che gran regalo è questo film!
Enrico Ghezzi mostra ci presenta la sua famiglia, con affetto e simpatia, come se fosse, ed è, un film, sia pure un film domestico.
è un'opera-mondo, con immagini che già esistono, gli autori le mettono insieme in un ordine che gli estimatori di fuoriorario conoscono bene.
il film ci culla e ci coinvolge, senza imbrogli, in una dichiarazione d'amore per le immagini e il cinema.
proprio questi giorni ho letto 4321, di Paul Auster, di sicuro entrambi Paul, che non c'è più, (e il Ferguson del romanzo, lui immortale) ed Enrico amano il cinema e tutta l'arte.
secondo me si sono seduti vicino in qualche sala a vedere qualche capolavoro del cinema, e ce lo testimoniano.
cercate Gli ultimi giorni dell'umanità, è tempo guadagnato.
buona (fuoriorario) visione - Ismaele
ps:Gli ultimi giorni dell'umanità è il titolo di un'opera di Karl Kraus, purtroppo sempre attuale, nel film c'è un importante segmento di quell'opera teatrale.
…Enrico Ghezzi è stato ed è il sovrintendente di una Biblioteca di
Alessandria dell'immaginario che ha permesso a chi vi accedeva di incontrarlo
e, attraverso di lui, conoscere patrimoni, cinematografici e non, fino ad
allora rimasti sepolti o perduti in un colpevole oblio. Una volta ha
dichiarato: «Io sono sempre stato solo un riautore, rimettendo in gioco tutto.
Le cose non si fanno, ma si rifanno».
In questo Gli ultimi giorni dell'umanità offre, a chi è
disposto a lasciarsi andare privo di remore e di pre-giudizi pseudoformali,
un'esperienza che coinvolge un'indescrivibile (proprio perché non va
'descritta') varietà significante di soluzioni di montaggio e di intersezione.
Ognuno può ritrovarci, con la propria cultura e conoscenza, elementi noti e, al
contempo, rivisitati perché contestualizzati in modo tale da perdere talvolta
il loro senso originario per acquisirne uno del tutto nuovo. Oppure vedendo con
uno sguardo diverso dettato dallo scorrere del tempo (diverso per ognuno di
noi) come dice... (spetta a chi guarda riconoscerlo).
Ghezzi, come faceva in "Fuori orario" si cita e si mette in scena
come nostro tramite nei confronti di quella materia magmatica (si vedano le
eruzioni vulcaniche) che è l'immagine, sia essa cinematografica o di natura
diversa. Ce ne fa percepire i mutamenti e le evoluzioni partecipandoci questa
sensazione: "Ho avvertito di essere traversato da tutti i linguaggi. Di
essere come la curvatura di questi linguaggi. Quindi di essere io memoria di
qualcuno. Non so...essere io la memoria."
È la consapevolezza che si avverte in questo flusso ragionato di materiali che,
come ben sintetizza il termine inglese, diventano tools, strumenti
che ci interrogano di continuo invitandoci a dare loro un senso nostro mentre
scrutiamo in quello di un riautore che non smette mai di cercare nuove
significazioni all'esistente.
Su un fondo
nero, come fosse un grado zero della visione, la voce sussurrata
ma inconfondibile di Ghezzi enuncia il titolo del suo nuovo libro: L’acquario di
quello che manca (La Nave di Teseo, 2021), che è una sorta
di labirintico compendio di oltre cinquant’anni della sua scrittura eterodossa
e geniale in forma di specchio pubblico-privato. L’evocazione di quel titolo
non è casuale, perché di fluttuazioni, derive, naufragi, affioramenti,
immersioni ed emersioni di immagini si tratta in Gli ultimi giorni
dell’umanità di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo. Tutto avviene
come se l’occhio della cosa vista e di chi vede (del film stesso e degli
spettatori) fosse una sonda “magica” capace di far affiorare quelle immagini
potenzialmente infinite dall’oceano delle visioni. Infatti l’immagine che segue
(e che manca rispetto al buio iniziale) è la distesa nebbiosa
delle onde del mare su cui in lontananza naviga una barca.
Così si
dischiude un’opera-mondo che è un viaggio ipnotico e allucinatorio, oltre che
una “tela” dove si intessono secondo una “ars combinatoria” analogica le
immagini enucleate, prelevate da un corpo memoriale depositato
in più archivi di cui viene fatta saltare ogni tassonomia, per restituire
quelle immagini a una vita che ogni volta sprigiona da sé il suo stato
nascente. Anzitutto affondando nell’infinito archivio personale di
Ghezzi, specchio della sua pulsione onnivora e incessante a
filmare. Filmare squarci intimi di vita privata e familiare con uno
sguardo amoroso spinto all’estremo (intimamente “alla Jonas
Mekas”). Farsi memoria incarnata di film visti, rivisti,
letteralmente rigirati dal suo sguardo fuori dall’orbita, come
fosse un riautore, nel momento stesso in cui con il suo gruppo di
lavoro li pone fuori dall’orbita, li pesca e li reimmette
nelle onde del mare notturno di “Fuori Orario”. Farsi
incursione in forma di ripresa, ogni volta che si presenta l’occasione, negli
incontri con i cineasti amati. Insomma far confluire nel medesimo
pulsare delle immagini ogni possibile sconfinamento vitale tra
pubblico e privato, ogni tracimazione del “film della vita”…
E' un'opera mondo, "Gli ultimi giorni dell'umanità". Tre
ore e quindici minuti di montaggio che (auto)celebra il lavoro di una vita
di enrico ghezzi (co-regista insieme ad alessandro gagliardo,
mentre la figlia Aura è spesso davanti alla macchina da presa).
Un'opera che racchiude materiali d'archivio
estremamente eterogenei ma fortemente cinematografici, che sono stati poi - in
scuola Blob e Fuori Orario - assemblati e arricchiti di un senso nuovo dopo
essere stati acquisiti, digitalizzati, archiviati, metadatati e lavorati.
Basterebbe l'elenco degli autori di cui si vede
qualche immagine per completare questo testo: Abel Ferrara, Guy Debord,
Aleksandr Sokurov, Bela Tarr, Straub&Huillet, Hans-Jürgen Syberberg, Koji
Wakamatsu, Sergej Paradžanov, Otar Iosseliani, Shin'ya Tsukamoto, Luciano
Emmer, Bernardo Bertolucci, Carmelo Bene, Federico Fellini e tanti altri
grandi.
Un film che poteva durare molto di più e che
poteva anche (a tratti nei quattro anni di lavorazione il rischio si è
percepito) non finire mai: "Gli ultimi giorni dell'umanità"
parte dall'archivio privato di ghezzi e sublima una vita intera dedicata al
lavoro sui materiali, sul senso del cinema e ancor più delle immagini.
Sono tanti, inoltre, le altre fonti che si sono
miscelate al materiale di partenza, dall’agenzia di stampa russa Ruptly
all’archivio malastradafilm, dall’archivio dell’astronauta Jean-Francois
Clervoy a estratti dall’archivio Val del Omar, e poi ancora tanto, tanto tanto
cinema dal mondo. E le interviste, se così si possono chiamare, che ghezzi
negli anni ha raccolto con la sua camerina nei festival di tutto il mondo.
"Gli ultimi giorni dell'umanità"
è un'opera da subire, a cui soccombere serenamente, impossibile da prendere a
piccole dosi ma anche ostica da affrontare nel suo insieme. Esattamente ciò che
voleva essere, e ciò che è giusto che sia: una sfida allo spettatore, un atto
coraggioso di elevare la "settima arte" a qualcosa di più, di altro,
di oltre.
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