Ulrich Mühe è sempre un bel vedere, in un film dove Adolf l'ebreo conquista e batte Adolf il nazista.
si ride e anche no, e quando Adolf l'ebreo pensa di avere in mano Adolf il nazista scopre tragicamente di essere stato usato.
un film che poteva essere meglio e Hitler viene dipinto come un bambinone assassino, ma la presa in giro di Hitler in Jojo rabbit è un'altra cosa.
buona visione - Ismaele
…Levy
conferma la sua capacità di trattare temi delicati e fastidiosi bilanciando
continuamente satira e spirito critico. Il cineasta è consapevole che gli
strumenti sovversivi della commedia decostruiscono più facilmente il cinismo e
la ferocia dei personaggi raffigurati. Gli stessi in ambito tragico sono più
difficili da trattare perché aumenta il rischio di una frettolosa didascalia.
Dall'inizio alla fine, il soggetto si avvale di una narrazione forte in cui
ogni situazione è ben disegnata e concatenata. In ogni fase del racconto, tutti
gli elementi contenutistici e formali sono in gioco: l'umorismo ebraico, il sottile
confine tra fantasia e realtà, figure smontate continuamente, una musica
minimalista e un buon gioco di equilibrio tra ricostruzioni storiche e
realizzazione al computer.
… Un
vero e proprio campionario di guizzi creativi soltanto accennati (dove finisce
la buona alternanza tra il biancoenero dei
documentari e le immagini della fiction delle prime sequenze?), di traiettorie
narrative non approfondite (la vena tragico-intimista robertobenignamente mescolata alla commedia, ma
qui con risultati mediocri) e di soluzioni formali davvero sbalorditive (la
ricostruzione in chroma-key della Berlino distrutta, con un risultato visivo
affascinante, quasi in stile cartoon: probabilmente la cosa migliore di tutto
quanto il film). Proprio un vero peccato. Eppure a preoccuparci, più
che un film palesemente irrisolto, è a conti fatti lo stesso Levy, forse il
primo a non aver ancora riconosciuto in pieno le sue capacità ed il suo
talento.
Non vorremmo, ecco, che una risata (mancata) lo seppellisse.
"'Mein Führer' è un film abbastanza banale, e anche Dani
Levy, vedrete, finirà a Hollywood: e il problema non è che il film fa ridere
ma, al contrario, che fa ridere troppo poco, laddove Lubitsch e Chaplin avevano
sommerso i nazisti sotto valanghe di risate. Ancora: il problema non è che
Hitler, nel film, sembri uno psicopatico traumatizzato dalle botte paterne, ma
che gli altri personaggi - dai gerarchi Himmler e Goebbels all'attore ebreo
Adolf (sì, Adolf...) Grünbaurn che viene tolto da un lager per addestrarlo
all'autostima - sembrano troppo normali, e negano al film la carica di follia
surreale necessaria. Film, insomma, sbilenco, anche a causa della disparità fra
i due mattatori: Helge Schneider (Hitler) non va oltre la macchietta, mentre il
compianto Ulrich Mühe (la spia di 'Le vite degli altri') è fin troppo
bravo." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 23 novembre 2007) "Dani Levy si
scatena in una regia rigorosa e fantasiosa, un mocku-biopic visionario e senza
scorciatoie, con battute e sequenze di clamorosa comicità e con una narrazione,
per immagini e dialoghi, ossessionata da ricerca dell'umanità dietro il mito.
Per demolirlo: anche fisicamente, si pensi solo al duello o al taglio dei
baffi. La Germania attuale, divisa tra focolai di neonazismo latente e un
atavico e massacrante senso di colpa, ha bisogno di questo film, come noi ne
avemmo di Pasolini, Wertmüller e Scola. La normalità del male, la banalità
della ferocia, la massificazione della follia omicida, dall'Argentina al Cile,
dai lager ai pogrom, devono essere svelate. E seppellite, scovandone le
motivazioni e il ridicolo, con una risata." (Boris Sollazzo,
'Liberazione', 23 novembre 2007) "Dopo 'La caduta', ecco la risata.
Polemiche in patria. Critica divisa. incasso modesto (nemmeno 4 milioni di
euro) e ultima prova di Ulrich Mühe, la spia che sapeva amare de 'Le vite degli
altri', scomparso questo luglio. E' lui il cuore del film come insegnante di
recitazione ebreo che deve preparare il führer per un ultimo discorso alla
nazione. E' il 1944, Hitler in depressione, bisogna tirarlo su. Il registro
recitativo di Hitler è farsesco come il titolo, le prove di Mühe e Sylvester
Groth (ottimo Goebbels) sono sofisticate, la colonna sonora è da serio dramma
nazista, la sceneggiatura cerca l'intimismo e le immagini di repertorio
aggiungono un sapore storico-documentaristico. Soluzione finale? Confusione
totale. Ecco il grave problema del film." (Francesco Alò, 'Il Messaggero',
23 novembre 2007) "Su un vago spunto storico, la trama è di fantasia e
peggiora alla fine, ma Dani Levy è recidivo al politicamente scorretto (vedi
Zucker) e ai tedeschi è piaciuto. Purtroppo il tutto risulta imbarazzante, poco
spiritoso e indigesto. Un regista ebreo può fare satira sull'Olocausto, ma
necessita lo stile (Benigni con 'La vita è bella' fece capolavoro)."
(Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 23 novembre 2007)
Metacommedia sul mestiere e lo spirito dell'attore incastonata
in una trama improbabile e con personaggi machiettistici: Goebbles decide di
far affiancare a un Hitler ormai cotto un attore ebreo, per insegnargli
recitazione e in realtà prepara un attentato la cui colpa sarà addossata agli
ebrei stessi. Tutto il film è denso di humor ebraico; il problema è che sovente
lo humor ebraico risulta gradevole e comprensibile solo agli ashkenaziti e
mortalmente noioso per il resto del mondo. Molto bravo Mühe, ma non tanto da
salvare la pellicola.
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