Willem Dafoe non è il solito spacciatore di strada, è un tipo preciso e affidabile, ha un fornitore affidabile (Susan Sarandon).
lo spacciatore decide di tenere un diario, e questo fa la differenza.
nel diario ci sono i tormenti del giovane spacciatore, i suoi stili di lavoro, la sua etica, in fondo.
un film da non perdere, promesso.
buona (spacciatrice) visione - Ismaele
QUI il film completo,
in italiano
… Perché scrivere un diario? Gesto anomalo per uno spacciatore, anche
se in carriera discendente. Ma Le Tour è il modello classico del mondo di Schrader, un personaggio “trascendentale”.
Come i suoi precursori, Le Tour è in cerca di grazia e redenzione.
E’ lo schema degli intrecci di Ozu, Bresson e Dreyer , qui adattato a nuovi tempi e
ambienti, che Schrader, in
"Trascendental Style in film: Ozu, Bresson, Dreyer",
ha individuato in tre step: “il
quotidiano, la scissione, la stasi”.
Le Tour si muove nel quotidiano sulla superficie delle cose, ma è in
cercadi qualcosa che vada oltre, un ‘azione che rompa con l’esistenza statica.
Il gesto finale violento, il sangue in cui si compie il sacrificio
rituale, sarà la scissione a cui seguirà la stasi, perché nulla è cambiato.
Poteva essere l’amore per Marianne? Un miraggio, i due inquadrati di
profilo al ristorante, con una colonna al centro che li separa, sono molto
espliciti.
Le Tour torna alla condizione iniziale, nel diario scrive "Cammino e cammino", ma non sa dove andare se non,
ogni notte, nella vita degli altri, non avendo mai imparato a costruire la
propria.
In cerca di una redenzione laica, Le Tour frequenta una sensitiva.
Nell’ansia, che abilmente mimetizza ma lo incalza, arriva perfino a svegliarla
di notte. D’altra parte, anche Ann ha simpatie astrologiche, sembra che in quel
mondo che pesca nel vizio e nella morte l’unica speranza sia la trascendenza da
baraccone.
"Faccio fatica giorno per giorno, mi
preparo contro la tempesta ... Sembra che il mondo stia andando a fuoco"
canta Michael Been.
Il dolore parte dalla musica, trapassa il personaggio, va a segno.
Ma i personaggi di Schrader vanno
e vengono senza costrutto, il mondo andrà avanti senza di loro,non andrà a
fuoco, semplicemente li chiuderà nell’ultima stanza, quella dietro le sbarre.
Eppure l’istinto di sopravvivenza mai non muore, e chissà, fra
cinque, sette anni, con Ann, forse potrà ricominciare.
Cosa? Il solito ciclo “il quotidiano, la scissione, la stasi”.
“Ci siamo mai baciati?” chiede alla donna nel parlatorio
del carcere.
…Non è il
narratore della vicenda: è piuttosto un glossatore, un interprete della propria
sensibilità, alla pari della “lettrice psichica”, che fissando i volti delle
persone è in grado di comprenderne (indovinare?) cosa si agiti nell’anima.
Quella di Willem Dafoe (indimenticabile) appartiene ad un uomo di seconda mano,
spacciatore d’alto bordo salvatosi dall’abisso della tossicodipendenza, al
servizio dell’affettuosa Susan Sarandon (grandiosa), scafata ed elegante
trafficante che vuole abbandonare la droga per dedicarsi ai cosmetici, e
dominato dal ricordo di un amore perduto improvvisamente ripalesatosi come per
mettere alla prova l’equilibrio faticosamente raggiunto.
Lo
spacciatore è una chiara parabola in cui
tutti gli elementi riferiscono – anche troppo – un disastro etico. La New York
di Schrader è simbolicamente invasa dai rifiuti per lo sciopero dei netturbini,
occupata da abbienti abitanti o visitatori costantemente bisognosi di dosi a
domicilio e dominata dal fantasma della morte che aleggia sottoforma di
overdose accarezzando le fragilità di chi non sa fare pace con le proprie
angosce.
Seguendo il
ritmo delle malinconiche ballate di Michael Been, il film non è solo uno dei
tanti compendi del cinema di Schrader, ma anche il trionfo della sua regia mai
sensazionalistica e sempre più tesa all’attenzione all’umano: ogni immagine
porta con sé il segno dell’esperienza, l’esercizio del dolore,
un devastante senso di colpa, la profonda conoscenza del male che pervade la
vita…
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