermate in entrambe le religioni:
sta allo spettatore con la propria sensibilità elaborare le questioni che il
regista pone.
A mio parere il film è
incentrato su Celine e sul suo bisogno di dare amore e probabilmente di
riceverne senza intermediazioni di sorta, le stesse magari che tra lei e la sua
unione con Cristo frappone il convento con i suoi rituali millenari. Lei non
rifiuta il contatto con Yassine ma mette subito in chiaro che lei il suo amore
lo darà solo a Cristo e non a un uomo concreto. Perchè Cristo è invisibile ma
presente in tutte le cose e questo a lei basta. Yassine pur non capendo si deve
adeguare e si accontenta di un amicizia sui generis.
Dal punto di vista
cinematografico il film di Dumont ha un rigore stilistico ispirato all'opera di
Bresson. La cinepresa si muove pochissimo, il pianosequenza si dilata fin quasi
all'insostenibilità (vedi il concerto nel parco) talvolta rinunciando all'ossigenazione
data dall'alternanza campo/controcampo. La fotografia è nitida, luminosa
,Celine risalta per il suo pallore, o forse dovrei considerarlo candore, visto
il carattere trascendente del personaggio.E credo che la sottolineatura di
questo candore sia assolutamente voluta da Dumont richiamando le scelte di
Dreyer in La passione di Giovanna D'Arco.
La protagonista è
un'attrice non professionista che si dimostra di bravura superlativa.
Altro accostamento stilistico che mi viene da fare,soprattutto per la parte del
film che è dedicata alla descrizione dell'amicizia tra Celine e Yassine in un
contesto urbanistico che alterna gli ariosi viali lungo la Senna a quartieri
ultrapopolari in cui domina il degrado, è con il cinema dei Dardenne che per il
resto non c'entra assolutamente nulla visto il privilegiare delle tematiche
sociali da parte dei cineasti belgi.
Dumont parla d'altro e
sceglie una protagonista che invece di dare risposte continua a far porre
domande: personaggio concreto o spirito?
https://bradipofilms.blogspot.com/2012/03/hadewijch-2009.html
Il cinema è un vero e proprio mistero per il regista filosofo Bruno Dumont: è un mezzo sinestetico capace di avvicinare le immagini più diverse, le sensazioni più lontane; è l’esperienza dell’unità profonda di tutte le cose.
Il cinema è simile alla mistica: lo dice il
quinto lungometraggio di Bruno Dumont, Hadewijch [id.,
2009], un film dolce ed intenso, poetico ed ineffabile. «Filmando o montando le
immagini – ammette Dumont –, vedo nascere cose, talvolta visibili talvolta no,
che disarmano l’intelligenza. Per questo dico che c’è una vicinanza fra il
cinema e la mistica: per il rapporto che entrambi intrattengono con la realtà e
le forme esteriori, per la potenza delle sensazioni che generano»1.
Per la critica italiana più tradizionalista (e
miope), Dumont sarebbe un regista ripetitivo, e girerebbe sempre lo stesso
film. Ebbene, Hadewijch smentisce queste accuse: mancano il
sesso e la violenza brutali che avevano caratterizzato le sue discusse opere
precedenti; ci sono più dialoghi; i colori sono pieni, e le immagini sono state
addirittura ritoccate al digitale prendendo a modello il cinema espressionista
e la bellezza barocca di Narciso nero [Black Narcissus,
1947] di Michael Powell e Emeric Pressburger…
…Hadewijch è origine e ritorno: è
quel luogo ideale da cui ogni essenza parte e torna, luogo dentro e fuori dal
mondo, un aldilà terreno simile a un convento dove pregare Dio (caricatura del
paradiso) o a un carcere in cui espiare la colpa (sotto un giudizio che si
spaccia per divino). Per rompere l’eterno gioco della fine e della rinascita,
la novizia cerca ancora l’annullamento di sé, per fuggire dal corpo e dal
dolore insopportabile di essere di nuovo al mondo. A meno che non sia stata
ingannata da un assurdo fraintendimento: ciò che cerca non è un completamento
della sua mutilazione interiore, quanto la liberazione dal sentimento stesso di
essere mancante, magari anche solo lasciandosi abbracciare da uno sconosciuto
salvatore.
«Ah, sì, non sentire
altro che il cuore nel cuore, con un solo cuore e un solo dolce amore; avere
una fruizione deliziosa dell’amore pieno; e sapere, al di sopra d'ogni dubbio,
che si è integrati nell’unità dell’Amore» (dalle Lettere spirituali di Hadewjich
di Anversa).
