è un film che tocca mille temi, la religione, i vampiri, la violenza, la famiglia, l'amore, fra le altre cose.
attori bravissimi, con una sceneggiatura che non stanca e un ottimo regista.
ecco, se volete vedere un film sorprendente e bello, Thirst vi aspetta.
buona (sanguigna) visione - Ismaele
Sang -hyun, un sacerdote devoto e rispettato, decide di
sottoporsi volontario ad un esperimento che mira a trovare un vaccino per il
nuovo e terribile Emmanuel virus, ma viene infettato dal virus stesso e muore.
Una trasfusione di sangue di provenienza ignota, però, lo riporta in vita come
vampiro. Si sparge la voce che faccia miracoli e i bisognosi accorrono al suo
letto d'ospedale. Tra essi, Sang -hyun ritrova l'amico d'infanzia Kang-woo e
s'innamora perdutamente della moglie Tae-ju, con la quale intraprende una relazione
che lo porta ad uccidere l'amico e a prendere il suo posto, nella casa della
madre.
Liberamente ispirato a "Teresa Raquin" di Zola, di cui riprende la
trama e il numero dei personaggi, Thirst del coreano Park
Chan-Wook è un film denso e in continua trasformazione. Se il romanzo di Zola
poneva i due uomini e le due donne allo stesso livello, la partita a quattro,
nel film, per il gioco settimanale del mahjong, è sì occasione tra le più belle
per incrociare le traiettorie degli sguardi in una vera e propria danza
burlesca tra due vampiri, un fantasma e una donna più morta che viva che
movimenta i passi con il battito delle ciglia, ma il fantasma del maritino
morto e la vecchia non sono qui che la spalla comica di una coppia tragica.
Non c'è vero scandalo (e là dove così appare così annoia), ma l'inquietudine
della ricerca; non c'è vendetta, se non ridicolizzata negli occhi della
matrigna; c'è però, ancora e sempre, una prigione, questa volta nell'amore:
perché ciò che s'innesta -il virus-, che s'inizia -al piacere-, che si chiede
-con una preghiera- non può che crescere sregolato, disobbediente,
inarrestabile. Più grande e più forte di noi: disumano.
Pretesto narrativo, dunque, il vampirismo non è affatto pretestuoso a livello
drammaturgico. Thirst, infatti, rinasce ad ogni sequenza a vita
nuova e differente: riflessione sulla relazione amorosa; sul confine tra (fare
del) bene e male; storia di passione, nel doppio significato del termine;
commedia; slapstick. E così rinascono i suoi personaggi: il prete, che
traghetta i vivi nel regno dei morti, diventa vampiro e inverte la direzione
del suo agire e la vergine vittima si svela una carnefice che non conosce il
pudore dell'assassinio, mutando (in seguito a un "happy birthday"
postmortem) da bimba spettinata a icona fatale, fantasia animata.
Di orrorifico non c'è nulla o quasi, di nuovo sui vampiri nemmeno; il film non
tratta la paura, ma l'amore carnale e l'amore tenero, filmando entrambi senza
interruzioni. Ridondante e imperfetto, passa senza posa per situazioni
cinematograficamente note e ricorrenti, come un vampiro che torna in diverse
epoche, e talvolta la sensazione che tutto sia già stato scritto è forte, ma la
penna di Park Chan-Wook ha un inchiostro unico e il suo quadro e il suo lavoro
sul sonoro un'espressività senza pari.
Aspettarselo era
più che lecito. Thirst, il
tanto anticipato e atteso horror di vampiri di Park Chan-wook in
realtà tutto è tranne che un horror. Perlomeno se s’intende il termine nella
maniera più ristretta e convenzionale. Perché il vampirismo, in Thirst,
è sostanzialmente un dettaglio, un pretesto e un artificio narrativo per
parlare di ben altro, nonostante alcune scene che comunque potranno soddisfare
i palati degli amanti del cinema dell’orrore più raffinato.
Perché la storia di un prete cattolico che, dopo essersi volutamente inoculato
un gravissimo virus per farsi cavia per un vaccino, si becca anche il “virus”
del vampirismo dopo una trasfusione, e che si “trasforma” ancora di più
innamorandosi (ricambiato) della moglie di un amico d’infanzia ritrovato per
caso, spinto dai suoi nuovi istinti, nasconde un numero elevatissimo di
tematiche. Thirst è un film che parla d’Amore
(di coppia ed in senso comunitario), di compassione, di egoismi e bramosie, di
redenzione, di quali siano le modalità adatte per fare del “bene”, ponendo
anche interrogativi sulla natura dell’idea stesso di atto caritatevole. Thirst è
un film che mette in luce come l’amore reciproco possa essere una meravigliosa
forma di cannibalismo mentale e morale, e della natura sottilmente ma non
perversamente egoistica di un qualsiasi gesto d’altruismo. Ma non c’è traccia
di pedanteria nei modi e nei tempi utilizzati da Park nell’affrontare questi
temi: il tono è sempre lieve ma con spessore, i registri variano dalla
commedia, all’orrore, al melodramma, i livelli s’intrecciano, le invenzioni
linguistiche si susseguono senza soluzione di continuità. Proprio come accadeva
in I’m a Cyborg
but That’s Ok, splendido film drammaticamente
sottovalutato, specie nel nostro paese: film che non a caso era un’altra
azzeccatissima storia d’Amore. Park pare essere ripartito proprio da lì,
per Thirst, più che dalla sua celebrata trilogia della vendetta:
gli orizzonti del suo cinema si fanno più ampi e variegati, si conferma la
voglia di sorprendere e sperimentare con una levità quasi giocosa.
E si conferma il talento di un regista che è capace di colpire gli occhi e il
cuore con immagini cinematografiche di rara efficacia e potenza (qui ad esempio
un paio di scarpe che vengono donate da lui a lei alla metà del film e che
ritornano in un finale bellissimo e struggente) e di raccontare sentimenti e
temi “importanti” con una disinvoltura che non nasconde tutt’altro che una
banale superficialità.
È da tanto tempo che voglio vederlo. Sin da quando ne vidi quasi per caso dieci minuti su Sky Cinema MAX. Prima o poi mi deciderò a visionarlo.
RispondiEliminanon te ne pentirai, vedrai :)
Elimina