lunedì 23 ottobre 2017

…E ora parliamo di Kevin - Lynne Ramsay

Lynne Ramsay non delude.
dopo Ratcatcher e Morvern Callar ecco il suo terzo lungometraggio.
madre e figlio, che rapporto bellissimo dev'essere, ma non fra Eva (una sempre bravissima Tilda Swinton) e Kevin, qui è un inferno, non come pensi, ma molto peggio.
un film che non fa stare tranquilli.
ecco QUI il film completo, in italiano, se avete la forza, e ancora non vi ho spaventato abbastanza.
ci sarà una ricompensa, dopo la visione, quella di aver visto un grande film.
buona visione - Ismaele




il cuore del film è sicuramente nella storia d'amore tra madre e figlio, un amore-odio, pieno di ambiguità e di non detti, fatto non si sa bene se di troppa remissione, di eroica resistenza o di incontrollabile destino. Lo porta in superficie Tilda Swinton, con la rigidità che è corazza del personaggio, in verità esploso dentro, ma anche con una varietà di emozioni ben impressionanti. Non la si vedeva così convincente dalla prova di Michael Clayton
Sul fronte estetico il film è molto insistito. Troppo. Il colore del sangue è declinato e ripreso in tutti i modi possibili, con la sequenza dedicata e disturbante dei corpi imbrattati e annegati nel pomodoro - che setta immediatamente gli assi cartesiani della tragedia in corso, quello lirico e quello quotidiano, famigliare - e poi con la vernice, la marmellata, la stampa sulla T-shirt, le ferite, i bersagli. Anche il montaggio è studiatissimo, rimescolato al millimetro, costruito per la tensione. A questa estrema eleganza di modi e di temi del girato corrisponde e al contempo sfugge il tappeto sonoro, magnificamente lavorato, dal quale passa, senza soluzione di continuità, il flusso sentimentale del film: il dolore, la paura, la rabbia, lo sprazzo di felicità e la disperazione della protagonista.
Non tutto convince, in ... E ora parliamo di Kevin, ma il colpo arriva comunque allo stomaco, perfettamente assestato, come tirato con l'arco da un professionista

…Dall’omonimo romanzo di Lionel Shriver, la Ramsey ha tratto un dramma familiare che sembra un horror (Il presagio), intimista e sovraccarico di simboli. C’è persino troppo stile, un’ombra di compiacimento nella confezione. Ma è un eccesso voluto, la voglia di trasmette allo spettatore la stessa sensazione di disagio, di doloroso soffocamento, della protagonista.
Lei, Tilda Swinton è immensa. Così martoriata da martoriarci. John C. Reilly è l’inutile padre perfetto; Ezra Miller, inquietante oltre ogni immaginazione. Una maschera che s’incrinerà solo nel finale quando, dopo due anni di silenzio, risponderà un’altra volta alla madre: “Perché l’ho fatto? Prima lo sapevo, ma ora non ne sono più tanto sicuro”.
E se anche il Male fa fatica a comprendere se stesso, può allora essere perdonato?

Kevin è, sia da bambino che da adolescente, tremendamente spietato. I suoi occhi languiscono odio. Si fa incarnazione del Male che avviene "per nessuno motivo, questo è il motivo" (risponderà così ai "perché?" della madre) e farà solo un passo indietro quando, malato, richiederà le attenzioni della madre, in una parentesi lunga il tempo di una debolezza. Non c'è una spiegazione al Male che alberga in Kevin e il film si dispensa dal fungere a trattato socio-psicologico. E' la stessa oscurità che risiede sommessa in ognuno di noi e che, in alcuni casi, dirompe in tutta la sua potenza, se trova un (sotto)suolo fertile. Eva e Kevin sono uniti da un cordone ombelicale mai spezzato che anziché legare all'amore incondizionato, li ha stretti nella morsa dell'odio reciproco (?). Sono vittima e carnefice l'uno dell'altro, laddove le meschinità del figlio innescano e svelano quelle della madre. "La sconfitta della figlia è il trionfo della madre? Mamma, il mio dolore è un tuo piacere segreto?" - ci si chiede in "Sinfonia d'autunno" di Bergman. Entrambi sono intransigenti, sentiamo in una parte del film, ma mentre l'intransigenza della madre si manifesta in una visione della vita schematica che scarnifica le sfumature (se mangi tanto ingrassi, se hai un figlio perdi l'individualità), quella di Kevin sta nella sua abdicazione al male per il male. Interpretato da un Ezra Miller diabolicamente perfetto, la figura di questo figlio maledetto rischia di risultare artificiale nei suoi eccessi, ma l'ingranaggio è ben costruito e anche l'eccesso appare meno stucchevole…

Ramsay riesce nella difficile impresa di trattare anche le emozioni come fatti, componendo il film come un organismo vivo, che pulsa e disturba, molto affidandosi agli interpreti (Kevin è Ezra Miller, visto in Afterschool) e alla narrazione franta, screziata dalle sghembe melodie di Jonny Greenwood (Radiohead); un film che, non suggerendone nessuna, invita a molte letture (psicanalitiche, sociologiche, anche politiche), ma senza crogiolarvisi, anzi, preferendo la sospensione dei dibattiti e ponendo sul piatto il rapporto tra una madre Antagonista (il conflitto è continuo e si gioca su un terreno che è palese solo per i due contendenti), Vittima (l’episodio del braccio rotto è quello che stabilisce il gioco di potere di Kevin sulla donna: il bimbo sa di avere un’arma e sa che lei ne è consapevole), Totem (Kevin, sorpreso ad ammirare la gigantografia di Eva esposta nella vetrina della libreria, darà voce, a suo modo, al suo protagonismo) e Rifugio (la prostrazione della malattia abbassa le difese del bimbo e smaterializza il suo copione quotidiano, scoprendolo per quel che è: attaccato alla madre, insofferente verso la sollecitudine entusiasta e asfissiante del padre) e un figlio che se ne fa specchio deformato (il volto di Eva e Kevin si confondono nell’acqua) e che più che per vendicarsi di lei lasciandola viva e sola in un deserto, sembra distruggere ogni ostacolo (casa, padre, sorellina, passato materno – remoto e prossimo -) per un resetmostruoso che gli consenta, infine, di amarla ed esserne amato. Nel dolore, ma liberamente.

