sceneggiatura
dove tutto si incastra, in certi punti il film è un po' ripetitivo, e comunque
si fa seguire bene.
indeciso
tra la commedia e la tragedia (visti i molti morti, con sangue annesso), in realtà
riesce a essere un tragico film comico, dove la vita è appesa a un filo.
il film è
un po' didascalico, tutto è al suo posto e quello che ti aspetti succede, o
succede quello che ti aspetti (a scelta).
cinema
che corre, non ti lascia molto tempo per rifiatare, devi seguire la corrente,
non c'è scampo.
alla fine
comunque vince Song'e Napule, film meno di corsa, anche per chi
non è un atleta.
buona
visione (di entrambi, naturalmente) - Ismaele
…Se c’è un modo di fare cinema gioioso è quello dei
Manetti, un cinema che ti travolge di entusiasmo e ti predispone a godere di
una pellicola. Un modo di girare che si fa perdonare qualche scivolone, che
rende sofisticata anche la scelta di inserire qualche elemento kitsch, dove il
demenziale si mescola alle raffinate citazioni, alla cura registica, all'amore
per il dettaglio. Lo spettatore si ritrova davanti a un’opera felice, da
prendere con ironia…
…il plot è fragile, con un innesco narrativo da
barzellettaccia. Un boss malavitoso, sempre sotto pressione e bersaglio di
cosche rivali e forze dell’ordine, predispone insieme alla consorte un piano
per sparire dalla circolazione. Identificato un perfetto sosia, lo fanno
uccidere e organizzano un funerale col suo cadavere, mentre il boss
ufficialmente morto se ne sta acquattato nel suo rifugio. Ma già questo è più
farsa e pochade che noir, con il signor Macbeth e Lady Macbeth vesuviani mai
credibili davvero come coppia diabolica, sempre un filo bonari e de core e mai
feroci anche quando ordinano una strage via l’altra.
Son
bravissimi Carlo Buccirosso (sublime as usual) e Claudia Gerini, ma nulla
possono contro la balordaggine e l’inconsistenza e le incongruenze dei loro
personaggi. Ecco, ai Manetti non riesce proprio di tenere insieme la ferocia
del genere Gomorra (i cadaveri si
sprecano) con la ballata grottesca…
…Il lavoro di ricerca nell’underground del cinema
italiano che i Manetti Bros. portano avanti ormai da decenni ha finalmente dato
i suoi frutti, dal momento che Ammore e malavita ha finalmente
aperto gli occhi anche a quella parte di critica radical chic che si muove
strisciando dentro il mondo irreale dei Festival, c’è da dire però che il
pubblico li ha sempre sostenuti, supportati, attesi, beati quanto spiazzati da
questa loro leggerezza nel muoversi fra un genere e l’altro mantenendo sempre
uno stile personalissimo, l’ hanno capito prima di tutti gli altri come si fa
ad essere innovativi guardando con rispetto al passato.
…Non sarà perfetto, Ammore e malavita, ma non è
vero come probabilmente affermeranno in molti che si sfilacci il discorso o che
tiri eccessivamente per le lunghe il tutto: anche l’incipit, effettivamente
monstre rispetto alla prassi, è giustificato da una serie di intuizioni così
brillanti che non avrebbe senso eliminarle dal montaggio finale. Esagerano, i
Manetti, ma lo fanno con uno spirito sincero, così come il mélo espanso a cui
tanto deve il cuore appassionato di una città che trasuda letteralmente dallo
schermo, in quei canti baritonali tra le viuzze, mentre sfrecciano moto e
pallottole, o come quel mare che è esso stesso città. Vita. Mala Vita. Si muore
sia per scherzo che per verità in Ammore e
malavita; si muore per necessità e si muore perché non si
può fare a meno di essere coerenti fino in fondo. I Manetti sfidano gli
spettatori, costringendoli a immedesimarsi nel personaggio più carogna di tutti
a ben vedere, quel Ciro che tradisce davvero – da principio per una ragione più
che valida, in seguito solo per eseguire ciò che gli è stato insegnato da
ragazzo – e uccide perfino l’amico di sempre. Così, quasi a sangue freddo. Quel
Ciro che giustamente deplora il piano ordito da Don Vincenzo e donna Maria, ma
poi lo esegue a sua volta. Ma è un esecutore, per l’appunto, non un creatore:
solo alle donne è consentito “mettere in scena”, creare la tessitura narrativa,
stupire con la finzione. La più grande finzione di tutte: la morte stessa.
Quella morte che è quotidianità per chi vive nel sottobosco criminale, quella
morte che scivola fuori da ogni canzone in scena, quella morte che è parte
integrante della vita, così come l’amore, il sentimento, unico appiglio a
un’umanità imbastardita.
I Manetti, grazie anche all’ottimo lavoro di Pivio e Aldo De Scalzi in fase di colonna sonora, ordiscono un musical che sposa le regole del genere ma le rimette in scena con uno spirito scanzonato, quasi buttato via, con un’alzata di spalle. Ma non mancano le coreografie, alcune davvero minimali eppur sorprendenti (quello schioccare di dita dei fantasmi sugli scogli…), e non manca mai l’idea. Così come arriva a supporto un cast in splendida forma, a partire da un monumentale Carlo Buccirosso fino al Gennaro interpretato da Franco Ricciardi, che già aveva rapito le orecchie del pubblico in Song’e Napule intonando A verità, e che qui è un ingessato e rigoroso scagnozzo del boss. “Nun è Napule”, cantano nel finale i protagonisti, perché nessun altro posto sarà mai come casa. Nonostante le pallottole. Nonostante l’ammore e la malavita…
I Manetti, grazie anche all’ottimo lavoro di Pivio e Aldo De Scalzi in fase di colonna sonora, ordiscono un musical che sposa le regole del genere ma le rimette in scena con uno spirito scanzonato, quasi buttato via, con un’alzata di spalle. Ma non mancano le coreografie, alcune davvero minimali eppur sorprendenti (quello schioccare di dita dei fantasmi sugli scogli…), e non manca mai l’idea. Così come arriva a supporto un cast in splendida forma, a partire da un monumentale Carlo Buccirosso fino al Gennaro interpretato da Franco Ricciardi, che già aveva rapito le orecchie del pubblico in Song’e Napule intonando A verità, e che qui è un ingessato e rigoroso scagnozzo del boss. “Nun è Napule”, cantano nel finale i protagonisti, perché nessun altro posto sarà mai come casa. Nonostante le pallottole. Nonostante l’ammore e la malavita…
…Promossi a pieni voti dal pubblico del festival, i
Manetti devono evitare il rischio di accontentarsi ripetendo ad oltranza la
formula del loro successo: pur riuscito, infatti, "Amore e malavita"
risente del fatto di essere una variazione sul tema di Song' e Napule e,
quindi, di scontare qualcosa in termini di novità e freschezza rispetto al
modello di riferimento.
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