il film parte lento, c'è da mettere a fuoco i personaggi e i loro caratteri, poi pian piano acquista spessore e profondità.
gli attori sono bravi, naturalmente anche merito del regista, che racconta una storia che riesce a coinvolgere chi guarda, la storia di un amore difficile fra padre e figlio, e della loro complicata e commovente (ri)conciliazione.
il cavallo Trevor è uno dei protagonisti del film, forse il suo centro di gravità.
un film che merita di essere visto, e ricompensa il tempo dedicato a Renato e a Tommaso.
buona (western) visione - Ismaele
... Personaggio terribile
dall’atteggiamento insostenibile, pieno di sé, arrogante e convinto di poter
domare l’indomabile, Renato ha preso un cavallo che tutti ritengono ingestibile
e lo vuole far saltare, vuole fargli fare le gare ma nemmeno riesce a montarlo.
È un’impresa stupida e Impossibile per chiunque ma non per la coppia Renato/Tommaso,
almeno se superano la convivenza. Era facilissimo raccontare questo rapporto
procedendo per scene-cliché e del resto il cinema l’ha fatto mille volte, Brado invece
sceglie di usare il cavallo come mediatore, i due
relazionandosi al cavallo si relazionano a vicenda, hanno qualcosa a cui voler
bene e curare che non è direttamente l’altro e così, di rimbalzo, si parlano
con i gesti e le azioni. Momenti secchi, mai sentimentali, sempre onesti.
Cinema di cui c’è bisogno come l’acqua, scritto, girato e soprattutto
interpretato benissimo.
Ci vuole un vero uomo di cinema per
fare un film come questo, uno che conosca
profondamente quest’arte, le sue possibilità e come raggiungerle, così acuto da
riuscire anche a capire la propria economia all’interno dell’impresa. Kim
Rossi Stuart è infatti anche attore, di nuovo e nonostante abbia
il personaggio più carismatico non è il protagonista. Sa farsi da parte in modo
magistrale quando serve, riservandosi il lavoro più complicato: incidere sul
film e aiutare il racconto di questo figlio solo con pochissimi elementi,
sguardi e gesti. È la spalla di lusso che tutti vorrebbero. Sembra recitare esagerando
ma è vero l'esatto contrario, fa contare ogni mossa, ogni gesto e addirittura
anche la stasi. Lo dimostra il fatto che sia sempre nervoso e arrabbiato il suo
Renato ma poi quando lascia uscire il livore vero, in una notte di rinfacci
terribili, è un altro passo, apre proprio un’altra scatola da cui
escono mostri dallo sguardo luciferino, i demoni che lo affliggono da
anni gli deformano il volto…
… È un film segnato dal tempo. Quello che
trascorre e quello passato che si cerca disperatamente di recuperare. Non fa
niente per farsi piacere e si ama proprio per come riesce ad essere spigoloso,
per come disegna un protagonista apparentemente respingente che sembra a metà
tra Kevin Costner e Robert Duvall. Il cinema di Kim Rossi Stuart regista è una
terra di confine, che si prende i suoi tempi per liberare gli affetti e sa
raccontare la paura (della morte, della sfida, di essere felici) come nessuno
oggi in Italia. Per questo diventano esaltanti le pause (il cielo stellato),
gli abbracci della figlia Viola e la gara. La scena in cui Tommaso e Trevor
iniziano a trovare la giusta sintonia è quella in cu Brado cambia direzione, apre
migliaia di possibili scenari narrativi e l’ingresso di Anna, l’addestratrice
di cavalli, diventa un ulteriore elemento di una famiglia che si allarga. Non
c’è bisogno di essere per forza parenti per farne parte. E qui, dentro Brado,
attraverso una famiglia, anzi famiglie itineranti che vanno e vengono, si
costruiscono le storie di tutta una vita. È emozionante proprio perché non fa
nulla per emozionare, ha un cuore grande così proprio perché nasconde agli
altri quello che prova. Kim Rossi Stuart neanche ci avrà pensato, ma qui dentro
c’è anche il fantasma di Robert Redford…
…Sognando a occhi aperti dunque si può sperare che il
pubblico italiano ritrovi un contatto con quegli autori e quelle produzioni che
rifuggono dalla rappresentazione stantia e preordinata del mondo. Il cinema
