Alejandro Jodorowsky sforna un capolavoro dopo l'altro.
El topo è una storia piena di riferimenti, citazioni, visioni, un western metafisico e concretissimo.
una gioia per gli occhi, come sempre, da vedere e rivedere.
buona (western) visione - Ismaele
… El
Topo non è certamente
un film di facile visione e tantomeno di facile lettura. Da molti considerato
un capolavoro assoluto del cinema underground, da altri additato come film
pretenzioso ed insensato nel suo cripticismo, resta comunque innegabile il
grandissimo lavoro e l’immensa genialità di un regista come Jodorowsky che, a
cavallo tra gli anni sessanta e settanta, fu uno dei personaggi più
significativi ed estremi del cinema di nicchia. Sicuramente non piacerà a
tutti, ma chi lo saprà apprezzare – per citare una frase dello stesso
Jodorowsky – potrà vantarsi di essere un “Illuminato”.
… Punto di partenza, assolutamente, è però
quello della diversità (di pensiero e rappresentazione, così come di uomini
veri e propri). Cinema dei diversi, che ha origine nella deformità umana
di Freaks (1932) di Tod Browning, e che prosegue nella
passione del regista per il circo: evidente nel terzo Grande Maestro, in uno
scenario fatto di chiromanti, leoni ed una carrozza da circo, e negli
spettacoli con la nana (da giovane il regista aveva lavorato come clown proprio
in un circo). Sacro, devoto ma dissacrante nella scelta di mescolare tutte le
influenze religiose (l’assassinio del pistolero nella pozza d’acqua, una specie
di battesimo della morte; la morte per mano della donna, che lascia stimmate
sui piedi di el topo; l’esperienza mistica con la carne di scarafaggio; la
messa suicida; il corpo che prende fuoco nel finale buddista), anche politico
(violenze/rapporti omosessuali tra i quattro preti ed i banditi del
colonnello) El topo è un insieme di metafore (il passaggio del
frutto tra le due donne ed il rapporto con l’uomo) e rimandi simbolici (lo
specchio della donna infranto, il mito di Narciso distrutto da el topo;
l’occhio di Osiride come marchio a fuoco) che a volte hanno però il carattere
di assoluto ed affascinante non sense di natura surrealista e
poetica. Il deserto, metafora del percorso interiore del protagonista, è spazio
senza tempo. Trattandosi di un genere abbastanza preciso, non pochi sono i
riferimenti al western di Sergio Leone, dal quale trae ispirazione per i
duelli, ed a quello di Monte Hellman, autore di contaminazioni crepuscolari ed
esistenziali: il tema del doppio nella figura del pistolero era stato
utilizzato ad esempio in La sparatoria (1966). Il regista,
appassionato dello spaghetti western, si è rifatto al Django (1966)
di Sergio Corbucci nella scelta degli abiti scuri del personaggio principale.
Citazione anche per Ombre rosse (1939) di John Ford (la Lega
delle Donne Degne che controlla la morale dei mariti ricorda quella che
allontanò la prostituta dal paese nel film con John Wayne). Molto bella la
fotografia di Rafael Corkidi, assoluta l’uscita del colonnello dalla torre a
cono, seguito da decine di maiali. Le musiche sono state composte dallo stesso
regista-attore, assieme alla direzione di Nacho Mendez; interessante l’uso
dei suoni off ed il frequente scambio di voci tra i due sessi.
La scena sul ponte fu girata senza ausilio di lacci o funi, ad oltre novecento
metri d’altezza (commento scritto contenuto negli extra inseriti nella versione
edita dalla RaroVideo). Il villaggio utilizzato nel film, una specie di Sodoma
e Gomorra del regista, è il set che Glen Ford utilizzò per la pellicola
The law of Tombstone (Massimo Monteleone, autore del libro “La
talpa e la fenice. Il cinema di Alejandro Jodorowsky”). El topo è,
come afferma lo stesso regista, un santo senza Dio, un santo laico come
il miglior rivoluzionario possibile, il messia del west (Massimo
Monteleone, autore del libro “La talpa e la fenice. Il cinema
di Alejandro Jodorowsky”).
…Shot on a fairly large budget in Mexico, It began its American
existence as an underground cult object, playing midnight shows in New York for
six months. It surfaced to a normal run last November amid loud controversy.
Its director, author and star, Alejandro Jodorowsky, was attacked in some quarters for
using the symbols to make the violence digestible, and in other quarters for
using the blood to sell the symbols. I don’t think you can take the movie apart
that way; “El Topo” is all of a piece, and you’ve got to take the concrete with
the fantasy, the spirit with the flesh.
Jodorowsky lifts his symbols and mythologies from everywhere:
Christianity, Zen, discount-store black magic, you name it. He makes not the
slightest attempt to use them so they sort out into a single logical significance.
Instead, they’re employed in a shifting, prismatic way, casting their light on
each other instead of on the film’s conclusion. The effect resembles Eliot’s
“The Waste Land,” and especially Eliot’s notion of shoring up fragments of
mythology against the ruins of the post-Christian era…
…“El Topo” es una película de
muchísimo interés a todos los niveles. De gran calidad artística y de un enorme
impacto visual, su atmósfera está muy bien lograda. También es muy efectiva la
música que acompaña al film, que incluye guturales cantos mántricos tibetanos
durante los duelos. La banda sonora resalta el carácter irreal y onírico de la
historia. Sería interesante saber si Dalí, Buñuel o Sergio Leone llegaron a ver
la película y qué opinión tenían de ella.
En El Topo (1970) ya se nota el flamante
interés de Jodorowsky en la filosofía zen, el tarot, lo esotérico, el
cristianismo paradójico de barricada y la cosmología más freak, todos elementos
que a su vez se mezclan con el ideario de la contracultura de la década del 60,
una parodia implícita al derechoso y caduco western clásico hollywoodense y un
ejercicio en el novedoso terreno del acid western, subgénero que había sido
patentado años atrás por Monte Hellman en las recordadas El Tiroteo (The
Shooting, 1966) y A Través del Huracán (Ride in the
Whirlwind, 1966), ambas protagonizadas por el monumental Jack Nicholson.
Echando mano a elevadísimas dosis de gore, toques de comedia negra y delirante
y una genial banda sonora cortesía del propio cineasta, la película es una de
las cumbres del cine experimental internacional y una de las obras más
complejas que hayan llegado al ojo semi masivo, en este caso sobre todo gracias
al impulso y el cariño inconmensurable de John Lennon, todo un fanático del
film y artífice central en su distribución a escala global y en el
financiamiento del siguiente proyecto del maestro chileno, La Montaña
Sagrada (The Holy Mountain, 1973)…
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