anche se il titolo sembra per bambini, teneteli lontani, è animazione per adulti.
la storia, scritta da Robert Crumb, racconta le avventure di Fritz, un gatto amante della bella vita e delle avventure sessuali, non resiste alle femmine.
passare da Walt Disney a Fritz il gatto è un salto inimmaginabile, provare per credere.
è un film che apre un nuovo mondo nell'animazione, merita.
buona visione - Ismaele
in italiano ci sono due versioni, la prima, introvabile, nella quale Fritz viene doppiato da Giancarlo Giannini, la seconda, quella che ho visto e si trova in giro, fa un po' ridere il doppiaggio, piena di accenti regionali.
conviene a questo punto guardare il film in inglese, e cercare i sottotitoli in italiano.
Brutta animazione, ma in tema con il disgusto che, solitamente,
è affrontato dalla "matura" (e inadatta ai piccoli) serie di
(porno)cartoni tedesca. Coraggioso però, e anticipatore in considerazione del
tempo di realizzazione, prodotto che non disdegna di vergare cazzotti e pugni
allo stomaco riflettendo, in maniera spesso retorica, i limiti, i difetti e le
manie puramente umane. Fritz è un gatto, ma si comporta (sovente male) come
l'essere umano. Disney al contrario insomma, che fece storcere il naso a
parecchi benpensanti dell'epoca e che, solo per questo, merita un'ovazione.
Fritz il gatto, anche noto come Fritz il pornogatto, è per molti appassionati l’emblema dei danni
che può fare un direttore di doppiaggio a cui viene lasciata massima libertà
creativa di sconvolgere l’opera che dirige. So che qualcuno di voi sta già
annuendo ed è inutile dirvi che tali stravolgimenti in realtà sarebbero spesso
da imputare alla distribuzione italiana e non necessariamente a chi adatta e
dirige il doppiaggio ma poco importa, il risultato finale è ciò che conta e
Fritz il gatto è considerato, a ragione, uno dei peggiori adattamenti
italiani mai realizzati, con un pesante uso di dialetti nostrani in sostituzione
dello slang americano e battute alterate che stravolgono lo scopo stesso
dell’opera, dal nominare Mike Bongiorno (già
sentito in Flash Gordon) al lamentarsi dell’IVA.
Ma se vi dicessi che la “versione
dialettale” tanto aborrita di cui tutti si lamentano non è altro che un ridoppiaggio?
Un
ridoppiaggio “d’epoca”
Quello di Fritz il gatto sembrerebbe essere un caso più unico che raro nella storia del
doppiaggio italiano. Chi lo vide alla sua uscita, nel 1972, testimonia un
doppiaggio ben diverso, fedele alle intenzioni del regista Ralph Bakshi, senza
dialetti e con il titolare protagonista doppiato da Giancarlo Giannini, come lo stesso Giannini
confermò nel 2009 in un’intervista a La7 nel programma Niente di personale (al
momento non più reperibile). Questo doppiaggio “normale” non fu mai più udito
dal 1972.
Infatti, già nel 1973, quando la versione
che definiremo “normale” ancora girava per le sale italiane, alla stampa arrivavano
le prime segnalazioni di un nuovo doppiaggio demenziale che abbandonava la
denuncia e qualsiasi parvenza di impegno sociale in cambio di un uso
spropositato dei dialetti italiani e battute italiote mirate evidentemente ad
un pubblico meno intellettuale.
Riporto qui un trafiletto de’ “L’Unità” del 1 febbraio 1973 dove il giornalista
che si firma “g. f. p.” fa un preciso resoconto di ciò che stava accadendo alla
distribuzione di Fritz il gatto sulla base di
un’indagine del critico cinematografico Vittorio Albano de’ “L’Ora” di Palermo…
…Fritz il gatto si distingue dalla Disney per le sue tematiche
“scomode” e i suoi toni irriverenti ed eccessivi, che insistono sul sesso e la
violenza, a volte in modo un po’ gratuito e fine a se stesso. Il tutto
realizzato con uno spirito contemporaneamente serio e scanzonato, critico e
goliardico, che – alternando episodi comici a momenti “drammatici” – prende di
mira tanto il potere quanto le forme di contestazione più inconsistenti o più
distruttive. E se tale sguardo rende il film di Bakshi abbastanza acuto e
divertente, le sue occasionali forzature narrative e stilistiche ne fanno
un’opera datata e assolutamente incollata a un’epoca che non esiste più; dunque
una pellicola più importante per il suo intento storico di “rottura” che per i
suoi effettivi meriti artistici.
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