Sorrentino torna a casa, con questo ritratto dal regista da cucciolo.
nella prima parte si ride molto, è un film classico, nella seconda parte, dopo la morte dei genitori, il film si intristisce, così è la vita, con Fabietto che cerca la sua strada, e lascia Napoli.
all'inizio e alla fine appare il Monaciello di Napoli (ne aveva scritto in un racconto Anna Maria Ortese), mica possono vederlo tutti, solo zia Patrizia e Fabietto riescono a vederlo.
alla grande bellezza di Roma si aggiunge adesso la grande bellezza di Napoli.
e poi c'è Maradona, la mano di Dio, un sogno, una consolazione, una speranza, una sicurezza, una stella polare.
un film da non perdere, nelle classifiche dei film non appare, anche se è il primo, Netflix può decidere che i suoi film siano hors categorie, come fantasmi, come il monaciello, e ci riesce.
buona visione (unita o disunita che sia) - Ismaele
…"Non ti disunire!!"
E cosa è stato il cinema del secondo Sorrentino, quello più famoso, se non
un cinema disunito?
Ed ecco allora che, invece, per raccontare sè stesso, Sorrentino ascolta
quel vecchio consiglio, "non ti disunire". E lui allora non si
disunisce, racconta un anno della sua vita in modo "intero", senza
parzialmente scremarsi, senza orpelli, senza rapsodie, senza parentesi che si
aprono e chiudono, senza divagazioni, senza perdersi.
Un gesto di umiltà, un (apparente) passo indietro artistico che Sorrentino
fa per non camuffare la realtà, per non rendere manipolata la verità, per non
rendere sorrentiniana la sua vera vita.
Perchè è questo il paradosso de sto film, ovvero di come questo autore
spesso odiato come uomo e artista quando poi fa un film in cui fonde le due
cose tra loro, quando oltre a Sorrentino riesce a raccontare tanto anche del
Paolo, si ritrova davanti l'amore sconfinato di tutti…
…Si ride, tanto, in questa storia di
discendenti del Regno di Napoli, insieme a questa galleria di personaggi a
volte grotteschi ma mai meno che umani. E Maradona è il nume tutelare
ricorrente che manda segni da lontano, che fa ballare sui balconi un'intera
città, che salva la vita e l'onore, che riesce a non essere mai deludente,
almeno in quegli anni lontani. È stata la mano di Dio non è "consolatorio" ma prova a ricomporre le
parti "disunite" di un regista che voleva fare il filosofo e invece
si è trovato a raccontare, ancora e ancora, il rimpianto.
Il Sorrentino che parla da Napoli è il Sorrentino
più convincente, sempre. Sin da L'uomo in più - esordio maiuscolo - il regista ha rivelato una
sintonia sovrannaturale fra il suo sguardo e Napoli. È stata la mano di Dio conferma che quando Sorrentino asseconda il
suo afflato popolare e lascia correre la sua affabulazione si offre come la
versione più alta e convincente di un cinema popolare d'autore che ha sempre
fatto la forza della nostra produzione nazionale. Non c'è nulla fuori posto in
questo film autobiografico. Non un fotogramma di troppo. E la commozione è
gestita con straordinaria sapienza antiretorica. Non sempre abbiamo seguito
l'autore nelle sue esplorazioni formali. Ma qui il risultato è magistrale.
Forse l'apice di una produzione che inevitabilmente sarà letta tutta alla luce
di questo film incredibile
…Fabio,
infatti, che ha visto sì e no tre o quattro film, capisce che la sua
aspirazione è quella di diventare un regista, di raccontare storie che
rappresentano la realtà ma al tempo stesso la rendono meno amara. I detrattori
di Sorrentino avranno da ridire sul manierismo furbo del regista che s’ispira
anche questa volta a Fellini e strizza l’occhio alla commedia italiana.
Personalmente, mi viene da dire: magari ce ne fossero altri che sanno ispirarsi
tanto bene al grande maestro Fellini. Aggiungo che in questo film si sente che
il regista si lascia travolgere da un flusso continuo di emozioni e
travolge anche noi spettatori. E mette da parte ogni lezione di stile. Stile,
peraltro, apprezzato in tutto il mondo. È stata la mano di Dio ha ottenuto l’applauso più lungo del
pubblico del Lido di Venezia. Molti sono usciti pensando “Peccato che sia
finito”.
…Sorrentino è superbamente insincero.
Lo è come lo erano Fellini o Hitchcock. Trasforma le tranches
de vie in tranches
de gateau. Fette di torta visive, niente
fette scadenti di vita. Bisogna reinventarlo, il mondo. E Sorrentino lo fa,
trasformando in invenzioni visive la rievocazione del suo romanzo di
formazione: dalle mirabilia dell’inizio (con un sedicente San Gennaro che porta
la sensuale zia Patrizia in un palazzo diroccato, dove accanto a un gigantesco
lampadario di cristallo appoggiato al pavimento fa la sua apparizione il
fantasma del monaciello) via via alla figura fantasmatica della sorella che non
si vede mai perché sta sempre chiusa in bagno fino all’iniziazione sessuale di
Fabietto da parte della straordinaria baronessa Focale.
E poi Napoli: la Napoli dai mille colori cantata da Pino
Daniele nei titoli di coda che Sorrentino rende anche nei suoi mille afrori e
rumori, Napoli sguaiata, Napoli sfacciata, Napoli pezzente e sublime, Napoli
sfuggente, Napoli acquosa e Napoli pietrosa, Napoli come la Roma di La
grande bellezza, orrenda e bellissima, sfasciata e vitale, morente e sublime. È lì che nasce il cinema: Napoli è
l’altro grande vero idolo del
film, assieme a Maradona e a zia Patrizia…
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