domenica 23 ottobre 2022

Azor - Andreas Fontane

siamo nel 1976, nell'Argentina dei generali, un banchiere svizzero è sparito, viene sostituito da un altro, che da Ginevra arriva a Buenos Aires con la moglie.

come nella storia di Pollicino, ripercorre le poche tracce e incontra le persone che conoscevano il suo collega, che forse si trova nel buco nero dei lager dei militari.

incontra tanta gentaglia, imprenditori, militari, prelati, brutta gente davvero.

ogni tanto a qualcuno scappa una mezza verità, ma se ne pentono subito.

il lavoro per il banchiere c'è, contratti favorevoli pure, ma né più né meno delle banche che trattavano i beni rubati agli ebrei, negli anni '30 e '40, nella civile Europa.

business as usual, come sempre.

un thriller a bassa intensità, con un finale amarissimo e terribile.

buona (bancaria) visione - Ismaele


 

 

…In Azor, il clima di terrore portato dal “Processo di riorganizzazione nazionale” nell’Argentina di inizio anni ’80 diviene la cornice di riferimento imprescindibile per comprendere i comportamenti diffidenti, le azioni circospette e i gesti cauti dei personaggi, nonostante nel film il “contesto politico” non venga mai esplicitamente citato, né tanto meno rappresentato. Fontana qui agisce per sottrazione, delineando un’atmosfera di paura e tensione senza che l’origine del terrore sia figurativamente presente, in un modus operandi simile a quello adottato da John Le Carrè, i cui personaggi agiscono all’ombra di pericolosi rivolgimenti politici che mai emergono a livello di superficie. E nel direzionare il percorso del protagonista in questo senso, il regista articola un rapporto “da remoto” tra De Wiel e il suo omologo Keys, la cui repentina scomparsa getta un alone di tensione sul banchiere, terrorizzato di incorrere nel medesimo, tragico destino del misterioso collega…

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Azor, nella sua forma così nitida e algida, nel parlottare enigmatico e allusivo dei potenti, nell'astrazione da ogni dettaglio della realtà e nella concentrazione totale nel mondo ipotetico di chi vive al di sopra degli eventi, è un film che sembra voler confondere lo spettatore tanto più è preciso e perfettamente controllato nel suo racconto. La tensione che si viene a creare in questo modo è perturbante e via via più opprimente, ed è quasi con sorpresa e con un senso di fastidioso sollievo che si assiste a una risoluzione degli eventi che stava lì, davanti ai nostri occhi, fin dal primo minuto.
Fontana - che nella strutturazione del percorso di Yvan si è fatto assistere, in sceneggiatura, dal geniale Mariano Llinás di Historias extraordinarias e La flor -  mostra un cosa e parla di un'altra. O meglio, parla dell'orrore della dittatura argentina mostrando coloro che l'hanno silenziosamente approvata, e del ruolo della finanza europea codarda, complice, ignava e opportunista.
Lo fa senza proclami né banali esplicitazioni: solo con l'uso di un cinema di grande immaginazione e affabulazione, che elabora il thriller secondo coordinate anomale e rimane sempre affilato come una lama di coltello…

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Scegliere di tenere fuori campo qualsiasi elemento narrativo e formale che richiami il cinema politico per restare prepotentemente radicato nel genere è infatti una scelta che si rivela estremamente potente; cosi come il lavoro sul décor, sui costumi e sulla direzione degli attori, talmente misurato e preciso da dare vita a un’eleganza disturbante che diventa la cifra stilistica di tutto film. Proprio attraverso l’atmosfera che Fontana crea con la sua messa in scena affiora infatti tutto il portato delle questioni che solleva a cominciare dal ruolo di sostegno e di appoggio economico fornito dalla banche svizzere alle dittature di tutto il mondo che proprio per questo, sono raccontate - attraverso i loro rappresentanti - come moderni conquistadores, responsabili al pari dei dittatori stessi, dei loro generali, dei loro torturatori, e di tutti i conniventi (a cominciare dal clero) delle violenze, delle privazioni, delle sparizioni, della negazione dei diritti civili e politici che il popolo argentino ha subito per questi un decennio.

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Azor vive di contrasti, di crimini efferati nascosti dietro un’apparenza seducente, dello spazio impalpabile nascosto tra la parola detta e quella occultata. Un’immersione nel buio dei rapporti corrotti tra vita, morte e potere. Elegante e controllato, il film ha una buona idea, mescolare ai due protagonisti un cast di non professionisti. Un accostamento di stili, spontaneità e approccio al mestiere che aggiunge conflitto su conflitto, e costruisce emozione.

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Las actuaciones de Rongione, Cléau y Pablo Torre Nilson como el nefasto clérigo son muy buenas aunque el resto de los intérpretes deja bastante que desear dentro del típico marco preciosista pero castrado de sexo y sangre del cine ultra baladí contemporáneo, como si la fotografía elegante de Gabriel Sandru y la atractiva y estridente música de Paul Courlet compensasen la falta de ideas de la propuesta y sus latiguillos quemados o trasnochados símil cruza entre la Nouvelle Vague más seca, el suspenso de acumulación dramática que nunca explota y la decadencia altisonante del poder antropófago y demencial a lo La Caída de los Dioses (La Caduta degli Dei, 1969), de Luchino Visconti, aunque desde ya sin el desparpajo, la efervescencia y la vocación hiper rupturista del clásico italiano. Fontana, en cambio, aburre con la alegoría bien vulgar del título acerca del silencio cómplice, muchos tiempos muertos de cadencia arty hueca, el machismo marca registrada omnipresente de aquella etapa, el desprecio cruzado dentro del mismo régimen y sus recovecos mafiosos, los recursos teatrales minimalistas, mucha cámara estática festivalera de otro tiempo y sobre todo esta semblanza faustiana de fondo que ya se vio mil veces, hoy con Iván reemplazando en el desenlace a Keys al aceptar licuar las propiedades de los asesinados de una forma que definitivamente su predecesor no había consentido, ambos muy amigos de los genocidas…

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