Il talento della regista si conferma nell’intensità di alcuni dettagli e divagazioni nella trama visuale del quotidiano, nell’eleganza dei raccordi temporali e negli accordi stridenti fra immagini e tappeto sonoro, come quando vediamo Eva abbandonarsi al ‘sollievo’ di un martello pneumatico che copre gli strilli incessanti del marmocchio o quando si trova attorniata da maschere di Halloween che sfilano con la tintinnante Everyday di Buddy Holly in sottofondo. Purtroppo questi spunti felici finiscono per accatastarsi in un catalogo di vezzi autoriali e il film indulge troppo nella fascinazione per il suo tessuto visivo, che progressivamente perde di tenore drammaturgico, si sfibra e lascia scoperto soprattutto un simbolismo materico tanto pesante quanto privo di sostanza. Del resto questa esibizione insistita, per quanto possa irritare, non merita nemmeno di essere liquidata come puro compiacimento formalista o ingenua velleità manipolatoria. Nell’esplicita volontà di shock con cui Ramsay inquadra e monta il film potrebbe infatti risiedere la sua unica riuscita estetica, in quanto narrazione disgregata e paradossale di una condizione post-traumatica: allora l’aggressione sensoriale nei confronti dello spettatore si giustifica soprattutto come un tentativo di esprimere lo sconvolgimento psichico di Eva e, per quanto questo risulti a volte maldestro, almeno nell’interpretazione attonita e disincarnata della Swinton bisogna riconoscere una rappresentazione esemplare di soggetto shockato. Purtroppo il film, come i suoi personaggi, sembra restare intrappolato nel gioco di riflessi dell’immaginario, rifiutandosi di affrontare davvero l’irruzione del Reale che ogni trauma porta con sé.

Ottimo dramma...e anche piuttosto disturbante.
Il film non è assolutamente confusionario, anzi nel suo complesso andare avanti e indietro nel tempo è molto preciso e chiaro nel raccontare, certo non è un film leggero e soprattutto deve essere seguito attentamente e senza distrazione per cogliere la ricostruzione dei fatti adeguatamente.
Ed è proprio questa ricostruzione che mantiene acceso l'interesse e mi invoglia a continuare entusiasta la visione.
I dettagli della storia vengono sapientemente svelati a poco a poco facendo intuire lentamente ciò che succederà fino all'atroce finale.
Recitazione ottima degli attori, la Swinton da Oscar.
Anche le musiche sono adatte, sempre un pò allegre vanno a generare un contrasto fortissimo con la drammaticità delle situazioni che si creano.
Una lunga planata sul rapporto tra genitori e figli che senza approfondire troppo lascia più spazio all'insensata cattiveria dell' essere umano.
Averne di drammatici con questi risultati; molto attuale come tema.
Consigliatissimo ma forse non per tutti.

…“e ora parliamo di Kevin” è un film complesso, le cose da dire sono tante, forse troppe. Sicuramente questa recensione non sarà esaustiva, anche perché è una pellicola che si presta molto ad un’interpretazione soggettiva, quindi è probabile che molti non concordino con quanto è stato detto.
È però indubbio il fatto che sia realizzato con una cura maniacale per i particolari, da ogni punto di vista. Il sonoro, il montaggio, la regia sono tutti studiati per creare un’esperienza unica: un viaggio all’interno della mente della protagonista.
Gli attori regalano delle performance straordinarie, soprattutto Tilda Swinton qui alle prese con quella che forse è la sua migliore interpretazione di sempre.
Siamo davanti ad un film veramente straordinario e purtroppo non conosciuto come dovrebbe, nonostante non siano mancati vari riconoscimenti.

Quello che sorprende de film non è solo la capacità di raccontare ma la grandissima qualità dell'insieme.
La regia è strepitosa, gioca con i dettagli in una maniera straordinaria (le unghie e le palline di pane disposte sul tavolo, la capacità di cogliere gli sguardi- quel bersaglio nella pupilla è quantomai emblematico), regala di continuo sequenze e inquadrature di classe, tutto supportato da una sceneggiatura che gioca perfettamente con 3,4 piani temporali, sa dosare i silenzi e le poche battute, dissemina nel film pochi ma decisivi rimandi (vedi il libro di Robin Hood), senza farsi mancare una fortissima carica metaforica, soprattutto nelle innumerevoli scene in cui la madre pulisce. Tutto quel rosso, di pomodori, di vernice, di marmellata, tutto è segno premonitore o, al contrario, di elaborazione del lutto dell'incredibile tragedia che verrà.
Livelli altissimi anche in colonna sonora, quasi tutta concentrata nei viaggi in macchina della madre.
Gli attori sono magnifici, Tilda Swinton, novella Shelley Duval di Shining per fattezze e ruolo, è su livelli incredibili e anche Ezra Miller, con quello sguardo acerbamente assassino non gli è da meno. Curioso come Miller abbai già interpretato un ruolo quasi identico in un altro film, Afterschool (pellicola come al solito massacrata da tanti ed esaltata da me, son troppo buono, è un dato di fatto)…

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