Hadewijch è un film che trascende ogni tipo di
intellettualismo analitico. E' un'opera che, come Hors Satan, dovrebbe essere
assorbita con il cuore e con la pancia, non con la mente. Una pellicola
filosoficamente spirituale, che abbraccia il paradosso cosmico della
"natura divina" : ossia la natura come verità ultima, come
manifestazione religiosamente liberatoria ; una sorta di paradosso reale e cristologico.
Cèline, la protagonista, osserva con sofferenza e curiosità ogni tipo di
aspetto sociale e religioso che la circonda, dalle suore ai fondamentalisti
islamici, dai genitori all'amico/pseudo fidanzatino ; ma tutto con
trascendentale distacco, quasi fosse in un'altra dimensione, una dimensione a
cui deve necessariamente dare una forma e un colore ; è alla continua e
ossessiva ricerca di una risposta esistenziale. Cèline è una martire silenziosa
e anticonvenzionale ; è inafferrabile per tutti coloro che sfiorano la sua
vita. L'unico che la libererà e potrà toccarla, sarà l'essere umano
incontaminato, che rappresenta lo scioglimento da ogni vincolo morale e
spirituale, la scarcerazione finale da tutti i dubbi mistici, la risposta
definitiva che oltrepassa il bene e il male.
Hadewijch è un film eccellente e affascinante.
Un'opera misteriosamente conturbante.
Dice Dumont: “La realtà non è il mio obiettivo. Ciò che mi
interessa è la verità dell’uomo”. Una verità che il francese raggiunge
smentendo le attese dello spettatore: rifiutando lo psicologismo in favore
dell’opacità dei corpi, confidando in un cinema che soffermando lo sguardo
sulla superficie delle cose evochi ciò che sta oltre. La realtà è una materia
da plasmare, asciugare. Ridurre all’essenza primitiva, per permettere di
intuire l’inspiegabile. In Hadewijch ogni struttura (la famiglia, l’istituzione
religiosa) non riesce a comprendere la protagonista, il suo desiderio carnale
verso Dio. Un eccesso di volontà che spinge all’annullamento (…) Non c’è
realismo, in Dumont, solo la volontà di mettere in scena un paesaggio mentale.
Perché Hadewijch non è che un sentimento: la restituzione di un umanissimo
bisogno d’amore.
…Guidato magnificamente dalla sua timida
e delicata protagonista, interpretata da Julie Sokolowski, è un film
formalmente austero e minimalista, con una fotografia fredda, pallida ma
luminosa ed un impianto narrativo fugace, le cui elissi conducono lo spettatore
verso un territorio misterioso, verso un'esperienza mistica che si risolve in
un finale epifanico di straordinaria grazia. Il cinema di Bruno
Dumont è prezioso, perché ci solleva al di là della morale, al di là
dell'apparenza delle cose, conducendoci in una dimensione dove il sacro e il
profano entrano in una comunione profonda, generando una nuova visione
delle cose. "Hadewijch" è uno dei suoi film più belli e pregni che
abbia girato fino ad oggi.
«Il finale del
film offre una liberazione. Tutta la tensione che si è accumulata nel corso del
film trova un rilascio in questo abbraccio. È un finale che mi commuove
profondamente quando lo guardo sullo schermo» - Bruno
Dumont
…Hadewijch non è un film
sull’estremismo religioso, non è indagine sociale, e nemmeno è fotografia
storico-politica del reale. In fondo, non è neppure esattamente un film sulla
fede in quanto tale, o sulla religione come sentire o come modus pensandi. Dumont, che nella prima parte
del suo percorso cinematografico pratica un cinema ruvidissimo, incredibilmente
sporco e scarno, indifferente a qualunque tensione narrativa, ama disattendere
e frustrare le aspettative dello spettatore: lo fa nella sostanza del discorso
– sempre rarefatto, evocativo, suggerito, mai dichiarato - e nella
grammatica del linguaggio, ora eludendo un controcampo, ora negando un fuori
campo dove è diretto lo sguardo dell’attore (verso chi, verso cosa?).
L’inessenziale, come sempre, scompare, resta
solo una giovane (non ancora) donna divorata da uno struggimento tormentoso,
soffocante e senza nome. «Mi manca», dirà all’amico Nassir che, fedele a un Dio
che non può farsi immagine né carne, non patisce come
lei l’invisibilità misteriosa del divino, ma legge proprio in essa il senso
della fede…
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