domenica 12 dicembre 2021

Fritz il gatto - Ralph Bakshi

anche se il titolo sembra per bambini, teneteli lontani, è animazione per adulti.

la storia, scritta da Robert Crumb, racconta le avventure di Fritz, un gatto amante della bella vita e delle avventure sessuali, non resiste alle femmine.

passare da Walt Disney a Fritz il gatto è un salto inimmaginabile, provare per credere.

è un film che apre un nuovo mondo nell'animazione, merita.

buona visione - Ismaele


in italiano ci sono due versioni, la prima, introvabile, nella quale Fritz viene doppiato da Giancarlo Giannini, la seconda, quella che ho visto e si trova in giro, fa un po' ridere il doppiaggio, piena di accenti regionali. 

conviene a questo punto guardare il film in inglese, e cercare i sottotitoli in italiano.



 

 

Brutta animazione, ma in tema con il disgusto che, solitamente, è affrontato dalla "matura" (e inadatta ai piccoli) serie di (porno)cartoni tedesca. Coraggioso però, e anticipatore in considerazione del tempo di realizzazione, prodotto che non disdegna di vergare cazzotti e pugni allo stomaco riflettendo, in maniera spesso retorica, i limiti, i difetti e le manie puramente umane. Fritz è un gatto, ma si comporta (sovente male) come l'essere umano. Disney al contrario insomma, che fece storcere il naso a parecchi benpensanti dell'epoca e che, solo per questo, merita un'ovazione.

da qui

 

Fritz il gatto, anche noto come Fritz il pornogatto, è per molti appassionati l’emblema dei danni che può fare un direttore di doppiaggio a cui viene lasciata massima libertà creativa di sconvolgere l’opera che dirige. So che qualcuno di voi sta già annuendo ed è inutile dirvi che tali stravolgimenti in realtà sarebbero spesso da imputare alla distribuzione italiana e non necessariamente a chi adatta e dirige il doppiaggio ma poco importa, il risultato finale è ciò che conta e Fritz il gatto è considerato, a ragione, uno dei peggiori adattamenti italiani mai realizzati, con un pesante uso di dialetti nostrani in sostituzione dello slang americano e battute alterate che stravolgono lo scopo stesso dell’opera, dal nominare Mike Bongiorno (già sentito in Flash Gordon) al lamentarsi dell’IVA.

Ma se vi dicessi che la “versione dialettale” tanto aborrita di cui tutti si lamentano non è altro che un ridoppiaggio?

 

Un ridoppiaggio “d’epoca”

Quello di Fritz il gatto sembrerebbe essere un caso più unico che raro nella storia del doppiaggio italiano. Chi lo vide alla sua uscita, nel 1972, testimonia un doppiaggio ben diverso, fedele alle intenzioni del regista Ralph Bakshi, senza dialetti e con il titolare protagonista doppiato da Giancarlo Giannini, come lo stesso Giannini confermò nel 2009 in un’intervista a La7 nel programma Niente di personale (al momento non più reperibile). Questo doppiaggio “normale” non fu mai più udito dal 1972.

Infatti, già nel 1973, quando la versione che definiremo “normale” ancora girava per le sale italiane, alla stampa arrivavano le prime segnalazioni di un nuovo doppiaggio demenziale che abbandonava la denuncia e qualsiasi parvenza di impegno sociale in cambio di un uso spropositato dei dialetti italiani e battute italiote mirate evidentemente ad un pubblico meno intellettuale.

Riporto qui un trafiletto de’ “L’Unità” del 1 febbraio 1973 dove il giornalista che si firma “g. f. p.” fa un preciso resoconto di ciò che stava accadendo alla distribuzione di Fritz il gatto sulla base di un’indagine del critico cinematografico Vittorio Albano de’ “L’Ora” di Palermo…

da qui

 

Fritz il gatto si distingue dalla Disney per le sue tematiche “scomode” e i suoi toni irriverenti ed eccessivi, che insistono sul sesso e la violenza, a volte in modo un po’ gratuito e fine a se stesso. Il tutto realizzato con uno spirito contemporaneamente serio e scanzonato, critico e goliardico, che – alternando episodi comici a momenti “drammatici” – prende di mira tanto il potere quanto le forme di contestazione più inconsistenti o più distruttive. E se tale sguardo rende il film di Bakshi abbastanza acuto e divertente, le sue occasionali forzature narrative e stilistiche ne fanno un’opera datata e assolutamente incollata a un’epoca che non esiste più; dunque una pellicola più importante per il suo intento storico di “rottura” che per i suoi effettivi meriti artistici.

da qui

 


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