siamo nel 1976, nell'Argentina dei generali, un banchiere svizzero è sparito, viene sostituito da un altro, che da Ginevra arriva a Buenos Aires con la moglie.
come nella storia di Pollicino, ripercorre le poche tracce e incontra le persone che conoscevano il suo collega, che forse si trova nel buco nero dei lager dei militari.
incontra tanta gentaglia, imprenditori, militari, prelati, brutta gente davvero.
ogni tanto a qualcuno scappa una mezza verità, ma se ne pentono subito.
il lavoro per il banchiere c'è, contratti favorevoli pure, ma né più né meno delle banche che trattavano i beni rubati agli ebrei, negli anni '30 e '40, nella civile Europa.
business as usual, come sempre.
un thriller a bassa intensità, con un finale amarissimo e terribile.
buona (bancaria) visione - Ismaele
…In Azor, il clima di
terrore portato dal “Processo di riorganizzazione nazionale”
nell’Argentina di inizio anni ’80 diviene la cornice di riferimento
imprescindibile per comprendere i comportamenti diffidenti, le azioni circospette
e i gesti cauti dei personaggi, nonostante nel film il “contesto politico” non
venga mai esplicitamente citato, né tanto meno rappresentato. Fontana qui
agisce per sottrazione, delineando un’atmosfera di paura e tensione senza che
l’origine del terrore sia figurativamente presente, in un modus operandi simile a quello adottato da John
Le Carrè, i cui personaggi agiscono all’ombra di pericolosi rivolgimenti
politici che mai emergono a livello di superficie. E nel direzionare il
percorso del protagonista in questo senso, il regista articola un rapporto “da
remoto” tra De Wiel e il suo omologo Keys, la cui repentina scomparsa getta un
alone di tensione sul banchiere, terrorizzato di incorrere nel medesimo,
tragico destino del misterioso collega…
…Azor,
nella sua forma così nitida e algida, nel parlottare enigmatico e allusivo dei
potenti, nell'astrazione da ogni dettaglio della realtà e nella concentrazione
totale nel mondo ipotetico di chi vive al di sopra degli eventi, è un film che
sembra voler confondere lo spettatore tanto più è preciso e perfettamente
controllato nel suo racconto. La tensione che si viene a creare in questo modo
è perturbante e via via più opprimente, ed è quasi con sorpresa e con un senso
di fastidioso sollievo che si assiste a una risoluzione degli eventi che stava
lì, davanti ai nostri occhi, fin dal primo minuto.
Fontana - che nella strutturazione del percorso di Yvan
si è fatto assistere, in sceneggiatura, dal geniale Mariano Llinás di Historias
extraordinarias e La flor -
mostra un cosa e parla di un'altra. O meglio, parla dell'orrore della dittatura
argentina mostrando coloro che l'hanno silenziosamente approvata, e del ruolo
della finanza europea codarda, complice, ignava e opportunista.
Lo fa senza proclami né banali esplicitazioni:
solo con l'uso di un cinema di grande immaginazione e affabulazione, che
elabora il thriller secondo coordinate anomale e rimane sempre affilato come
una lama di coltello…
…Scegliere di tenere fuori campo qualsiasi elemento narrativo
e formale che richiami il cinema politico per restare prepotentemente radicato
nel genere è infatti una scelta che si rivela
estremamente potente; cosi come il lavoro sul décor, sui costumi e sulla
direzione degli attori, talmente misurato e preciso da dare vita a un’eleganza
disturbante che diventa la cifra stilistica di tutto film. Proprio attraverso
l’atmosfera che Fontana crea con la sua messa in scena affiora infatti tutto il
portato delle questioni che solleva a cominciare dal ruolo di sostegno e di
appoggio economico fornito dalla banche svizzere alle dittature di tutto il
mondo che proprio per questo, sono raccontate - attraverso i loro
rappresentanti - come moderni conquistadores, responsabili
al pari dei dittatori stessi, dei loro generali, dei loro torturatori, e di
tutti i conniventi (a cominciare dal clero) delle violenze, delle privazioni,
delle sparizioni, della negazione dei diritti civili e politici che il popolo
argentino ha subito per questi un decennio.
…Azor vive
di contrasti, di crimini efferati nascosti dietro un’apparenza seducente, dello
spazio impalpabile nascosto tra la parola detta e quella occultata.
Un’immersione nel buio dei rapporti corrotti tra vita, morte e potere. Elegante
e controllato, il film ha una buona idea, mescolare ai due protagonisti un cast
di non professionisti. Un accostamento di stili, spontaneità e approccio al
mestiere che aggiunge conflitto su conflitto, e costruisce emozione.
…Las actuaciones de
Rongione, Cléau y Pablo Torre Nilson como el nefasto clérigo son muy buenas
aunque el resto de los intérpretes deja bastante que desear dentro del típico
marco preciosista pero castrado de sexo y sangre del cine ultra baladí
contemporáneo, como si la fotografía elegante de Gabriel Sandru y la atractiva
y estridente música de Paul Courlet compensasen la falta de ideas de la
propuesta y sus latiguillos quemados o trasnochados símil cruza entre la
Nouvelle Vague más seca, el suspenso de acumulación dramática que nunca explota
y la decadencia altisonante del poder antropófago y demencial a lo La
Caída de los Dioses (La Caduta degli Dei, 1969), de Luchino
Visconti, aunque desde ya sin el desparpajo, la efervescencia y la vocación
hiper rupturista del clásico italiano. Fontana, en cambio, aburre con la
alegoría bien vulgar del título acerca del silencio cómplice, muchos tiempos
muertos de cadencia arty hueca, el machismo marca registrada omnipresente de
aquella etapa, el desprecio cruzado dentro del mismo régimen y sus recovecos
mafiosos, los recursos teatrales minimalistas, mucha cámara estática
festivalera de otro tiempo y sobre todo esta semblanza faustiana de fondo que
ya se vio mil veces, hoy con Iván reemplazando en el desenlace a Keys al
aceptar licuar las propiedades de los asesinados de una forma que
definitivamente su predecesor no había consentido, ambos muy amigos de los
genocidas…
Nessun commento:
Posta un commento