mercoledì 18 ottobre 2017

On the Milky Road: Sulla Via Lattea - Emir Kusturica

i film di Emir Kusturica sono riconoscibilissimi, hanno tante caratteristiche comuni, non sono film girati in una stanza, si corre molto, tanta musica, si ride e si piange, il dramma è sempre lì, ma lo si affronta non si fugge.
lo ricorda a Kosta il pastore alla fine del film, e Kosta diventa un po' come un monaco di un film di Kim Ki-duk, senza scappare.
e Monica Bellucci non fa solo la bambolina, ma fa l'attrice, miracolo di Kusturica.
storia folle, naturalmente, e non è il suo film migliore, ma è sempre Kusturica, lui è fatto così, meno male.
buona visione - Ismaele






Lo sappiamo tutti che Monica Bellucci non ha più ventanni e Emir Kusturica ha visto tempi migliori. Ma non è giusto bollare questo loro ultimo film come “kitsch senza riscatto” (Ferzetti, new entry sul “Fatto”) o avanzo di magazzino da presentare a fine stagione. Proprio mentre la Bellucci fa la madrina a Cannes, poi.
Per me questo On The Milky Road – Sulla Via Lattea, scritto e diretto da Emir Kusturica e prodotto, fra i tanti, anche dal messicano Guillermo Arriaga, col regista anche protagonista pazzo d'amore per Monica Bellucci mentre infuria la guerra dei Balcani e piovono bombe e pallottole di ogni tipo è magari un po’ vecchiotto, ma divertente, magicamente scombinato, pieno di musicona e totalmente adorabile. E lei ha preso qualche chilo, ma è sempre bellissima…


Se alla sovrabbondanza e al caos della messinscena un tempo faceva eco un incedere metaforico, disordinato e quasi non-narrativo della storia (Il tempo dei gitaniGatto nero, gatto bianco) proprio perché l’astrazione era la forza stessa di questo cinema così personale, ora ogni elemento del racconto, ogniemozione, ogni sentimento viene sottolineato, ripetuto ed espresso in maniera diretta, senza alcun grado di astrazione. Aggiungere qui significa imboccare lo spettatore sino a farlo scoppiare, significa usare le metafore come lame invece che come spilli e ogni aggiunta è come un altro colpo di badile sopra un mucchio di terra: serve solo a coprire e deformare quello che sta sotto. Motivo per cui anche la presenza del regista – che come sempre non dà giudizi sul conflitto etnico ma il cui pensiero, leggibile fra le righe, sembra sempre più radicale – anche come attore, lascia il sospetto che il desiderio di esserci e di dire come la pensa in prima persona sia più una voglia di gridare forte, in faccia agli altri tutto quello che ha in corpo. Senza più il filtro e la grazia del suo cinema di un tempo. Quello che oltre bello da guardare era anche bello da capire. Perché su quest’altro di cinema inevce, è rimasto ben poco da dire.

On the Milky Road – Sulla Via Lattea è un film diviso in due.
A un incipit più corale e rumoroso si contrappone infatti una seconda parte in cui i due protagonisti fuggono dall’orrore della pulizia etnica e il ritmo si fa più etereo.
E se Kusturica maneggia quasi a occhi chiusi lo strambo materiale umano, comprensivo di musica bandistica e momenti di sfrenata comicità chapliniana, presente nella prima metà, mostra meno dimestichezza quando si tratta di destreggiarsi con i mezzi toni e, soprattutto, con i sentimenti.
Così, nel momento in cui l’ironia viene a scemare, finisce col farsi avanti anche un po’ di noia. Fino ad un finale che, paradossalmente, rimette insieme i pezzi grazie a una deflagrazione.
La sensazione è che Kusturica, come il Fellini più maturo, non possa fare a meno delle caotiche costanti visive che lui stesso a creato. Il che se da un lato può anche essere visto come un limite formale, dall’altro è un chiaro attestato di come il regista di Gatto nero, gatto bianco sia ormai da considerare a tutti gli effetti un classico.

E’ difficile difendere questa prova di Kusturica, talmente sconquassata ed eccessiva, facile preda di qualsiasi tipo di critica. Non si può però non riconoscere come On The Milky Roadnon tema giudizi per quanto è rigurgitante, letterale, spudorato nel mettere in scena il suo autore e le sue visioni, ai limiti del ridicolo, senza filtri. Insomma, c’è un’indiscutibile senso di libertà, che suppur destinato a congelarsi in uno dei finali più belli di tutto il concorso veneziano, mostra più coraggio rispetto a molto del cinema che siamo costretti a vedere.
La prima sequenza musicata del film e il macello splatter del gregge di pecore sul campo minato restano impresse nella memoria, in un’opera tanto imperfetta quanto affascinante.

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