dice Pedro Almodóvar, presidente all'ultimo Festival
di Cannes dove il film film è stato premiato con il Gran Prix della Giuria, che
i giovani di Act Up sono stati “veri
eroi che hanno salvato milioni di altre vite”.
di questo racconta il film, di un gruppo di persone che ha
la data di scadenza marchiata sulla schiena, in maniera indelebile, che lotta
per se stessi, per vivere qualche anno in più, e per gli altri, contro il
potere politico e le imprese farmaceutiche per cui la vita è business e
profitto.
l'Aids era la punizione divina verso persone cattive,
secondo alcuni, allora, e poi anche una malattia, da curare senza troppa
urgenza.
quei giovani che combattono per gli altri, per tutti, e di
conseguenza anche per sé, contro un potere cinico e assassino, sono i
protagonisti di un film politico che non si dimentica.
ma 120 battiti al minuto è anche un film
sull'amicizia, sull'amore, sulla rabbia, sull'organizzazione di un gruppo, sul
sorriso, sulla solidarietà, sulla pietà, sulla tenerezza, sulla paura, sul
coraggio, sull'altruismo.
naturalmente è in pochi cinema, naturalmente è vietato ai minori di 14 anni.
vuoiti bene, vai a vedere 120 battiti al minuto, ti
farà solo bene.
si astengano gli indifferenti - Ismaele
ps: se uno ha bisogno di riferimenti, Philadelphia e Milk possono bastare?
ps: se uno ha bisogno di riferimenti, Philadelphia e Milk possono bastare?
( QUI il sito di Act Up-Paris)
…mi sono accostato diffidente, visto il tema
ultrapoliticamente corretto intorno a cui si snoda, nientedimeno che le lotte
del gruppo d’assalto omosessuale Act Up nella Parigi primi Novanta segnata
dall’Aids, lotte contro certe case farmaceutiche (Big Pharma! ancora!) accusate
di ritardare la messa in commercio di nuovi farmaci più efficaci del fino ad
allora usato AZT. Ecco, m’aspettavo un film militante a una sola dimensione,
vecchia maniera, con schematismi ideologici, rigida divisione di campo tra
buoni e cattivi, netta demarcazione tra bene e male. Robin Campillo si attiene
in apparenza a questo modello, in realtà lo mette in cinema smorzando i toni
declamatori, abbassando le urla da piazza, ammorbidendo le asperità
combattenti, e riuscendo pure a evitare le spieghe e i tecnicismi medicali che
in una narrazione si sa sono un tossico letale. Con scelta felice situa la
macchina da presa ad altezza d’uomo, e sono le persone, sono le anime e i corpi
infragiliti dalla malattia, devastati e corrotti nella fase terminale
dell’Aids, che a lui importano (e pure a noi spettatori, se è per questo), più
che il turgore della lotta. Mai si sacrificano (nel racconto) gli umani al
messaggio, alla causa, capovolgendo quello che è stato il dogma di molto
rivoluzionarismo di ogni tipo, genere e colore, ovverossia il primato della
prassi e del collettivo sulla soggettività e l’individuo, sempre sottomesso al
Grande Disegno della Storia…
…E’ cinema, quindi avvolge lo spettatore, gli fa
scoprire atti di guerriglia mediatica intelligente, commuove i sensibili con le
storie personali, seduce i cinici con l’audacia della regia e del montaggio…
…120 battements par minute è infatti un film orgogliosamente identitario, e
mette in scena il momento in cui gay e lesbiche diventano un corpo
profondamente politico, uscendo in strada, invadendo lo spazio pubblico senza
accontentarsi di un riconoscimento, anzi ponendosi come testa d’ariete per i
diritti di tutti i sieropositivi e i malati, omosessuali e non, presenti e
futuri. Questa puntuale alternanza tra pubblico e privato capace di diventare
identità (perché in guerra, come in amore, il privato può e deve essere
pubblico), questa impudicizia registica che mette in scena la malattia senza
retorica ma raccontando la quotidianità del dolore e della morte, questo sano
gusto per un racconto pensato per il pubblico ma orgogliosamente intimo, fanno
del film di Campillo un modello di cinema politico non comune nel panorama
contemporaneo. Un film che non s’imbarazza di fronte alla commozione e non si
arrocca nell’autoreferenzialità pur rivendicando la peculiarità delle proprie
ragioni più profonde. Un film, come il movimento politico che racconta, che
nasce e qualifica una comunità per tuffarsi nel mondo, fino ad aprirgli gli
occhi. Campillo mette in scena ragazzi e ragazze che imbrattano i muri di
sangue finto per ricordare l’importanza di quello vero, che distribuiscono
preservativi a scuola per proteggere anche chi li guarda con il disprezzo di
chi “a me non succederà mai”, che combattono ed esorcizzano la morte che li
minaccia con azioni – allegre tristi commosse – vissute come schiaffi in faccia
a chi non vuol vedere. E se non tutto funziona alla perfezione, e a tratti il
film si mantiene in piedi grazie al vitalismo contagioso dei giovani
interpreti, il risultato finale è di sincerità disarmante e di concretissima e
liberatoria vitalità.
