dopo il colpo di stato dell'11 settembre del 1973, i ministri e i politici vicini al governo di Allende furono sequestrati e inviati in un isola, quella di Dawson nel profondo e freddissimo sud del Cile.
se non furono ammazzati è perchè troppi occhi (europei) vigilavano sulla vita di quei leader politici, e comunque furono trattati schifosamente male.
poi qualche soldato riesce a trattarli un po' meglio, così racconta il film, l'eccezione rispetto ai comandanti del campo di concentramento.
a Miguel Littin è toccato fare film semistorici e semi documentari, sui massacri verso il popolo e i lavoratori cileni da parte di un potere economico e militare criminale, e gli riesce bene (un po' come un Ken Loach cileno, mutatis mutandis).
buona (concentrazionaria) visione - Ismaele
QUI il film completo,in spagnolo
…Il grande
regista cileno riesce ancora una volta a proporci un affresco sulla memoria
collettiva attraverso i gesti di un gruppo di persone che non dimentica la
propria identità, malgrado la difficile condizione; che non si rifiuta ma non
per questo accetta; e poi racconta la decenza di alcuni uomini che seppero non
perdersi di fronte a una pena più grande di loro. E grazie a una narrazione
robusta, appoggiata su un tessuto di estrema complessità, il punto di vista si
frantuma nella molteplicità dei loro gesti, nei piccoli atti d’amore a cui si
piegano a poco a poco persino i carnefici, per ricomporsi nel finale in un
susseguirsi di immagini tra realtà e finzione, mescolando passato e futuro, la
Storia (con il sacrificio di Allende) e il privato dei suoi attori. Basti
pensare il passaggio di testimone da padre in figlio del finale. Qualcuno ha
detto che un po’ meno retorica avrebbe giovato a Dawson isla 10. Noi crediamo invece che in questo caso fosse assolutamente
necessaria.
…Junto con este
desplazamiento narrativo, hay otro que le viene a hacer juego. Si los
protagonistas se basan en personas reales, los antagonistas no. Los militares
son inventados por la ficción, son amalgamas de militares verdaderos, llegando
incluso a carecer de nombre. Otra vez las potencias de lo falso alejan la
película de su referente histórico. No hay un ajuste de cuentas con los
victimarios. Sus razones para actuar se dan por conocidas: derrocaron al
gobierno de Allende y a sus integrantes los victimizaron. Las motivaciones
concretas e ideológicas quedan reducidas a su mayor grado de legibilidad y
simplismo: “estamos en la guerra fría”, “hay que acabar con el marxismo”.
Tremenda falta de fundamentos y supresión de caracterización
histórica en favor de ficcionalidad redunda en una épica vacua. Para quien no
este informado de la veracidad del trasfondo esta podría ser una película
realmente poco interesante. Si bien la película explicita el gran referente
real, las mediaciones que hemos señalado permiten que la narración diluya los
referentes que conferirían realismo histórico, o al menos más cercanos al texto
de Bitar, por ficticios verosímiles cinematográficos.
Godard, siguiendo a Brecht dijo que hay que hacer
políticamente películas políticas. Dawson,
Isla 10, según lo que hemos señalado, parecería ser un filme
despolitizado. Sin embargo, ha faltado trazar el otro eje de la película, el
que le da no solo el tono político, sino que además amplía el factor épico por
sobre el histórico, nuevamente mediante la representación de un hecho
histórico. Trasfondo de todos los hechos verídicos y ficticios ocurridos en la
isla-prisión. Se trata nada menos que el ataque a La Moneda, los últimos
minutos de vida de Salvador Allende y su muerte. Pero ¿por qué se representa a
Allende? La recreación del golpe de estado desde dentro nos presenta a su
doble, de manera distinta a la duplicación del relato de Bitar. A medio camino
entre la representación de sucesos televisiva y la prolija superproducción
histórica la representación desde dentro del bombardeo se concibe mediante la
mixtura de imágenes de archivo y recreaciones. El golpe, hecho histórico por
antonomasia, acto violento que bifurca la historia del país fue registrado por
cámaras televisivas desde el exterior. La destrucción del edificio es una de
las visiones más impactantes y monumentales del archivo audiovisual chileno. La
casa de gobierno, signo del poder habitado por un gobierno izquierdista cae en
manos del ataque militar. La imagen deja en claro que nadie puede salir vivo de
ahí, la aniquilación no solo es la de una persona, el presidente Allende, ni la
del proyecto de vía chilena al socialismo, es la de un estado que se vuelve
contra sí mismo. Trauma o shock pregnante sobre una sociedad a la vez que gesto
fundacional. El capital aliado con el fascismo implantando un nuevo orden,
eminente económico: la sociedad de libre mercado. Para partir de cero hay que
destruirlo todo antes…
…La
quotidianità dei lavori forzati, dell'obbedienza imposta col terrore,
dell'impossibilità di usare la parola come strumento di replica per chi nella
parola ha creduto, mettendo la propria al servizio degli altri, è cosa
immaginabile, sulla quale Littin non insiste, provando invece a spostare
l'occhio sulle eccezioni, sul numero del soldato tonto, sull'empatia di una
guardia politicamente confusa, che intima ai prigionieri di gridare di dolore,
come se li stesse malmenando, mentre li invita a riempirsi in fretta le tasche
di frutta secca, ricca di vitamine.
Non per questo Dawson Island 10 diviene un film imprevedibile, non è il suo scopo né la
sua virtù. La sua qualità è un'altra, quella di raccontare l'intelligenza di un
gruppo di persone che non dimentica la propria identità, malgrado la
condizione; che non si rifiuta ma non per questo accetta; che conosce il valore
di una matita (spezzata), di uno spiraglio per l'espressione. Dignità del
narrato e del narratore, quindi, che, posta a premessa, autorizza anche i primi
piani, la messa in scena dei sentimenti. Non è mai stata qualità facile da
portare in superficie sullo schermo, l'intelligenza, senza farsi lusingare
dalle sirene della vanità o della pretesa di insegnare qualcosa, meno che mai
quando la sua natura non è individuale ma collettiva. Un merito che Littin si
guadagna nel nome della sobrietà e dell'impegno.
…L'impressione è che
siano gli stessi detenuti protagonisti del film a rischiare di morire di noia,
perché in fondo nel campo della vergogna non accade poi molto, tanto è vero che
per passare il tempo si arriva addirittura a ristrutturare una chiesa. La regia
poi non sa fornire un deciso contributo all'opera, limitandosi a mettere
insieme sequenze "preoccupate" girate con camera a mano, altre in
bianco e nero che scimmiottano il materiale di repertorio e uno stile classico
che fa incontrare l'ambiente ostile con i corpi dei prigionieri destinati a un
rapido logorio. Nonostante il rigore della messa in scena e le evidenti colpe
sul piano della sceneggiatura, riesce comunque a passare lo sdegno di cui si fa
portatore l'opera e il disagio di un periodo che ha fatto da spartiacque nella
storia dei rapporti internazionali degli ultimi decenni dello scorso secolo. E
alcune scene poi colpiscono e restano, come quella toccante di Cielito Lindo o l'epica rincorsa di un figlio dietro il
camion che sta riportando il padre al campo perché troppo malato per poter
proseguire nel viaggio della flebile speranza. Un film onesto, sincero, forse
fin troppo realistico, ma il mezzo cinema se limitato all'intenzione
documentaristica perde molto del suo fascino.
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