La prigione nella quale è girato il film, La Modelo, a Barcelona, è la stessa dove Salvador Puig Antich fu prigioniero per qualche mese, fino al 2 marzo del 1974, quando fu ammazzato con la garrota, prima della morte di Franco.
Sulla
storia di Salvador Puig Antich fu girato un film, Salvador 26
anni contro , che nel 2006 passò anche nei cinema italiani.
Chi
ha visto i due film avrà riconosciuto quel carcere dentro la città.
Prigione 77 racconta la storia
di quello che avvenne in quel carcere, negli anni dopo il franchismo, quando c’era
la democrazia, e nasceva la COPEL (un
bel documentario sulla COPEL si può vedere QUI)
Quella
democrazia, che i secondini schernivano, tanto lì dentro non era cambiato molto
e non lo sarebbe stato, permise l’uscita dei prigionieri politici, ma nessuna
amnistia ci fu per i detenuti comuni.
La
violenze dei secondini e delle squadre antisommossa durante la democrazie non
si distinguevano molto dalle violenze sotto il franchismo.
Una
volta entrato in galera tutti sono nemici, gli altri carcerati, i secondini,
I due
protagonisti, Miguel Herrán (Manuel) e Javier Gutièrrez (Pino), sono perfetti
nella loro parte, in una sceneggiatura che non fa annoiare mai.
Buona
visione (solo in una trentina di sale, purtroppo)
Ps1: Anche in Italia le violenze democratiche nei carceri di Modena o di Santa Maria Capua Vetere, o di Sassari non fanno meno male di quelle sotto il fascismo, misteri della democrazia.
Ps2: un
altro bel film spagnolo ambientato in carcere è Cella 211, di Daniel Monzón
…Punteggiato di sequenze magistralmente dirette
(la prima rivolta dei detenuti, la lunga sequenza conclusiva, che di nuovo cita
i classici del genere) Prigione 77 è un esempio di
cinema impegnato di sicura presa spettacolare, che al respiro storico affianca
una capacità non usuale di scavare in psicologie complesse (non solo quelle dei
due protagonisti: i comprimari sono ugualmente ben definiti) poste in una
situazione estrema. Il film di Alberto Rodríguez rallenta solo un po’ nella sua
ultima parte, dilungandosi forse in modo eccessivo in una digressione narrativa
che poteva essere sfoltita; ma, nondimeno, non perde mai quella tensione –
etica prima che narrativa – che lo caratterizza fin dall’inizio, informandone
efficacemente tutta la trama. Il contrasto tra il fuori e il dentro – anche
semplicemente nella forma di una luce al neon luminosa, che annuncia un
cambiamento di cui dietro le sbarre può arrivare solo un’eco – è costantemente
evocato, esplicitamente e non; così come viene esplicitamente richiamata (in
modo chiaro e netto, ma mai con toni smaccatamente da pamphlet) l’ipocrisia di
una politica che, a ogni cambio (apparentemente) radicale di regime, sceglie
quasi sempre gli accomodamenti col vecchio, l’impunità per i responsabili meno
in vista e la sacrificabilità degli “invisibili”. Ivi compresi quelli come
Manuel e Pino, che la visibilità l’hanno conquistata facendo rumore, anche per
tutti quelli che non hanno voluto, o potuto, fare altrimenti.
…Ci
sono tutte le antinomie tipiche del cinema dello spagnolo, nell’allestimento di
progetti ambiziosi che condividono con la conoscenza della macchina
industriale, l’organizzazione del set come dispositivo dello sguardo. Girare
all’interno de La Modelo gli ha consentito di sovrapporre il livido realismo
degli ambienti, con un incedere spettacolare che ricombina quello spazio
secondo i principi di un cinema ad orologeria di marcata qualità scopica.