…120 battiti al minuto è un film furente e fiero, mai conciliatorio,
carico di rabbia, passione, orgoglio, frustrazione e umanissima pietas.
Un film di sangue e di corpi. Il sangue corrotto e infetto che terrorizza i
medici, i poliziotti, i politici e gli attivisti stessi, e di cui
simbolicamente si tinge l'intera Senna in una sorta di minaccioso moral
panic collettivo di dirompente potenza visiva. I corpi degli
attivisti, piagati e logorati, sui quali viene combattuta una battaglia
personale e politica al tempo stesso, che pure rigettano l'idea di farsi
definire solo dalla malattia e non rinunciano mai a essere corpi erotici,
carnali, amicali, accoglienti.
Ne è incarnazione filmica la folgorante scena finale, che coerentemente congeda lo spettatore in modo brusco e tranchant. La musica techno e le luci strobo fondono in un unico flusso indistinto un giocoso ballo in discoteca, una plateale manifestazione pubblica e un momento di lancinante tensione sessuale. In questa sovrapposizione intensissima, che non conosce soluzione di continuità, è condensato il senso ultimo del film e della battaglia spericolata e ardita di uomini e donne che, semplicemente, si rifiutano di morire. Di smettere di vivere, di smettere di essere vivi.
Ne è incarnazione filmica la folgorante scena finale, che coerentemente congeda lo spettatore in modo brusco e tranchant. La musica techno e le luci strobo fondono in un unico flusso indistinto un giocoso ballo in discoteca, una plateale manifestazione pubblica e un momento di lancinante tensione sessuale. In questa sovrapposizione intensissima, che non conosce soluzione di continuità, è condensato il senso ultimo del film e della battaglia spericolata e ardita di uomini e donne che, semplicemente, si rifiutano di morire. Di smettere di vivere, di smettere di essere vivi.
120 Battiti al minuto è, infatti, anche e soprattutto un film sulla vita,
sull’amore, sul dolore, sulla speranza e sulla sua negazione; un film corale,
polifonico, nel quale il punto di vista non è mai univoco ma viene prestato
allo spettatore attraverso un susseguirsi di incontri/scontri di opinioni, di
interpretazioni e di voci discordanti. Una storia quasi urlata, capace di
trasformarsi, nei momenti più “alti” e intimisti, in un flebile mormorio; una
storia rabbiosa e impetuosa, come un fiume in piena, eppure mai sopra le righe…
…Potremmo definire 120 Battiti al
minuto un film universale, tanti e tali sono i temi che l’opera
tratta (amore, sofferenza, malattia, assenza), ma non si può non stigmatizzare
il fatto che siano le piccole storie, le situazioni più ordinarie (le
discussioni, i litigi, gli abbracci, il sesso, la voglia di ballare e di
lasciarsi tutto alle spalle, anche se solo per poche ore) ad innalzare
all’inverosimile il grado di immedesimazione con i protagonisti, a farceli
sentire così vicini, così “reali”.
Stando ben attento a non cedere ad un
facile patetismo di facciata (che troppe volte ha delegato al cinema il compito
di farsi portavoce di un qualsiasi malessere sociologico) e a non scivolare nei
cliché del melodramma, Campillo è stato capace di costruire, spinto
dall’esigenza di raccontare un’esperienza vissuta in prima persona, una storia
dal ritmo frenetico, cruda, dalle sfumature documentaristiche (l’utilizzo della
macchina a mano è esemplare, in tal senso), che non può e non vuole lasciare
indifferenti…
…120 battements par minute non è un film raffinato, in senso
cinematografico, ma la fotografia, il lavoro sulla durata e la drammaturgia
riescono a far funzionare, in maniera armonica, un’idea che diventa l’idea
centrale, e che di conseguenza sa raccontare con un’energia narrativa nuova un
tema già affrontato altre volte come l’Aids, e le discriminazioni moltiplicate
dalla paura del contagio e della malattia.
L’idea forte, infatti, è questa: mostrare quanta vitalità e quanta narrazione possa sprigionarsi da un’esperienza vissuta non da una singola figura carismatica, ma da un insieme di persone, un gruppo, che prendono parte a qualcosa. Il film di Campillo è un’esperimento sull’attivismo tanto come tema che come forma perché non ci spiega, né ci mostra una situazione, ma ci butta dentro un gruppo in azione, facendoci partecipare, attraverso le scene corali girate e montate con un effetto di presa diretta, a delle azioni di gruppo; e facendoci vivere l’esperienza di scoprire via via, anche secondo una scansione teatrale, cosa può accadere…
L’idea forte, infatti, è questa: mostrare quanta vitalità e quanta narrazione possa sprigionarsi da un’esperienza vissuta non da una singola figura carismatica, ma da un insieme di persone, un gruppo, che prendono parte a qualcosa. Il film di Campillo è un’esperimento sull’attivismo tanto come tema che come forma perché non ci spiega, né ci mostra una situazione, ma ci butta dentro un gruppo in azione, facendoci partecipare, attraverso le scene corali girate e montate con un effetto di presa diretta, a delle azioni di gruppo; e facendoci vivere l’esperienza di scoprire via via, anche secondo una scansione teatrale, cosa può accadere…
QUI
Robin Campillo parla del film
il film nelle parole di Pedro Almodóvar
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