lunedì 30 ottobre 2017

Una donna fantastica - Sebastián Lelio

muore Orlando. e Marina, la sua compagna, viene colpevolizzata, dalle autorità, ed emarginata, dai familiari di lui, anche con la violenza (tranne che dal fratello di lui, Luis Gnecco, il Neruda di Pablo Larraín, ma nelle dinamiche familiari non conta molto).
Marina soffre, vuole esserci, vuole salutare Orlando, e poi vuole fare la sua vita, senza fare del male a nessuno, senza rancore. 
fa la cameriera e viaggia "in direzione ostinata e contraria", in un mondo che non la vuole, magari perché nella sua carta d'identità c'è (ancora) un nome da uomo, ma lei è una donna.
la musica è la sua amica e consolazione, alla fine canterà come cantano gli angeli.
Marina (Daniela Vega) è straordinaria, lei è il film, è davvero una donna fantastica, senza bisogno di superpoteri.
naturalmente è solo in una cinquantina di sale, cercatelo, non ve ne pentirete - Ismaele






…La sua Marina è la migliore delle compagne, la migliore delle vedove, la migliore delle amiche e la migliore donne. È saggia, paziente e discreta, e la sua discrezione è la migliore delle armi: dimostra la miseria intorno a lei ed evidenzia il lato ipocrita e gretto dell’essere umano. Ci sentiamo in imbarazzo per tutti i cretini con cui ha a che fare. E questo è il vero punto di forza della pellicola prodotta dal clan Larrain (Juan de Dios Larraín, Pablo Larraín ed Estefanía Larraín, non a caso compaiono nei crediti della crew).
Una Mujer Fantastica con classe, soppesando le parole, evitando scene che esibiscono troppo ci colpisce e forse riesce ancor meglio nell’intento di farsi udire dai sordi. È un’opera bella per la sua sobrietà e per il modo discreto con cui ci ricorda che violare la dignità di un essere umano non ci rende migliori, mortificare e negare l’altro da noi è sinonimo di pochezza e inizia davvero a stancare.
Una Mujer Fantastica è una di quelle piccole perle che ci ricordano perché amiamo kermesse come la Berlinale. La speranza è che non rimanga circoscritto a prodotto per il circuito LGTB. È un film drammatico, fine, garbato, da vedere.

Importante, anzi fondamentale per la riuscita dall'opera, che ricorda la celebrazione di certe indimenticabili valorose, e funestate dagli eventi, eroine almodovariane, la presenza di una protagonista, Daniela Varga, che ben conosce e vive, almeno a livello fisico (è realmente un transessuale), i disagi della sua fiera alter-ego cinematografica, eroina dolente e dignitosa che sa guardare oltre l'umiliazione e gli oltraggi ricevuti dai prepotenti ed ingordi familiari in malafede del caro estinto, salvaguardando dignità ed ostentando una legittima e disinteressata vocazione al martirio terreno che la rende una eroina iconica degna di essere ricordata e celebrata…

Il pregio maggiore della pellicola risiede però, essenzialmente, nella gestione drammatica del racconto, nella dilatazione di sguardi, dialoghi, rabbia e delusioni. Se, come abbiamo potuto già spiegare, l'evidente ricerca estetica risulta coerente con il tema della narrazione, allo stesso modo l'abilità di Lelio permette di donare sincera potenza anche alle scene meno convincenti. Dove, ad esempio, troviamo l'abusato espediente del rapimento violento ai danni della protagonista, il regista fugge le trappole dei cliché con una ripresa - lunga, insistita e sgradevole - sul volto della vittima deformato a causa del nastro adesivo applicato. E ancora: in un semplicissimo dialogo, di cui già accennato inizialmente, tra Marina e la (ex-)moglie del compagno deceduto da poco, Lelio, facendo unicamente ricorso a un campo-controcampo, a una direzione impeccabile degli attori e, soprattutto, a un montaggio teso ad attribuire maggior peso specifico alle reticenze o leggere alterazioni del viso più che alle parole in sé, riesce a fornire inaudita complessità all'intera sequenza…

Una donna fantastica vince la sua scommessa puntando su silenzio e sottrazione, osservando Marina nel suo agire e reagire agli ostacoli (la famiglia di lui, la polizia), senza trasformarla nell’eroina stucchevole di una lotta per i diritti. Non ci sono slogan, non ci sono militanze né striscioni da gay pride, c’è solo la vita. Marina si muove per la propria dignità, il rispetto di sé, e per l’uomo che ha perduto. Nell’ultima mezz’ora la perfetta austerità della messinscena (molte inquadrature frontali, dialoghi misurati e essenziali, retorica assente) si sfrangia in qualche scena non così necessaria. Ma il film tiene avvinti dalla prima all’ultima inquadratura e vince la sua scommessa. Adesso qualcuno si spinge a ipotizzare una nomination di Daniela Vega all’Oscar  per la migliore interpretazione femminile, e sarebbe la prima volta di una trans. Vega se lo meriterebbe. Stiamo a vedere.

…Fort d’imposer, en quelques scènes, l’amour qui unit Orlando et Marina, Sebastián Lelio trouve la juste distance afin d’observer sa protagoniste tout en transcendant littéralement son ressenti. Est-elle placée face à nous que les mots qui lui sont adressés ou, pire, qui sont employés pour parler d’elle (comme si elle n’était pas dotée d’ouïe) nous heurtent de plein fouet.
Au fil d’une réalisation en tout point maîtrisée, le réalisateur nourrit son approche de notes oniriques (à l’instar des apparitions d’Orlando) ou métaphoriques qui permettent d’exacerber le desarroi de celle qui ne parvient réellement à exprimer sa douleur qu’en frappant un punching ball. La musique sera à nouveau un exutoire, cependant renouvelé jusqu’à faire corps avec Marina. Ancrant enfin un jeu particulier sur le reflet – net ou trouble ; difforme ou régulier – Sebastián Lelio nous confronte à notre propre miroir autant qu’à celui de nos sociétés et questionne habilement les notions de normalité et de monstruosité (tristement ordinaire)

La naturalidad y honestidad con que presenta a Marina y el modo en el que desvela su condición son simplemente unos de los pocos ejemplos de la delicadeza y el cariño con los que Lelio cuida a sus personajes. La cámara busca constantemente su rostro, la interroga para descubrir detrás de sus ojos la tristeza y la incomprensión de una persona que, como cualquier otra, lo único que busca y reclama es afecto. De la misma manera, cuando la presión es demasiado fuerte y Marina empieza a tocar fondo, Lelio consigue levantarla mediante la fantástica resolución de la escena en la discoteca: una mirada hacia el interior del personaje a la que no renuncia en ningún momento. Y así transcurren los minutos, en una lucha contaste por resistir y mantenerse en pie, la excusa perfecta para que el director chileno haga una delicada y certera radiografía de Marina a la vez que salpica la historia de pequeñas pinceladas que apuntan a un problema de intolerancia que no debería entenderse como algo exclusivo de la capital chilena, sino como un mal global de la sociedad actual.

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