domenica 1 ottobre 2017

Orecchie - Alessandro Aronadio

un film pieno di personaggi folli, ma forse sono solo normali, in una vita folle.
Marcello prova a passare una giornata normale, inizia con le suore e finisce con un funerale, e in mezzo tante gag, Marcello sembra  precipitare in un film comico.
e quel fischio, poi, non del treno, ma all'orecchio, che non gli dà tregua.
un film comico-amaro, in un mondo alieno, che è il nostro.
se non ridete almeno un po' fatevi visitare da qualche dottore come quelli del film, loro sanno cosa avete.
buona visione - Ismaele







…ripensiamo all'otorino che gli parlava di bambini, alla paperona, al gastroenterologo che lo fece credere incinto, all'amico che gli parlava di famiglia, al sorriso di lei che non era vero, a tanti piccoli momenti in cui, in maniera subliminale, avremmo potuto capire.
Avrei voluto che il film finisse qua, sarebbe stato un finale meraviglioso.
E invece, purtroppo, ci sarà lo spiegone in Chiesa, troppo lungo, ripetitivo, forzato.
Ma poco cambia, dentro Orecchie ci siamo tutti noi, specie questa generazione impossibile tra i 30 e i 40.
E se questo sibilo che sentiamo sia paura di fare i passi, difficoltà di stare al mondo o il sentirsi tremendamente diversi poco cambia.
L'importante è andare dal medico giusto.
Noi stessi.

Orecchie is classically dark humor with a postmodern hero who has grown world-weary.  Unlike Jep Gambardella in Paolo Sorrentino’s La Grande Bellezza, one who allows himself to be occasionally amused by the “blah, blah, blah” swirling around him, or at least not let it drive him crazy, the guy in Orecchie is beaten down by it. The ringing in his ears is a symptom of some degree of depression.
I can’t stop thinking about the cheerless protagonist, lost in a vapid abyss and seems to have stopped caring about finding his way out. What’s the use? He’s in a genuinely despondent state, and yet, after spending the day with him, I felt oddly optimistic. Was this the intent of  writer/director Alessandro Aronadio, to make me feel better about life? I believe that Orecchie will strike the same chord with everyone who watches it.
Maybe it was the nun’s observation that his girlfriend’s smile didn’t turn up enough at the corners that began to wake him up from his Kafkaesque nightmare, or maybe he was just tired of being bored, but Alessandro Aronadio’s “guy” is willing to entertain the idea that he’s been mistaking compromise for acceptance, and that rolling his eyes at all of the “dumb” people in the world “doesn’t make him more intelligent, just more unhappy.”

Orecchie è anche e soprattutto una commedia infarcita di scene comiche, apparentemente assurde. In effetti, le situazioni assurde in cui si viene a trovare Marcello sono tutt’altro che improbabili: chi ha abitato in una grande città italiana ammetterà di aver vissuto almeno una di quelle situazioni. Quel che all’occhio straniero potrà sembrare il frutto dell’esagerazione tipica di un film comico, all’occhio italiano apparirà il frutto di un acume tutto documentario. E mentre noi ridiamo spesso, Alessandro Aronadio ritrae personaggi e mondi con una grandissima sensibilità per i dettagli. È forse proprio nei dettagli che Orecchie dà il meglio di sé: l’arredo dell’abitazione del rapper esistenzialista, la tonalità di voce della madre innamorata dell’artista di strada, oppure il piglio severo e cinico dell’otorino ignorante, o ancora l’entusiasmo fintamente filosofico dell’editrice di riviste patinate, rivelano tutti una straordinaria precisione. Ne viene fuori un racconto vivido e verace della società italiana e della sua varia umanità, accompagnato da un bel commento sonoro, tra rumori e musica, il quale funziona come elemento di raccordo in modo certamente migliore di quanto non faccia la città di Roma in sottofondo…

È possibile andare a scomodare il teatro dell’assurdo e quindi Harold Pinter, Eugene Jonesco o Samuel Beckett per questo film di Alessandro Aronadio? Sì, secondo chi redige queste note. La provenienza teatrale del protagonista Daniele Parisi, qui al suo debutto nel cinema, incoraggia, se ce ne fosse bisogno, tale incursione. Con quella faccia un po’ da Buster Keaton, l’attore di “Orecchie” ci ha rimandato a lontanissime reminiscenze di un cortometraggio – Film,  diretto nel 1964 da Alan Schneider e sceneggiato da Beckett – forse intravisto all’interno di qualche rassegna cinematografica durante gli anni 70.
Se, però, il teatro dell’assurdo sembra privilegiare aspetti tesi ad una ricerca formale che porti alla luce la vanità dell’esistenza umana, con questo film, che possiamo azzardare a definire grottesco, surreale e “assurdo” fin che si vuole, corriamo il rischio di arrivare alla conclusione che la suddetta ricerca sia arrivata al capolinea e anche di doverci servire di aggettivi esattamente opposti a quelli appena adoperati, introducendo semplici concetti quali specchio della realtà sociale e coerenza narrativa.

L’allargarsi dell’immagine è progressiva e coincide con l’apertura mentale del protagonista, dall’1:1 si arriva all’1:85 (85 come i minuti del film). Dapprima chiuso in una scatola, Lui trova pian piano spazio, allargando il suo mondo e il suo spazio d’azione, prima di finire in un liberatorio schermo largo.  Scegliendo come protagonista Davide Parisi (la cui prossemica e mimica si prestano alla perfezione al nostro Lui, che cambia anche modo di porgersi fisicamente e verbalmente agli altri con lo scorrere della storia), Aronadio lo circonda di comprimari e cammei di lusso: accanto a Silvia D’Amico e a Pamela Villoresi, rispettivamente Alice e la svampita madre di Lui, piazza Andrea Purgatori e Massimo Wertmüller come atipici medici, Ivan Franek come il compagno performer della madre, Piera Degli Esposti come direttrice del giornale (la copertina del suo Noi è tutta un dire), Milana Vukotic come la moglie del professore Marinetti, Sonia Gessner come la vicina di casa e, soprattutto, Rocco Papaleo come il parroco (beone) che celebra il funerale di Luigi e Niccolò Senni come spettacolare addetto al fast food (un automa che ragiona per menù e senza alcuna elasticità mentale, parte di una catena di montaggio che spersonalizza l’individuo).

9 commenti:

  1. Quindi pur avendo commesso un errore avevo in realtà previsto che ti sarebbe piaciuto? Matteo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. direi che ci hai azzeccato :)

      il film di Segre merita, ma meno, cioè da Segre mi aspettavo di più

      Elimina
  2. Risposte
    1. intanto ho trovato l'opera prima del regista.

      riesce a far ridere (senza essere volgare) e anche a far pensare, come capita ai grandi.

      speriamo non si perda per strada...

      Elimina
  3. A Ciambra e L'intrusa li avete visti?

    RispondiElimina
  4. mi dai del voi o intendi voi a Cagliari? :)

    A Ciambra lo portano entro ottobre, nel cinemino più sgarrupato di qui, l'Intrusalo vedrò a breve, penso.

    e tu, visti?

    RispondiElimina
  5. Visto A Ciambra. A mio parere bellissimo. Attendo il tuo parere.
    Per il voi intendevo te e Cotard

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ah, eccomi ;)

      pensa, sono andato DUE volte per vedere A Ciambra ma poi una volta ho visto Glory e una Gatta Cenerentola

      e, insomma, non so com'è A Ciambra ma di sicuro ho visto due grandi film ;)

      semmai ci riprovo, c'è ancora

      Elimina