domenica 19 maggio 2024

El conde – Pablo Larraín

dopo i film "stranieri" Pablo Larraín torna in patria, e gira un film sul boia Pinochet, ma non solo.

in un bianco e nero davvero livido e convincente vediamo che Pinochet sta per crepare, e la sua eredità va definita con chiarezza.

Pinochet non è solo il boia che nasce dal niente, lui è un vampiro che arriva dall'Europa, e bisogna decidere se il vampiro finirà con lui, o proseguirà la sue esistenza in altri corpi.

é una lotta senza quartiere che sappiamo come sa a finire, fino all'ultimo.

se qualcuno ha nostalgia di Margaret Thatcher la ritroverà, buon per lui.

un film da non perdere (si può vedere su Netflix).

buona (vampiresca) visione - Ismaele


  

 

Si può dire che sia un peccato che il regista e Calderón non si spingano un po’ più in là nell’assurdo; il materiale sullo schermo avrebbe infatti occasionalmente bisogno di un’ulteriore scossa di comicità stravagante per aiutare a ‘vendere’ l’idea principale – e, in qualche misura, esile – che ci sta dietro.

Tuttavia, l’accusatoria durezza generale funge essa stessa come forma di amaro umorismo, mai come quando Carmencita intervista i figli di Pinochet cresciuti e ne elogia le atroci malefatte (tra cui i profitti dal terrorismo) con un sarcasmo che a loro, pieni di orgoglio e di diritti, sfugge completamente.

El Conde è allo stesso tempo il tentativo più diretto e fantasioso di Pablo Larraín di affrontare di petto l’eredità di Augusto Pinochet e i disastri che ha provocato il suo operato, aiutato dalle eccellenti interpretazioni dell’87enne Jaime Vadell nel ruolo del senile e banalmente malvagio dittatore e di Paula Luchsinger Escobar in quello della sua avversaria agli antipodi (che, in un ultimo primo piano, assomiglia in modo impressionante alla Giovanna d’Arco incarnata nel 1928 da Renée Falconetti).

In definitiva, El Conde trasmette poco che non sia già stato trattato nei precedenti film del regista sul regno di terrore del dittatore, eppure rimane un ritratto elegantemente pessimista della malvagità di un uomo e, in modo altrettanto pungente, del modo in cui ha contagiato tutti quelli che ha toccato (o, sarebbe meglio dire, morso).

da qui

 

 

Scrive Pablo Larraín:

Ho trascorso anni immaginando Pinochet nelle vesti di un vampiro, come un essere che non smette di imperversare nella storia, sia nella nostra immaginazione che nei nostri incubi. I vampiri non muoiono, non scompaiono, e nemmeno i crimini e le ruberie di un dittatore che non ha mai affrontato la giustizia. Io e i miei collaboratori volevamo mettere in evidenza la brutale impunità che Pinochet rappresenta. Mostrandolo per la prima volta apertamente, in modo che il mondo potesse cogliere la sua vera natura: vedere il suo volto, respirare il suo odore. Per questo, abbiamo utilizzato il linguaggio della satira e della farsa politica, in cui il Generale soffre di una crisi esistenziale e deve decidere se vale la pena continuare la sua vita come vampiro, bere il sangue delle sue vittime e punire il mondo con il suo male eterno. Un monito allegorico del perché la storia debba necessariamente ripetersi, per ricordarci quanto le cose possono diventare pericolose.

da qui

 

I toni sono subito chiari: dalla farsa sulle maschere del potere alla dark comedy familiare, dal fantasy realista all’horror splatter, chiamando più volte in appello umori e setting del più ambizioso cinema d’autore europeo (Dreyer, Tarkovskij, Murnau, per citare i più evidenti). In una villa decandente e spettrale su un’isola nel sud del Cile (non) vive segretamente il generale Pinochet. Un anziano vampiro in crisi esistenziale che ha deciso di morire ma è travolto dalla sua famiglia che brama di dividere l’eredità e da una misteriora (e religiosissima) contabile che lo deve aiutare a trovare un “finale”. Una voce fuori campo ci racconta questa storia in perfetto inglese (sarà forse Margaret Thatcher?) intavolando un discorso molto consapevole sulle ambiguità dei rapporti di potete tra democrazie, istituzioni religiose e totalitarismi nel Novecento come fossimo in un romanzo gotico con venature pulp. Il vampirismo diventa quindi una metafora sin troppo ovvia degli istinti ferini/autoritari che non riescono a morire e si alimentano nelle ambiguità del capitalismo contemporaneo creando mostri grotteschi pronti a riattivare la loro sete in maniera virale. Il bianco e nero plumbeo e le silhouette dei vampiri che si librano sul Cile del XXI secolo diventano il correlativo oggettivo di tutto questo…

da qui 

 


2 commenti:

  1. Un'allegoria bellissima e molto originale. Fotografia e scenografie sublimi. E che bello rivedere il grande Alfredo Castro :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Alfredo Castro sa fare bene anche il maggiordomo:)

      l'internazionale dei vampiri e del male è un'idea straordinaria, anche visivamente

      Elimina