domenica 5 dicembre 2021

OPINIONI DI UN CRITICO - Giulio Sangiorgio

 

Il fatto è che se si vuole pensare il cinema come un’arte di oggi è necessario provare a guardarlo al presente, metterlo nel contesto di quello che fuori dal cinema accade, tentare di capire come si situa tra le immagini intorno, come a esse risponde. Non dimenticare gli strumenti teorici e critici del Novecento, ma verificare la loro tenuta, oggi, adesso, tra le story di Instagram, lo storytelling globale della prima persona singolare, la tecnica democraticamente a portata di tutti, etc etc. Il mondo, signori. Perché, altrimenti, quel che resta è la tomba di un’arte, un pensiero antico che si confronta con l’oggi e lo schifa, mentre il cinema invece resta, sotto ogni immagine, come un unico esperanto. Non è necessario essere integrati, certo, ma è sterile essere apocalittici. Bisogna aggiornarsi. Criticare The French Dispatch perché «opera narcisista» significa etichettare come negativo un carattere preciso del contemporaneo: perché il punto del film è esattamente quel narcisismo, quella meraviglia formale in cui sono rinchiusi i suoi personaggi, quel surplus di immagine (è questo il narcisismo: un io sommerso dalle immagini) in cui lo spettatore arranca, quella messa in scena continua che ci ammorba, e in cui ci si perde. Ricorda qualcosa? Wes Anderson, alla sua maniera, riesce a fare forma cinematografica di un carattere del suo tempo, riesce a farcelo esperire, intensificato, trasformato, in quelle inquadrature in posa perfette, tra quelle frasi-aforisma, nella fatica con cui cerchiamo di seguire l’eccesso stordente di immagini, parole, testi, narratori, io troppo ingombranti. Come si può indicare come difetto quello che è l’esatto punto di un’opera? Come si può dire «spostati, fammi vedere il film» a un autore il cui cruccio non è di certo la storia che racconta, ma il come le immagini e gli storyteller la mettono in forma, la ottundono, la distraggono, la sovrastano? Bisogna provare a essere umili, dare agio, a un’opera, tentare di pensare che non si è superiori a un autore, fare passi indietro, mettere in crisi la propria misura, fare autocritica, come primo atto di critica: se mi infastidisce una cosa, perché mi infastidisce? Cosa stanno facendo su di me, quelle scelte? Come è possibile che io provi quello che sto provando? Cosa vogliono, da me, quelle immagini? Che la questione non sia quello che è raccontato, ma quello che un’opera produce sul corpo, sul sapere, sulla cultura che portiamo dentro una sala è un dato a cui l’arte contemporanea è giunta da tempo, ma il cinema e chi lo tratta no, per nulla, pieno Ottocento. Non è questione solo di vieti automatismi («questo regista non vuole bene ai suoi personaggi»: ma chi lo dice, che non si possa fare arte col sadismo? «Quest’opera non è coinvolgente»: e chi l’ha detto che per essere riuscita, un’opera, non possa essere fredda e anempatica?), è questione di usare la propria misura come misura delle cose. Esattamente quello che fa l’opinionismo, che del pensiero critico è l’annullamento. Questo non significa che tutto sia accettabile, no: dopo questi passi indietro, dopo la prova d’umiltà, bisogna ambire, e ambire a una grande responsabilità: quella di provare a guardare le cose prendendo le parti (addirittura) della storia del cinema e della sua progressione, dello stato delle cose sull’immaginario contemporaneo, dell’economia delle immagini di ieri, di oggi, e di domani. E per fare questo, per capire le cose che spostano i confini precedenti, le cose che colgono il presente, quelle che propongono un futuro, bisogna conoscere. Studiare. Essere aggiornati. Elastici e informati. Non solo sul cinema. È questo, oggi, che dovrebbe fare la critica. Il resto è quello che possiamo leggere ovunque, non certo una professione: opinionismo, con in calce una firma.

https://filmtv.press/

2 commenti:

  1. Grande intervento che condivido in pieno. Ma del resto Sangiorgio è uno dei migliori, da anni.

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    1. ho sempre pensato che chi oggi scrivesse una storia del cinema dovrebbe fare un capitolo a parte per Wes Anderson, è una cosa a parte, e misurare la lunghezza con i litri e i quintali non funziona.

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