Corrado è un bravo poliziotto e viene mandato in Libia, per fare un affare, dare soldi, molti soldi, in cambio si tengono laggiù i migranti (come l'Europa aveva fatto con la Turchia).
niente di morale in questo, solo realpolitik, servono fatti notiziabili, perché la politica non vive di ideali e principi, solo di voti e potere, che si conservano adeguandosi alla pancia del paese.
la cosa importante è non mischiare mai il noi con il loro.
noi possiamo comprare tutto, loro non hanno (più) niente, hanno solo i loro corpi, oggetto di violenze e compravendite, non sappiamo i nomi, non sappiamo niente, non dobbiamo sapere niente.
in mezzo ci sono i più schifosi degli schifosi, Corrado lo sa, con loro si fanno gli affari, ci si tappa il naso, e si va avanti.
il film si apre in una bella casa della Padova bene, si chiude nella stessa bella casa della Padova bene.
in mezzo tutto quello che si deve fare perché niente turbi quello che accade nella bella casa della Padova bene, a qualsiasi costo.
buona visione - Ismaele
niente di morale in questo, solo realpolitik, servono fatti notiziabili, perché la politica non vive di ideali e principi, solo di voti e potere, che si conservano adeguandosi alla pancia del paese.
la cosa importante è non mischiare mai il noi con il loro.
noi possiamo comprare tutto, loro non hanno (più) niente, hanno solo i loro corpi, oggetto di violenze e compravendite, non sappiamo i nomi, non sappiamo niente, non dobbiamo sapere niente.
in mezzo ci sono i più schifosi degli schifosi, Corrado lo sa, con loro si fanno gli affari, ci si tappa il naso, e si va avanti.
il film si apre in una bella casa della Padova bene, si chiude nella stessa bella casa della Padova bene.
in mezzo tutto quello che si deve fare perché niente turbi quello che accade nella bella casa della Padova bene, a qualsiasi costo.
buona visione - Ismaele
ps: qui appare lo stesso bar, a Roma
…ne L’ordine delle cose la volontà è quella di dimostrare che non c’è più
confronto possibile con l’Altro per un uomo che, svolgendo il ruolo di
funzionario anti-immigrazione, non può che aver perso – secondo un facile
assunto – ogni sentimento d’altruismo.
Ma se l’ambiguità morale del suo protagonista, interpretato da un convincente Paolo Pierobon, è evidente, ciò avviene perché per l’appunto è data per scontata dal suo ruolo, e appare piuttosto ben poco stratificata e chiaroscurata nel corpo del personaggio. La sua ossessione per l’ordine, ad esempio, ha poco seguito e viene solo accennata, così come l’hobby della scherma – semplice messa in scena di un combattimento, mentre in Libia si combatte e si muore veramente – è buttato lì come suggerimento ed evocazione, senza regalare ulteriori connotazioni.
Allo stesso tempo, Segre non ha la forza di far emergere contraddizioni violente né sembra troppo intenzionato a proporre con lucidità delle analisi politiche sulla questione (come invece avviene in certo cinema americano, si pensi solo a Syriana o al più recente Aspettando il re). D’altronde il personaggio interpretato da Battiston, funzionario che agisce in loco, dice sulla divisione del potere tra diverse tribù in Libia il minimo necessario, quello stesso che si può tranquillamente già sapere avendo letto qualche titolo recente di giornale; mentre il paese africano così come viene ritratto da Segre è un po’ di copertina, con un luogo di prigionia che è sin troppo scontato nel suo essere un maleodorante sito di contrizione dove i manganelli vengono agitati contro i malcapitati migranti.
Ma se l’ambiguità morale del suo protagonista, interpretato da un convincente Paolo Pierobon, è evidente, ciò avviene perché per l’appunto è data per scontata dal suo ruolo, e appare piuttosto ben poco stratificata e chiaroscurata nel corpo del personaggio. La sua ossessione per l’ordine, ad esempio, ha poco seguito e viene solo accennata, così come l’hobby della scherma – semplice messa in scena di un combattimento, mentre in Libia si combatte e si muore veramente – è buttato lì come suggerimento ed evocazione, senza regalare ulteriori connotazioni.
