un film semplice e universale, lo capiscono in tutto il mondo.
nelle deserte valli islandesi ancora vive qualcuno, qualche pastore di pecore, che ama più gli animali degli umani.
i rapporti con gli altri umani sono difficili, rancori mai sopiti rendono la vita ancora più solitaria.
e alla fine una sorpresa.
un buon film, promesso - Ismaele
…descrive con grande efficacia un
mondo ridotto all’osso, in cui la pastorizia è l’unica fonte di sostentamento e
le pecore sono al centro della vita (e degli affetti) di un’intera comunità. La
regia spartana racconta una terra scarna abitata da personaggi di pochissime
parole e pochi gesti legati alla sopravvivenza quotidiana. La nudità
occasionale dei due fratelli, che si rivelerà una potente chiave di lettura
dall’inizio alla fine della storia, diventa il simbolo di quell’essenzialità
scoperta e vulnerabile che caratterizza le vite di entrambi, e la loro
solitudine assoluta. I due attori protagonisti sono efficacissimi nel narrare
attraverso espressioni minimali e una fisicità sofferta, levigata dalla fatica
come dal vento del nord: in particolare Sigurður Sigurjónsson, attore comico e
cabarettista nel suo Paese, è una sorpresa nei panni dello stoico Gummi.
Purtroppo la trama di Rams – Storia di due fratelli e otto pecore è
esageratamente minima e i tempi dilatati della narrazione, che hanno incontrato
il favore del pubblico festivaliero, sono appunto troppo “da festival” per
tener desta l’attenzione di un pubblico generalista, abituato a ritmi più
sostenuti e a vicende più complesse. La linearità della storia è dunque da un
lato la forza del film, poiché corrisponde esattamente alla natura laconica e
rarefatta della vita che racconta, e la sua debolezza in termini di appeal
cinematografico per lo spettatore medio.
…Hakonarson, apprezzato
anche come documentarista e qui al secondo lungometraggio, si dimostra
piuttosto abile a bilanciare il registro tragicomico della vicenda, tanto che
talvolta si pensa a maestri scandidavi come Kaurismaki e Andersson. Nell'ultima
parte il regista abbandona il tono modulato che aveva dominato tutto il film in
favore di un'impennata di ritmo che accompagna ad una conclusione tronca ma
comunque suggestiva e nella quale ai modelli già citati si vanno ad aggiungere
Kurosawa, il nostro Ermanno Olmi e tanta letteratura nordica (dalle saghe
mitiche ad alcuni recenti autori popolari). Alla riuscita del film
contribuiscono gli egregi contributi dello scenografo Bjarni Massi
Sigurbjornsson, del compositore Atli Örvarsson e soprattutto del direttore
della fotografia Sturla Brandth Grøvlen (acclamato per il suo lavoro nel film
tedesco "Victoria" di Sebastian Schipper), grazie ai quali si riesce
non solo a sfruttare la rinomata bellezza dei paesaggi islandesi ma a cogliere
negli interni una quotidianità meglio di altri acclamati film recenti.
…La conclusione è quanto di più commovente
si possa vedere al cinema in questo momento, perché vera, assolutamente non
forzata da sentimentalismi gratuiti. Questo vale per tutto il film, tanto che,
nonostante la drammaticità e una certa cupezza di fondo, nonché una cappa di
nera malinconia, non sfocia mai nella depressione più soffocante. Tutto
l'opposto: c'è un lento ritorno alla vita che passa prima da una presa di
coscienza e poi da un'azione radicale. Abbiamo usato la parola “azione” non a
caso: il riscatto passa dall'agire, dal movimento, dalla rottura di una
staticità sia esteriore (la vallata isolata da tutto, la fattoria antica, la
vita dell'allevatore che procede identica a se stessa per decenni) che
interiore. Ne risulta un'esperienza cinematografica appagante,
che si chiude con una grande vittoria dell'animo umano e, nonostante tutta la
cupezza di cui sopra, ci lascia in uno stato d'animo positivo.
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