italiano, al di là della sua florida produzione sotterranea – non è
nell’indipendenza tout court che si annida il male per
quel che concerne lo scenario nazionale, anche se perfino lì si respira spesso
un’aria troppo standardizzata –, deve rintracciare il germe dell’anarchia,
della libertà espressiva come atto di rivendicazione dello sguardo, e della sua
non accettazione dello standard. Questo desiderio spinge a “difendere”
sorvolando su alcune debolezze opere come War – La guerra
desiderata di Gianni Zanasi, o Il maledetto di
Giulio Base. Rientra in questa schiatta anche Brado, il terzo lungometraggio diretto da Kim
Rossi Stuart in sedici anni di carriera. Fin dai tempi di Anche libero va bene, tra i migliori esordi
italiani del nuovo millennio, si era compreso come lo sguardo di Rossi Stuart
non fosse prono, né si adagiasse lasciandosi trascinare dalla marea montante:
una sensazione resa ancora più vivida dallo squilibratissimo, ma ancor più libero, Tommaso,
che venne accolto con un po’ di freddezza alla Mostra del Cinema di Venezia
(dov’era selezionato fuori concorso) e invece è la testimonianza di un
approccio mai canonico, disperato e furibondo, lontano dagli schemi consunti
del cinema italiano. Era il 2016, e nei sei anni che intercorrono tra quella
proiezione lidense e la distribuzione nelle sale di Brado Rossi Stuart si è tenuto in disparte,
“concedendosi” solo per due operazioni cinematografiche (Gli anni più belli di
Gabriele Muccino e Cosa sarà di
Francesco Bruni) e un’apparizione televisiva nella serie Maltese – Il romanzo del Commissario diretta
da Gianluca Maria Tavarelli e trasmessa in prima serata da RaiUno. Ama tenersi
in disparte, Kim Rossi Stuart, esattamente come il personaggio che interpreta
in Brado, scorbutico allevatore di cavalli nella
piana emiliana – almeno quello è l’accento diffuso tra le persone che incontra
– che ha mandato alla malora tutto, dalla famiglia alla sua stessa professione,
ma continua a incaponirsi sui cavalli più riottosi, quelli meno propensi a farsi
domare, quelli che vorrebbero restare liberi…
Se Brado di Kim
Rossi Stuart fosse una canzone sarebbe sicuramente Father
& Son di Cat Stevens. Contenuta nell’album “Tea
for the Tillerman” del 1970, la
canzone parla di un padre e un figlio che si confrontano in un momento
difficile per entrambi, quello del cambiamento. Il film, che uscirà in sala dal
20 ottobre, è il terzo film da regista per Kim Rossi Stuart e
segna anche un passaggio di testimone con i precedenti. I protagonisti,
infatti, hanno nomi che ritornano nelle sue pellicole quelli di Renato e
Tommaso, questa volta padre e figlio. Kim
Rossi Stuart è
Renato, un padre scontroso che, come i personaggi dei film di Clint
Eastwood, non si lascia andare facilmente alle emozioni e tiene tutto
dentro. E Saul Nanni che interpreta Tommaso, un ragazzo
cresciuto troppo in fretta che, a differenza del padre, farà di tutto per
esternare i suoi sentimenti…
… Giacconi
di velluto e jeans con la lana che trabocca alla Brockeback Mountain, campi lunghi contemplativi
che si fermano un attimo prima che scatti il registro romantico, mai
ingombranti ma atipici accordi country di chitarra all’americana (bravo Andrea
Guerra), Brado è cinema robusto, rude, volutamente villico, dove il
luciferino cinismo di Renato sbatte ciclicamente contro il sofferto rispetto e
l’edipico odio viscerale del figlio. E in questa surplace familiare, il cavallo
e la gara finiscono per fare quasi da sfondo, elevando (qui c’è tanto Eastwood)
il filo generazionale che tende a spezzarsi a cuore pulsante dell’intero film.
Kim si ritaglia una battuta caustica sulla fede, fa sentire in sottofondo un tg
con la politica conquistata dalla finanza, e lascia briglia sciolta a una
libido maschile etero (“quella è un bel bocconcino”, “sento sta cosa dura
dietro”) oggi paradossalmente diventata merce rara, finanche rivoluzionaria…
Nessun commento:
Posta un commento