lunedì 27 agosto 2012

Il volto - Ingmar Bergman

premetto che un film di Bergman ti fa guardare, stupire, interrogare, è il Cinema.
anche qui sei prigioniero di una storia che è più di una storia e non ti stacchi fino alla fine.
come non vederlo? - Ismaele

PS: una nota curiosa, Dr. Vergerus sembra Kevin Kline (il contrario, naturalmente) e il capo della polizia sembra Charles Laughton (più brutto di Charles, naturalmente)



The Magician is one of Bergman’s most enigmatic films, perhaps his underground masterpiece, one of the keys to his cinema.
Traveling actors, maids flirting about, a love potion, a happy ending, and diabolical apparitions—Bergman gives himself to the vertigo of quoting himself. Mourning his past, he makes an inventory of his themes in order to proclaim their end, bringing back all his characters, all his actors, who return for a bow. Everything is there, everyone is there, but beneath, abstraction is at work, mystery rumbles, doubt is gnawing at the whole. For in the center of his moving universe, this baroque forest of signs and symbols, we find a figure, the mesmerist Vogler, Bergman’s first major self-portrait…

Con grandissima abilità (sceneggiatura impeccabile) si mostra un modo di essere con tutte le sue ragioni "positive" (anche il "sovrannaturale" viene trattato come se fosse qualcosa di reale ed effettivo – il medico ha le sue ragioni indubitabili e la sua smania irrispettosa di analizzare tutto secondo i suoi principi), per poi mostrare impietosi gli inganni e le debolezze (il sovrannaturale è tutto una montatura ma anche il medico ci fa una brutta figura, cadendo come un pivello nelle "illusioni").
L'idea che ne viene fuori è di un mondo imperfetto in cui tutto può essere vero come può essere falso, dove c'è un'immagine esteriore e una effettiva che dimostra come quella pubblica fosse ingannevole. Su tutto domina la sincera, profonda e spassionata ricerca di Bergman di esaminare i tanti perché e i dubbi dell'esistenza umana. Esiste effettivamente qualcosa che non riusciamo a percepire con i sensi (in sostanza Dìo)? Esiste l'amore? Possono due persone riuscire a stare insieme, amandosi reciprocamente? A cosa serve la vita? Che significato e ruolo ha la morte?
Bergan si affida all'arte di Shakespeare per questi suoi film. Dal banale si finisce in maniera naturale in meditazioni universali. Si propongono due piani, uno alto e uno basso che interagiscono fra di loro, rappresentando la grande varietà del reale (compreso il comico). Ci sono alcuni personaggi sui generis (qui un attore che sta per morire) che danno un tocco "speciale" e artistico notevole.
Il teatro quindi è l'arma vincente di Bergman, il teatro però non nella sua forma esteriore ma nella sua essenza artistica, cioè di espressione concentrata e intensa di vita umana. La mdp non fa altro che riprendere il concentrato artistico e spirituale della vita umana in forme eleganti, spontanee e studiate allo stesso tempo, estremamente efficaci e affascinanti…

Magie ou technique ? peu importe en fait. Si Vergelus y voit un tour de passe-passe digne d’un saltimbanque, pour Bergman c’est le cinéma, tout simplement. On pourrait voir en Vergelus le critique de cinéma, fasciné mais qui dans un même temps veut disséquer l’auteur de son vivant, effacer la magie en nommant et expliquant chaque chose (1).

Vergelus déclare que son rêve est d’autopsier Vogler, lui ôter les yeux, le cœur, peser son cerveau. Il veut arracher le masque de l’artiste, découvrir ce qui se cache derrière. Trouver dans sa chair même l’explication des rêves qu’il diffuse à son public. Tout n’est que supercherie et mensonges, doubles fonds et trucages, déclare Mr. Aman, l’assistant de Vogler qui, nouveau tour de passe-passe, se trouve être sa femme. Si l’art appelle de telles tromperies, celles-ci accablent l’artiste, détruisent tout autour de lui, l’enferre dans une vie dont il ne voulait pas et dont il ne peut s’échapper.

Johan Spiegel, un acteur mourant recueilli par la troupe, reconnaît immédiatement le comédien en Vogler, il sent instinctivement qu’ils sont du même monde, celui de la représentation et du mensonge. Tous deux portent un masque et tous deux en souffrent. Pour fuir cette mascarade, ils doivent retrouver leur vrai visage mais le prix à payer est la perte de leur talent, la mort de l’artiste. Spiegel, en frère d’arme, offre à Vogler son visage de mourant, ne cachant rien de ses émotions, lui offrant LA vérité ultime, celle du trépas. L’acteur à force de vouloir arracher son masque, creuse jusqu’à l’os et en meurt. Pour se retrouver, il ne voit que la séparation de sa chair et de son esprit. Il en appelle à une lame qui viendrait lui arracher les entrailles, la langue, le sexe, afin que son âme s’envole au dessus de ce corps devenu inutile, panoplie, déguisement, peau qu’il ne reconnaît plus. Mais où se situe la vérité ? Le faux, l’apparence, la fiction, ne sont-ils pas aussi tangibles que les autres manifestations de ce qu’il convient d’appeler le réel ?

Doubles, echoes, prismatic reflec­tions, and paradoxes abound in The Magician—appropriate for a film about the charlatan nature of creativity that emerged from what Berg­man described as one of the finest times of his life, a period of great collaborative endeavor working in the theater. A slippery ambivalence inflects not only the film’s themes and motifs but also its form—which may not, of course, have helped its critical standing. Despite the widespread success of Smiles of a Summer Night (1955), many never quite took to the idea that Bergman could be funny. As for his working in genre . . . But it’s more complicated than that. The Magician is a comedy—but one about doubt, despair, humiliation, exploitation, vengefulness, death. It uses horror conventions to virtuoso effect, but with tongue carefully concealed in cheek, to expose the illusionistic deceits not only of that genre but of all film, theater, and art. Neither outright comedy nor straight horror, impossible to pin down simply as an art movie or as popular entertainment, The Magician is admirably rich and strange—and that’s probably why it’s seldom given its due. Time, then, to return to my assessment of its ending as surprisingly affecting. For all its generic slipperiness and its ambivalence toward an artist’s relationship with audiences, collaborators, critics, and him/herself, the film ends on a sudden, unexpected note of sunny (albeit temporary) triumph for Vogler and his partners in the art of illusion. And so it should. Notwithstanding the lies they’ve told, they have entertained us, and deserve our goodwill. 

2 commenti:

  1. è uno dei film più affascinanti e complessi di Bergman, i piabi di lettura sono davvero molti. Direi che è indispensabile per chi si interessa ai meccanismi della narrazione, alla regia, al teatro. Un altro divertimento è che il cast è molto simile a quello del Settimo Sigillo, ma gli attori interpretano parti diversissime

    se ti diverti con le somiglianze, sul mio sito c'è anche un Bergman Cartoon... (a chi somigliano Ingrid Thulin e Max von Sydow in questo film?)

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  2. mi sembra che tutto Bergman sia affascinante e complesso, qui in modo particolare.
    sembra che sia tutto facile, per chi guarda, ma la costruzione dev'essere laboriosa, ogni scena è memorabile, è un classico.

    il cartone lo cerco quanto prima

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