giovedì 18 febbraio 2021

Mein Führer - La veramente vera verità su Adolf Hitler - Dani Levy

Ulrich Mühe è sempre un bel vedere, in un film dove Adolf l'ebreo conquista e batte Adolf il nazista.

si ride e anche no, e quando Adolf l'ebreo pensa di avere in mano Adolf il nazista scopre tragicamente di essere stato usato.

un film che poteva essere meglio e Hitler viene dipinto come un  bambinone assassino, ma la presa in giro di Hitler in Jojo rabbit è un'altra cosa.

buona visione - Ismaele


 

 

 

 

Levy conferma la sua capacità di trattare temi delicati e fastidiosi bilanciando continuamente satira e spirito critico. Il cineasta è consapevole che gli strumenti sovversivi della commedia decostruiscono più facilmente il cinismo e la ferocia dei personaggi raffigurati. Gli stessi in ambito tragico sono più difficili da trattare perché aumenta il rischio di una frettolosa didascalia. Dall'inizio alla fine, il soggetto si avvale di una narrazione forte in cui ogni situazione è ben disegnata e concatenata. In ogni fase del racconto, tutti gli elementi contenutistici e formali sono in gioco: l'umorismo ebraico, il sottile confine tra fantasia e realtà, figure smontate continuamente, una musica minimalista e un buon gioco di equilibrio tra ricostruzioni storiche e realizzazione al computer.

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 Un vero e proprio campionario di guizzi creativi soltanto accennati (dove finisce la buona alternanza tra il biancoenero dei documentari e le immagini della fiction delle prime sequenze?), di traiettorie narrative non approfondite (la vena tragico-intimista robertobenignamente mescolata alla commedia, ma qui con risultati mediocri) e di soluzioni formali davvero sbalorditive (la ricostruzione in chroma-key della Berlino distrutta, con un risultato visivo affascinante, quasi in stile cartoon: probabilmente la cosa migliore di tutto quanto il film). Proprio un vero peccato. Eppure a preoccuparci, più che un film palesemente irrisolto, è a conti fatti lo stesso Levy, forse il primo a non aver ancora riconosciuto in pieno le sue capacità ed il suo talento. 
Non vorremmo, ecco, che una risata (mancata) lo seppellisse. 

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"'Mein Führer' è un film abbastanza banale, e anche Dani Levy, vedrete, finirà a Hollywood: e il problema non è che il film fa ridere ma, al contrario, che fa ridere troppo poco, laddove Lubitsch e Chaplin avevano sommerso i nazisti sotto valanghe di risate. Ancora: il problema non è che Hitler, nel film, sembri uno psicopatico traumatizzato dalle botte paterne, ma che gli altri personaggi - dai gerarchi Himmler e Goebbels all'attore ebreo Adolf (sì, Adolf...) Grünbaurn che viene tolto da un lager per addestrarlo all'autostima - sembrano troppo normali, e negano al film la carica di follia surreale necessaria. Film, insomma, sbilenco, anche a causa della disparità fra i due mattatori: Helge Schneider (Hitler) non va oltre la macchietta, mentre il compianto Ulrich Mühe (la spia di 'Le vite degli altri') è fin troppo bravo." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 23 novembre 2007) "Dani Levy si scatena in una regia rigorosa e fantasiosa, un mocku-biopic visionario e senza scorciatoie, con battute e sequenze di clamorosa comicità e con una narrazione, per immagini e dialoghi, ossessionata da ricerca dell'umanità dietro il mito. Per demolirlo: anche fisicamente, si pensi solo al duello o al taglio dei baffi. La Germania attuale, divisa tra focolai di neonazismo latente e un atavico e massacrante senso di colpa, ha bisogno di questo film, come noi ne avemmo di Pasolini, Wertmüller e Scola. La normalità del male, la banalità della ferocia, la massificazione della follia omicida, dall'Argentina al Cile, dai lager ai pogrom, devono essere svelate. E seppellite, scovandone le motivazioni e il ridicolo, con una risata." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 23 novembre 2007) "Dopo 'La caduta', ecco la risata. Polemiche in patria. Critica divisa. incasso modesto (nemmeno 4 milioni di euro) e ultima prova di Ulrich Mühe, la spia che sapeva amare de 'Le vite degli altri', scomparso questo luglio. E' lui il cuore del film come insegnante di recitazione ebreo che deve preparare il führer per un ultimo discorso alla nazione. E' il 1944, Hitler in depressione, bisogna tirarlo su. Il registro recitativo di Hitler è farsesco come il titolo, le prove di Mühe e Sylvester Groth (ottimo Goebbels) sono sofisticate, la colonna sonora è da serio dramma nazista, la sceneggiatura cerca l'intimismo e le immagini di repertorio aggiungono un sapore storico-documentaristico. Soluzione finale? Confusione totale. Ecco il grave problema del film." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 23 novembre 2007) "Su un vago spunto storico, la trama è di fantasia e peggiora alla fine, ma Dani Levy è recidivo al politicamente scorretto (vedi Zucker) e ai tedeschi è piaciuto. Purtroppo il tutto risulta imbarazzante, poco spiritoso e indigesto. Un regista ebreo può fare satira sull'Olocausto, ma necessita lo stile (Benigni con 'La vita è bella' fece capolavoro)." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 23 novembre 2007)

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Metacommedia sul mestiere e lo spirito dell'attore incastonata in una trama improbabile e con personaggi machiettistici: Goebbles decide di far affiancare a un Hitler ormai cotto un attore ebreo, per insegnargli recitazione e in realtà prepara un attentato la cui colpa sarà addossata agli ebrei stessi. Tutto il film è denso di humor ebraico; il problema è che sovente lo humor ebraico risulta gradevole e comprensibile solo agli ashkenaziti e mortalmente noioso per il resto del mondo. Molto bravo Mühe, ma non tanto da salvare la pellicola.

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