Allo stesso tempo, Segre non ha la forza di far emergere contraddizioni violente né sembra troppo intenzionato a proporre con lucidità delle analisi politiche sulla questione (come invece avviene in certo cinema americano, si pensi solo a Syriana o al più recente Aspettando il re). D’altronde il personaggio interpretato da Battiston, funzionario che agisce in loco, dice sulla divisione del potere tra diverse tribù in Libia il minimo necessario, quello stesso che si può tranquillamente già sapere avendo letto qualche titolo recente di giornale; mentre il paese africano così come viene ritratto da Segre è un po’ di copertina, con un luogo di prigionia che è sin troppo scontato nel suo essere un maleodorante sito di contrizione dove i manganelli vengono agitati contro i malcapitati migranti.
Come al solito in questi casi, insomma, non è sufficiente condividere
una indignazione profonda verso l’olocausto in corso a pochi chilometri da noi,
sulla cosiddetta ‘quarta sponda’ di fascistissima memoria, i cui metodi
purtroppo si replicano a ciclo continuo anche se perfezionati sul piano
dell’immagine. In casi come questi è proprio l’immagine – e, con sé, l’emozione
– a dover colpire e stupire, anche a dover scioccare volendo. E invece Segre
sembra purtroppo seguire pigramente il filo di un decoroso e inane film
impegnato.
…Andrea Segre si conferma regista
sobrio e talentuoso, un autentico specialista sul tema dell'immigrazione che,
dopo i due precedenti film di finzione (Io sono Li e La prima neve), viene
affrontato da una prospettiva inedita nel nostro cinema. Ed è qui che Segre
compie il suo capolavoro: riuscire a raccontare senza fronzoli, né
didascalismi, la complessità del sistema che dovrebbe gestire il dramma dei
profughi, tra loschi interessi del governo libico, soldi tintinnanti elargiti
non sempre in maniera avveduta dall'Unione Europea, gestione dei cosiddetti
centri di accoglienza e sedazione dell'opinione pubblica. Arriva così a
realizzare un'opera importante e necessaria, grazie a un'ottima scelta di cast
(Pierobon è perfettamente in parte), a un ritmo controllato ma tutt'altro che
sonnolento e a una declinazione delle diverse situazioni che non scivola mai
nella caricatura né tanto meno nel giudizio affrettato.
…Ciò che colpisce ne "L'ordine
delle cose" non è tanto la scoperta di un paese che non riesce ad essere
all'altezza dei suoi propositi e, nella fattispecie, il tentativo di Corrado di
aiutare l'emigrata con cui entra casualmente in contatto (violando le regole
del protocollo) e alla quale promette l'aiuto necessario per raggiungere il
marito emigrato in Finlandia. Se fosse tutto qui "L'ordine delle
cose" sarebbe persino scontato, talmente risapute appaiono le sue
conclusioni. Diversamente, a fare la differenza nel lavoro di Segre è la
credibilità dell'esperienza esistenziale del protagonista, il cui excursus,
equamente diviso tra le procedure (più o meno lecite) messe in campo per
convincere la controparte ad accettare le richieste dello Stato italiano e gli
scrupoli e i dubbi che ne tormentano la coscienza, concorre a delineare un
quadro narrativo continuamente in bilico e dal quale lo spettatore è preso ogni
volta in contropiede. Va aggiunto come Segre, al contrario dei lavori
precedenti, non vada alla ricerca di un realismo che favorisca una maggiore
adesione da parte dello spettatore, preferendo una rappresentazione più
costruita e, diremo pure, esemplare rispetto alla materia trattata. Prova ne
sia la scelta di discostarsi dallo stile documentaristico che aveva marcato i
suoi lavori più importanti per una messa in scena controllata, in cui la
profondità psicologica dei personaggi viene bilanciata da un uso di campi medi
e lunghi che - allontanando gli attori dalla mdp - segnalano una propensione di
giudizio quanto più imparziale possibile rispetto alla materia trattata.
…Si tratta di cinema civile nel
senso più appropriato del termine, di fronte a molta e troppa inciviltà che
percorre tanto cinema contemporaneo. Cinema cioè che possiede, al contempo, le
strutture di base espressive e narrative per produrre opere che mantengono
emozione e attenzione e le coordinate di senso che non esauriscono il film
nella sua visione ma che pongono interrogativi e inquietudini degni di essere
approfonditi e, se possibile, di trovare risposta. Il lavoro di Andrea
Segre e dei suoi collaboratori, in questo senso, è anche un lavoro
concretamente politico.
segnato xD
RispondiEliminaoggi, dice Mymovies, 12 copie in tutta Italia.
Eliminanon sarà facile trovarlo, ma ne vale la pena
https://www.movietele.it/film/l-ordine-delle-cose-andrea-segre/incassi