dopo i film "stranieri" Pablo Larraín torna in patria, e gira un film sul boia Pinochet, ma non solo.
in un bianco e nero davvero livido e convincente vediamo che Pinochet sta per crepare, e la sua eredità va definita con chiarezza.
Pinochet non è solo il boia che nasce dal niente, lui è un vampiro che arriva dall'Europa, e bisogna decidere se il vampiro finirà con lui, o proseguirà la sue esistenza in altri corpi.
é una lotta senza quartiere che sappiamo come sa a finire, fino all'ultimo.
se qualcuno ha nostalgia di Margaret Thatcher la ritroverà, buon per lui.
un film da non perdere (si può vedere su Netflix).
buona (vampiresca) visione - Ismaele
Si può dire che sia un peccato che il regista e Calderón
non si spingano un po’ più in là nell’assurdo; il materiale sullo schermo
avrebbe infatti occasionalmente bisogno di un’ulteriore scossa di comicità
stravagante per aiutare a ‘vendere’ l’idea principale – e, in qualche misura,
esile – che ci sta dietro.
Tuttavia, l’accusatoria durezza generale funge
essa stessa come forma di amaro umorismo, mai come quando Carmencita
intervista i figli di Pinochet cresciuti e ne elogia le atroci malefatte (tra
cui i profitti dal terrorismo) con un sarcasmo che a loro, pieni di orgoglio e
di diritti, sfugge completamente.
El Conde è allo stesso tempo il tentativo più diretto e
fantasioso di Pablo Larraín di affrontare di petto l’eredità di Augusto
Pinochet e i disastri che ha provocato il suo operato, aiutato dalle eccellenti
interpretazioni dell’87enne Jaime Vadell nel ruolo del senile e banalmente
malvagio dittatore e di Paula Luchsinger Escobar in quello della sua avversaria
agli antipodi (che, in un ultimo primo piano, assomiglia in modo impressionante
alla Giovanna d’Arco incarnata nel 1928 da Renée Falconetti).
In definitiva, El Conde trasmette poco che non sia già
stato trattato nei precedenti film del regista sul regno di terrore del
dittatore, eppure rimane un ritratto elegantemente pessimista
della malvagità di un uomo e, in modo altrettanto pungente, del
modo in cui ha contagiato tutti quelli che ha toccato (o, sarebbe meglio dire,
morso).
Scrive
Pablo Larraín:
Ho trascorso anni immaginando Pinochet nelle
vesti di un vampiro, come un essere che non smette di imperversare nella
storia, sia nella nostra immaginazione che nei nostri incubi. I vampiri non
muoiono, non scompaiono, e nemmeno i crimini e le ruberie di un dittatore che
non ha mai affrontato la giustizia. Io e i miei collaboratori volevamo mettere
in evidenza la brutale impunità che Pinochet rappresenta. Mostrandolo per la
prima volta apertamente, in modo che il mondo potesse cogliere la sua vera
natura: vedere il suo volto, respirare il suo odore. Per questo, abbiamo
utilizzato il linguaggio della satira e della farsa politica, in cui il
Generale soffre di una crisi esistenziale e deve decidere se vale la pena
continuare la sua vita come vampiro, bere il sangue delle sue vittime e punire
il mondo con il suo male eterno. Un monito allegorico del perché la storia
debba necessariamente ripetersi, per ricordarci quanto le cose possono
diventare pericolose.
…I toni sono subito chiari: dalla farsa
sulle maschere del potere alla dark comedy familiare,
dal fantasy realista all’horror splatter, chiamando più volte in appello umori
e setting del più ambizioso cinema d’autore europeo (Dreyer, Tarkovskij, Murnau,
per citare i più evidenti). In una villa decandente e spettrale su un’isola nel
sud del Cile (non) vive segretamente il generale Pinochet. Un anziano vampiro
in crisi esistenziale che ha deciso di morire ma è travolto dalla sua famiglia
che brama di dividere l’eredità e da una misteriora (e religiosissima)
contabile che lo deve aiutare a trovare un “finale”. Una voce fuori campo ci
racconta questa storia in perfetto inglese (sarà forse Margaret Thatcher?)
intavolando un discorso molto consapevole sulle ambiguità dei rapporti di
potete tra democrazie, istituzioni religiose e totalitarismi nel Novecento come
fossimo in un romanzo gotico con venature pulp. Il vampirismo diventa quindi
una metafora sin troppo ovvia degli istinti ferini/autoritari che non riescono
a morire e si alimentano nelle ambiguità del capitalismo contemporaneo creando
mostri grotteschi pronti a riattivare la loro sete in maniera virale. Il bianco
e nero plumbeo e le silhouette dei vampiri che si librano sul Cile del XXI
secolo diventano il correlativo oggettivo di tutto questo…
Un'allegoria bellissima e molto originale. Fotografia e scenografie sublimi. E che bello rivedere il grande Alfredo Castro :)
RispondiEliminaAlfredo Castro sa fare bene anche il maggiordomo:)
Eliminal'internazionale dei vampiri e del male è un'idea straordinaria, anche visivamente