Rodríguez qui afferra il rovescio della realtà carceraria e lo investe
nuovamente di un valore simbolico, con l’avvicinamento di Manuel al negozio di
ottica dove lavora Lucia. Visione a colori che sospende il senso nel tempo del
sogno, esasperando quell’iperrealtà di consumo che gli inviava promesse al neon
attraverso le sbarre. Le lotte e le mancate conquiste del sindacato, si
dissolvono contro il muro impenetrabile del sistema, all’alba di una democrazia
apparente, tanto che a Rodríguez interessa soprattutto la forza possibile di un
gesto individualista, dove i rapporti di fratellanza sono ridotti al minimo. Al
centro di tutto questo, la crudeltà delle guardie carcerarie, a cui il sistema
spagnolo affidava la maggior parte del controllo e l’immagine di un potere che
nasconde le peggiori attitudini con una sospensione totale dello stato di
diritto. Sfortunatamente, le risonanze di alcuni orrori, incluse le immagini di
una popolazione carceraria punita per reati bagatellari, le rinunce, le
automutilazioni, gli scioperi per indulto e amnistia, sono davvero flagranti
con le condizioni dei nostri penitenziari, nonostante le differenze storiche e
la distanza temporale. L’ossessione che la pena venga inflitta con modalità
“certe”, ci rende pericolosamente vicini ai segreti di un franchismo
indisturbato e separato dalla società democratica da una cataratta di cemento e
sbarre.
… Prigione 77 nasce
da un’illuminazione, almeno secondo Rodríguez: «Nel 2006 io e Rafael abbiamo
scoperto la storia del COPEL. Da allora abbiamo fatto ricerche sui fatti e i
personaggi, per essere pronti ad affrontare questa storia colossale. Fatti che
aiutano a descrivere il profondo cambiamento che avvenne nella nostra società
in un periodo di tempo molto breve. Un tempo in cui tutto sembrava possibile.
Una lotta per l’uguaglianza, la giustizia e la libertà». Un film
sobrio e dagli approcci narrativi semplici, dinamico, privo di orpelli
artificiosi ma dotato di forza e egual bellezza nelle sue immagini realistiche
e senza filtri. Immagini che, sulla dichiarata scia dei grandi classici
del prison-movie, raccontano di uomini intrappolati disposti
a tutto pur di riconquistare la propria dignità e con essa la libertà.
Lo stesso Rodríguez ha citato lo
spirito di coesione tra i detenuti di capolavori come Il buco e Le ali della libertà tra
le principali ispirazioni tematiche di Prigione 77, ma
non solo. Nei momenti in cui il giovane Manuel affronta l’incubo della
prigionia nella solitudine più cupa – resi da Rodríguez in momenti filmici
dalla brutalità spiazzante attenuata solo da salvifici chiaroscuri al neon –
ecco crescere l’anima storico-politica di Prigione 77 che
da semplice cornice narrativa assurge a valore aggiunto del racconto sulla scia
dei controversi-ma-bellissimi Hunger e Fuga di mezzanotte. Una violenza giustificata quella
dei secondini franchisti, codificata come codardo atto di rivalsa nei confronti
di prigionieri il cui unico vero crimine è quello di credere nei valori della
democrazia e della libertà…
…El director sevillano vuelve a componer una
película con una factura técnica impecable, a la que no se puede señalar ningún
error. El problema lo encontramos en la parte del fondo narrativo. Mientras se
dedica a señalar de forma indirecta al olvido que el sistema siempre muestra
por los grupos más desfavorecidos funciona muy bien. Sin embargo, cuando trata
de convertirse en una historia personal resulta fallida e impostada. Todo lo
que resulta interesante como metáfora del ambiente en el país, acaba en cliché
dramático cuando se traslada a lo individual.
Película carcelaria vinculada a un período de transición política en
donde parece que cambia mucho pero realmente cambia poco o nada.
La película mezcla el discurso con motín con el propósito de fuga en
un tono combativo.
Contiene bastantes clichés de cinta de prisión en el retrato de
personajes y sus relaciones, un interés romántico superfluo que podría
obviarse, trazos de progresivo desencanto político y un desarrollo un tanto
monótono a pesar de los aparentes vaivenes de situación.
Miguel Herrán cumple como personaje protagonista dentro de un
catálogo de tipos diversos pero sin la trascendencia y el efecto emocional que
se pretende.
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