un film che richiede attenzione, la sceneggiatura a incastri non vuole gente distratta.
i fischi sono l'anima del film, fatto di inganni, poliziotti corrotti, lotte senza quartiere e amore, sì amore!
un film da non perdere, promesso.
Corneliu Porumboiu è una garanzia.
buona (fischiettante) visione - Ismaele
“…Alcuni anni fa ho visto un reportage sul
linguaggio dei fischi utilizzato sull’isola La Gomera. Avevo appena finito di
montare Politist,
adjective e avvertivo il bisogno di distrarmi un poco e allora, incuriosito, ho iniziato a leggere
tutto quanto sono riuscito a recuperare su questo argomento che avevo trovato
molto interessante. Sono andato anche sull’isola per capire che effetto mi
facesse la verifica in loco di questa particolare forma di comunicazione. E’
così che mi sono convinto di dover scrivere un film che avesse al centro questo
linguaggio singolare ma anche divertente e inusuale. Più che un’immagine
dunque, è stato un suono a scatenare l’ispirazione che mi ha portato poi a
girare questo film (...) che ha certamente a che fare con la cosa che mi
interessa maggiormente che è poi lo studio del linguaggio cinematografico e le
sue possibili variazioni. Parlo soprattutto del linguaggio dei simboli che
trovo molto adatto da applicare a un cinema che vuole essere anche politico ma
in una forma non strettamente canonica. Più passa il tempo insomma, più mi
accorgo di essere interessato soprattutto a come voglio dire le cose piuttosto
che a cosa voglio dire e
questa mia ultima fatica credo sia la dimostrazione pratica di tutto questo”.
(Corneliu Porumboiu)
La
Gomera – L’isola dei fischi pone in
secondo piano l’analisi politica e sociale che contraddistingue il cinema
rumeno contemporaneo, focalizzandosi invece sui temi del controllo e del
linguaggio. Ivanov regala l’ennesima formidabile interpretazione, interpretando
totalmente in sottrazione un personaggio grottesco, capace di mantenere la sua
glaciale maschera nelle situazioni più assurde (come quando si concentra
sull’apprendimento della lingua dei fischi) e costretto in una sorta di
prigione invisibile, in cui le sbarre sono gli sguardi degli altri personaggi e
il controllo che essi esercitano su di lui. Una prigione da cui può evadere
soltanto attraverso un arcaico linguaggio, che sfugge ai giochi di potere a cui
Cristi dovrebbe sottostare. La coerente e toccante evoluzione di questo
personaggio è la pietra angolare de La Gomera – L’isola dei fischi,
il simbolo della volontà del regista di giocare coi generi e con le atmosfere
per poi riconnettersi a sentimenti profondi e universali.
Complementare a Cristi è l’ammaliante e
furba Gilda, che la Marlon nobilita con un’interpretazione fatta non soltanto
di avvenenza e sensualità, ma anche e soprattutto di espressività nei momenti
che determinano il suo personaggio: una manipolatrice che non ha alcuna remora
nell’utilizzare il suo corpo e il suo ascendente per ottenere ciò che vuole o
per interpretare al meglio una precisa parte, ma che al tempo stesso rivela una
sensibilità capace di avvicinarla alle grandi regine del noir, genere troppe
volte dato per agonizzante o per morto, ma in realtà sempre vivo in diverse
forme.
Nel frullato di citazioni (apprezzabili
gli espliciti omaggi a Sentieri selvaggi e
ad Alfred
Hitchcock) e di registri (le inquadrature delle telecamere di sorveglianza si
accavallano con sequenze dal taglio tipicamente thriller) messo in scena
da Porumboiu si rischia più volte di perdere il contatto con il complesso
intreccio alla base de La Gomera – L’isola dei fischi, anche
a causa di un insistito e non sempre efficace ricorso al flashback. La
sensazione di disorientamento che proviamo ci aiuta però paradossalmente a
connetterci con la tragicomica esperienza di Cristi, che in cuor suo pensa di
essere in controllo della situazione e di muoversi perfettamente sul filo della
legge, ma in realtà è totalmente trascinato dagli eventi e dai desideri di
altri.
Un contrasto fra seriosità e ridicolo e
fra autorialità e puro divertimento che si riflette sulle scene musicali,
spesso in antitesi con ciò che avviene sullo schermo. Ma questo gioco di
opposti e questa sorprendente miscela di personaggi incompatibili e di azioni
contraddittorie acquistano senso e coerenza interna in un travolgente finale,
capace di mettere ogni tassello al proprio posto e di fare dimenticare qualche
passaggio a vuoto della trama…
…In questo clima in cui non c’è da fidarsi di nessuno (neppure delle
mamme, perché il poliziotto corrotto ha una mamma che si sta godendo la
pensione del marito tra i fiori delle Canarie), l’intrigo poliziesco procede,
nel rispetto del “genere”, con inseguimenti e improvvisi cambi di rotta, sino a
una sanguinosa sparatoria finale nel corso della quale molti muoiono, altri
tradiscono e qualcuno scopre l’amore.
Ogni tanto sembra di essere più dalle parti di Tarantino che da
quelle del cinema rumeno che sta andando per la maggiore nei festival
occidentali. Il rimescolio dei toni e il rovesciamento dei comportamenti
trionfano. La vicenda a volte zoppica un poco. Ma nel complesso, Porumboiu (qui
alla regia del suo quinto lungometraggio in carriera) dimostra ancora una volta
di saper bene amministrare questo bailamme, valorizzandone il ritmo e la
composizione figurativa delle immagini, i colpi di scena e la recitazione degli
attori, anche la curiosa idea etnografica del linguaggio dei fischi che
risuonano, tra le colline e le costruzioni cittadine moderne; nel silenzio
minaccioso di una lotta di tutti contro tutti, della quale, infine, saranno i
“buoni” a goderne meritatamente i benefici..
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