martedì 7 maggio 2024

Dawson Isla 10 – Miguel Littin

dopo il colpo di stato dell'11 settembre del 1973, i ministri e i politici vicini al governo di Allende furono sequestrati e inviati in un isola, quella di Dawson nel profondo e freddissimo sud del Cile.

se non furono ammazzati è perchè troppi occhi (europei) vigilavano sulla vita di quei leader politici, e comunque furono trattati schifosamente male.

poi qualche soldato riesce a trattarli un po' meglio, così racconta il film, l'eccezione rispetto ai comandanti del campo di concentramento.

a Miguel Littin è toccato fare film semistorici e semi documentari, sui massacri verso il popolo e i lavoratori cileni da parte di un potere economico e militare criminale, e gli riesce bene (un po' come un Ken Loach cileno, mutatis mutandis).

buona (concentrazionaria) visione - Ismaele



QUI il film completo,in spagnolo

 

Il grande regista cileno riesce ancora una volta a proporci un affresco sulla memoria collettiva attraverso i gesti di un gruppo di persone che non dimentica la propria identità, malgrado la difficile condizione; che non si rifiuta ma non per questo accetta; e poi racconta la decenza di alcuni uomini che seppero non perdersi di fronte a una pena più grande di loro. E grazie a una narrazione robusta, appoggiata su un tessuto di estrema complessità, il punto di vista si frantuma nella molteplicità dei loro gesti, nei piccoli atti d’amore a cui si piegano a poco a poco persino i carnefici, per ricomporsi nel finale in un susseguirsi di immagini tra realtà e finzione, mescolando passato e futuro, la Storia (con il sacrificio di Allende) e il privato dei suoi attori. Basti pensare il passaggio di testimone da padre in figlio del finale. Qualcuno ha detto che un po’ meno retorica avrebbe giovato a Dawson isla 10. Noi crediamo invece che in questo caso fosse assolutamente necessaria.

da qui

 

Junto con este desplazamiento narrativo, hay otro que le viene a hacer juego. Si los protagonistas se basan en personas reales, los antagonistas no. Los militares son inventados por la ficción, son amalgamas de militares verdaderos, llegando incluso a carecer de nombre. Otra vez las potencias de lo falso alejan la película de su referente histórico. No hay un ajuste de cuentas con los victimarios. Sus razones para actuar se dan por conocidas: derrocaron al gobierno de Allende y a sus integrantes los victimizaron. Las motivaciones concretas e ideológicas quedan reducidas a su mayor grado de legibilidad y simplismo: “estamos en la guerra fría”, “hay que acabar con el marxismo”.

Tremenda falta de fundamentos y supresión de caracterización histórica en favor de ficcionalidad redunda en una épica vacua. Para quien no este informado de la veracidad del trasfondo esta podría ser una película realmente poco interesante. Si bien la película explicita el gran referente real, las mediaciones que hemos señalado permiten que la narración diluya los referentes que conferirían realismo histórico, o al menos más cercanos al texto de Bitar, por ficticios verosímiles cinematográficos.

Godard, siguiendo a Brecht dijo que hay que hacer políticamente películas políticas. Dawson, Isla 10, según lo que hemos señalado, parecería ser un filme despolitizado. Sin embargo, ha faltado trazar el otro eje de la película, el que le da no solo el tono político, sino que además amplía el factor épico por sobre el histórico, nuevamente mediante la representación de un hecho histórico. Trasfondo de todos los hechos verídicos y ficticios ocurridos en la isla-prisión. Se trata nada menos que el ataque a La Moneda, los últimos minutos de vida de Salvador Allende y su muerte. Pero ¿por qué se representa a Allende? La recreación del golpe de estado desde dentro nos presenta a su doble, de manera distinta a la duplicación del relato de Bitar. A medio camino entre la representación de sucesos televisiva y la prolija superproducción histórica la representación desde dentro del bombardeo se concibe mediante la mixtura de imágenes de archivo y recreaciones. El golpe, hecho histórico por antonomasia, acto violento que bifurca la historia del país fue registrado por cámaras televisivas desde el exterior. La destrucción del edificio es una de las visiones más impactantes y monumentales del archivo audiovisual chileno. La casa de gobierno, signo del poder habitado por un gobierno izquierdista cae en manos del ataque militar. La imagen deja en claro que nadie puede salir vivo de ahí, la aniquilación no solo es la de una persona, el presidente Allende, ni la del proyecto de vía chilena al socialismo, es la de un estado que se vuelve contra sí mismo. Trauma o shock pregnante sobre una sociedad a la vez que gesto fundacional. El capital aliado con el fascismo implantando un nuevo orden, eminente económico: la sociedad de libre mercado. Para partir de cero hay que destruirlo todo antes…

da qui

 

La quotidianità dei lavori forzati, dell'obbedienza imposta col terrore, dell'impossibilità di usare la parola come strumento di replica per chi nella parola ha creduto, mettendo la propria al servizio degli altri, è cosa immaginabile, sulla quale Littin non insiste, provando invece a spostare l'occhio sulle eccezioni, sul numero del soldato tonto, sull'empatia di una guardia politicamente confusa, che intima ai prigionieri di gridare di dolore, come se li stesse malmenando, mentre li invita a riempirsi in fretta le tasche di frutta secca, ricca di vitamine.
Non per questo Dawson Island 10 diviene un film imprevedibile, non è il suo scopo né la sua virtù. La sua qualità è un'altra, quella di raccontare l'intelligenza di un gruppo di persone che non dimentica la propria identità, malgrado la condizione; che non si rifiuta ma non per questo accetta; che conosce il valore di una matita (spezzata), di uno spiraglio per l'espressione. Dignità del narrato e del narratore, quindi, che, posta a premessa, autorizza anche i primi piani, la messa in scena dei sentimenti. Non è mai stata qualità facile da portare in superficie sullo schermo, l'intelligenza, senza farsi lusingare dalle sirene della vanità o della pretesa di insegnare qualcosa, meno che mai quando la sua natura non è individuale ma collettiva. Un merito che Littin si guadagna nel nome della sobrietà e dell'impegno.

da qui

 

L'impressione è che siano gli stessi detenuti protagonisti del film a rischiare di morire di noia, perché in fondo nel campo della vergogna non accade poi molto, tanto è vero che per passare il tempo si arriva addirittura a ristrutturare una chiesa. La regia poi non sa fornire un deciso contributo all'opera, limitandosi a mettere insieme sequenze "preoccupate" girate con camera a mano, altre in bianco e nero che scimmiottano il materiale di repertorio e uno stile classico che fa incontrare l'ambiente ostile con i corpi dei prigionieri destinati a un rapido logorio. Nonostante il rigore della messa in scena e le evidenti colpe sul piano della sceneggiatura, riesce comunque a passare lo sdegno di cui si fa portatore l'opera e il disagio di un periodo che ha fatto da spartiacque nella storia dei rapporti internazionali degli ultimi decenni dello scorso secolo. E alcune scene poi colpiscono e restano, come quella toccante di Cielito Lindo o l'epica rincorsa di un figlio dietro il camion che sta riportando il padre al campo perché troppo malato per poter proseguire nel viaggio della flebile speranza. Un film onesto, sincero, forse fin troppo realistico, ma il mezzo cinema se limitato all'intenzione documentaristica perde molto del suo fascino.

da qui

 



Nessun commento:

Posta un commento