venerdì 12 febbraio 2021

American Animals - Bart Layton

ladri senza stoffa tentano un colpo facile facile, credono.

la banda dei soliti ignoti non teme confronti.

il film sarebbe stato uno di quelli senza pretese, senza infamia e senza lode, 

se non fossero apparsi, come testimoni della loro avventura, e parte integrante del film, i veri ragazzi che hanno fatto sette anni di galera.

e questo rende il film meritevole .

buona visione - Ismaele


 

 

QUI il film completo, in italiano

 

 

Leyton non si limita a raccontare a modo suo la storia dei quattro, e di come la loro rapina sia prevedibilmente andata in malora, ma decide di fondere le sue due sensibilità (quella di filmmaker con una gran voglia di fare uno heist movie, e quella di documentarista) per creare uno strano ibrido che alterna sequenze in cui i quattro attori inscenano alcuni dei momenti più importanti della preparazione, esecuzione e postumi della rapina, e altre in cui intervista i quattro veri ladri e una serie di altre figure che ruotavano loro attorno, dalla bibliotecaria dell’università ai genitori di Spencer. Il fatto che siano passati più di dieci anni dalla tentata rapina al momento della lavorazione del film crea così una situazione bizzarra, e sicuramente stimolante per uno che ha cominciato la sua carriera documentando la realtà: i ricordi dei quattro sono confusi, inaffidabili, anche perché, per loro stessa ammissione, mentre elaboravano il loro piano si sentivano già distaccati dalla realtà e immersi nella finzione, come protagonisti di un film che stanno mettendo in scena un copione…

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La cosa più sorprendente di American Animals è infatti come alle convenzioni da film di rapina si affianchi non solo il documentario ma pure una sottile malinconia. Layton gioca a carte scoperte, sa entusiasmare con una colonna sonora ricca di brani del passato davvero straordinaria e si avvale di un cast accattivante con due attori molto lanciati (Evan Peter e Barry Keoghan, visto in Dunkirk e Il sacrificio del cervo sacro), ma non nasconde mai come il livello più cinematografico sia in fondo una messa in scena. Una sorta di tunnel mentale distorto, circondato da una realtà dove le cose vanno in ben altro modo, inflessibile alle fantasie dei protagonisti.
American Animals è dunque un'opera squisitamente metacinemtaografica che però non si accontenta di sofisticazioni cerebrali e anzi riesce a essere sia trascinante e divertente sia dolorosamente umana.

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Ambientato nel 2003 in Kentucky, e tranne che per trascurabili differenze rispettando dunque i dati della reale cronostoria, "American Animals" evidenzia le falle degli Stati Uniti post-11 settembre, ove le istituzioni crollano come castelli di sabbia, emblematicamente messi sotto scacco da un collettivo insospettabile, i classici ragazzi bianchi della porta accanto, studenti e provenienti da rispettabili famiglie. Una metafora che abbiamo visto tante volte nel recente cinema americano e qui inglobata in una vicenda bizzarra, costruita con perizia e discreto ritmo, almeno fino al momento della rapina stessa: citazioni ovvie ma non moleste ("Le iene", "Quei bravi ragazzi"), ricostruzione e confezione di buona fattura, calzante colonna sonora composta da brani non certo inediti nell’immaginario popolare (c’è anche "A Little Less Conversation" di Elvis Presley), facce giuste di attori appassionati (ma Barry Keoghan è superiore ai suoi colleghi di almeno una spanna). Che finisce però con il perdere qualche colpo quando si avvicina il momento del colpo: vittima di isterismi giovanilistici, di mancata sintesi e dimostrazione che rappresentare con adeguata suspense il momento topico di una rapina è mestiere per pochi registi.
Niente più e niente meno di un piacevole divertissement, accettabile heist movie contemporaneo, ma deludente se setacciato con gli intenti teorici premessi: "This is not based on a true story. This is a true story", recita una iniziale didascalia. In tal senso il discorso sul vero e il falso è soffocato.

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Promettente nell’idea, come nel modus narrandi, American Animals finisce allora per essere solo superficie, solo forma, ma manca un contenuto capace di stupire, di suscitare una vera e propria riflessione, di lasciare il segno nello spettatore. Allo stesso tempo, come heist movie / comedy si prende troppo seriamente, i ritmi, le battute, purtroppo non funziona nulla nemmeno in questo senso.

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Pur non fugando del tutto i dubbi che suscita, American Animals ha dalla sua una sana dose di disincanto e di amaro cinismo, che tiene il film ben al di qua del pamphlet su un’improbabile “gioventù bruciata” borghese. La ricostruzione della rapina ha i toni pulp, eccessivi e surriscaldati che i protagonisti amavano nei film di cui si nutrivano: non va come vorrebbero negli esiti, ma il mood è quello, ben lontano – e lo intuiamo chiaramente – da ciò che realmente i quattro giovani devono aver vissuto. C’è l’uso insistito della musica, c’è la componente grottesca e surreale, ci sono i riferimenti agli heist movie del passato (da Rapina a mano armata a Le iene), in una sarabanda sincopata che non vuole dare risposte, ma piuttosto insinuare quesiti sotto la sua accattivante patina. Il tono amaro della vicenda è riscontrabile a un livello più profondo, ma il film resta lontano (e questo è il suo più importante pregio) dal moralismo consolatorio di tanto cinema che tratta gli stessi argomenti. Spencer, Warren, Erik e Chas hanno pagato il loro debito con la giustizia, ma non sono necessariamente persone migliori di allora: né la giustizia li ha in qualche modo “rieducati”. La differenza coi loro alter ego giovani sta solo nella consapevolezza (fisiologica) del tempo che è passato, e degli anni persi. Il quesito sul perché, e sull’eventuale possibilità di un esito diverso, resta volutamente aperto.

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…siamo di fronte ad una storia su due personaggi , i cervelli del colpo, che sembrano tutto tranne che due persone dotate di intelletto, anche perché la banale motivazione di tentare il colpo per “oltrepassare la linea” suona veramente superficiale e poco credibile; possibile che nessuno abbia potuto pensare alle conseguenze che di certo ci sarebbero state in una simile impresa ?

Quale è il motivo che li ha spinti ? Cosa nascondeva un gesto del genere? Erano in grado di capire i rischi che correvano? Erano spinti da un sacro furore che faceva di loro degli eroi maledetti? Tutto ciò il film di Layton non solo non lo spiega, ma le motivazioni che tenta di addurre , come detto, appaiono ben poco convincenti e credibili, allo stesso modo della darwiniana conclusione sull’uomo americano votato nella sua evoluzione all’individualismo estremo.

Il risultato è un lavoro che in alcuni momenti offre anche spunti divertenti, ha  un discreto ritmo, ma risulta carente nello sviluppo dei personaggi e la stessa storia si affloscia pericolosamente  nel momento in cui dovrebbe confezionare una conclusione credibile.

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