sabato 29 ottobre 2022

Brado – Kim Rossi Stuart

il film parte lento, c'è da mettere a fuoco i personaggi e i loro caratteri, poi pian piano acquista spessore e profondità. 

gli attori sono bravi, naturalmente anche merito del regista, che racconta una storia che riesce a coinvolgere chi guarda, la storia di un amore difficile fra padre e figlio, e della loro complicata e commovente (ri)conciliazione.

il cavallo Trevor è uno dei protagonisti del film, forse il suo centro di gravità.

un film che merita di essere visto, e ricompensa il tempo dedicato a Renato e a Tommaso.

buona (western) visione - Ismaele 

 

 

... Personaggio terribile dall’atteggiamento insostenibile, pieno di sé, arrogante e convinto di poter domare l’indomabile, Renato ha preso un cavallo che tutti ritengono ingestibile e lo vuole far saltare, vuole fargli fare le gare ma nemmeno riesce a montarlo. È un’impresa stupida e Impossibile per chiunque ma non per la coppia Renato/Tommaso, almeno se superano la convivenza. Era facilissimo raccontare questo rapporto procedendo per scene-cliché e del resto il cinema l’ha fatto mille volte, Brado invece sceglie di usare il cavallo come mediatore, i due relazionandosi al cavallo si relazionano a vicenda, hanno qualcosa a cui voler bene e curare che non è direttamente l’altro e così, di rimbalzo, si parlano con i gesti e le azioni. Momenti secchi, mai sentimentali, sempre onesti. Cinema di cui c’è bisogno come l’acqua, scritto, girato e soprattutto interpretato benissimo.

Ci vuole un vero uomo di cinema per fare un film come questo, uno che conosca profondamente quest’arte, le sue possibilità e come raggiungerle, così acuto da riuscire anche a capire la propria economia all’interno dell’impresa. Kim Rossi Stuart è infatti anche attore, di nuovo e nonostante abbia il personaggio più carismatico non è il protagonista. Sa farsi da parte in modo magistrale quando serve, riservandosi il lavoro più complicato: incidere sul film e aiutare il racconto di questo figlio solo con pochissimi elementi, sguardi e gesti. È la spalla di lusso che tutti vorrebbero. Sembra recitare esagerando ma è vero l'esatto contrario, fa contare ogni mossa, ogni gesto e addirittura anche la stasi. Lo dimostra il fatto che sia sempre nervoso e arrabbiato il suo Renato ma poi quando lascia uscire il livore vero, in una notte di rinfacci terribili, è un altro passo, apre proprio un’altra scatola da cui escono mostri dallo sguardo luciferino,  i demoni che lo affliggono da anni gli deformano il volto…

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È un film segnato dal tempo. Quello che trascorre e quello passato che si cerca disperatamente di recuperare. Non fa niente per farsi piacere e si ama proprio per come riesce ad essere spigoloso, per come disegna un protagonista apparentemente respingente che sembra a metà tra Kevin Costner e Robert Duvall. Il cinema di Kim Rossi Stuart regista è una terra di confine, che si prende i suoi tempi per liberare gli affetti e sa raccontare la paura (della morte, della sfida, di essere felici) come nessuno oggi in Italia. Per questo diventano esaltanti le pause (il cielo stellato), gli abbracci della figlia Viola e la gara. La scena in cui Tommaso e Trevor iniziano a trovare la giusta sintonia è quella in cu Brado cambia direzione, apre migliaia di possibili scenari narrativi e l’ingresso di Anna, l’addestratrice di cavalli, diventa un ulteriore elemento di una famiglia che si allarga. Non c’è bisogno di essere per forza parenti per farne parte. E qui, dentro Brado, attraverso una famiglia, anzi famiglie itineranti che vanno e vengono, si costruiscono le storie di tutta una vita. È emozionante proprio perché non fa nulla per emozionare, ha un cuore grande così proprio perché nasconde agli altri quello che prova. Kim Rossi Stuart neanche ci avrà pensato, ma qui dentro c’è anche il fantasma di Robert Redford…

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Sognando a occhi aperti dunque si può sperare che il pubblico italiano ritrovi un contatto con quegli autori e quelle produzioni che rifuggono dalla rappresentazione stantia e preordinata del mondo. Il cinema italiano, al di là della sua florida produzione sotterranea – non è nell’indipendenza tout court che si annida il male per quel che concerne lo scenario nazionale, anche se perfino lì si respira spesso un’aria troppo standardizzata –, deve rintracciare il germe dell’anarchia, della libertà espressiva come atto di rivendicazione dello sguardo, e della sua non accettazione dello standard. Questo desiderio spinge a “difendere” sorvolando su alcune debolezze opere come War – La guerra desiderata di Gianni Zanasi, o Il maledetto di Giulio Base. Rientra in questa schiatta anche Brado, il terzo lungometraggio diretto da Kim Rossi Stuart in sedici anni di carriera. Fin dai tempi di Anche libero va bene, tra i migliori esordi italiani del nuovo millennio, si era compreso come lo sguardo di Rossi Stuart non fosse prono, né si adagiasse lasciandosi trascinare dalla marea montante: una sensazione resa ancora più vivida dallo squilibratissimo, ma ancor più libero, Tommaso, che venne accolto con un po’ di freddezza alla Mostra del Cinema di Venezia (dov’era selezionato fuori concorso) e invece è la testimonianza di un approccio mai canonico, disperato e furibondo, lontano dagli schemi consunti del cinema italiano. Era il 2016, e nei sei anni che intercorrono tra quella proiezione lidense e la distribuzione nelle sale di Brado Rossi Stuart si è tenuto in disparte, “concedendosi” solo per due operazioni cinematografiche (Gli anni più belli di Gabriele Muccino e Cosa sarà di Francesco Bruni) e un’apparizione televisiva nella serie Maltese – Il romanzo del Commissario diretta da Gianluca Maria Tavarelli e trasmessa in prima serata da RaiUno. Ama tenersi in disparte, Kim Rossi Stuart, esattamente come il personaggio che interpreta in Brado, scorbutico allevatore di cavalli nella piana emiliana – almeno quello è l’accento diffuso tra le persone che incontra – che ha mandato alla malora tutto, dalla famiglia alla sua stessa professione, ma continua a incaponirsi sui cavalli più riottosi, quelli meno propensi a farsi domare, quelli che vorrebbero restare liberi

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Se Brado di Kim Rossi Stuart fosse una canzone sarebbe sicuramente Father & Son di Cat Stevens. Contenuta nell’album “Tea for the Tillerman” del 1970, la canzone parla di un padre e un figlio che si confrontano in un momento difficile per entrambi, quello del cambiamento. Il film, che uscirà in sala dal 20 ottobre, è il terzo film da regista per Kim Rossi Stuart e segna anche un passaggio di testimone con i precedenti. I protagonisti, infatti, hanno nomi che ritornano nelle sue pellicole quelli di Renato e Tommaso, questa volta padre e figlio. Kim Rossi Stuart è Renato, un padre scontroso che, come i personaggi dei film di Clint Eastwood, non si lascia andare facilmente alle emozioni e tiene tutto dentro. E Saul Nanni che interpreta Tommaso, un ragazzo cresciuto troppo in fretta che, a differenza del padre, farà di tutto per esternare i suoi sentimenti…

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Giacconi di velluto e jeans con la lana che trabocca alla Brockeback Mountain, campi lunghi contemplativi che si fermano un attimo prima che scatti il registro romantico, mai ingombranti ma atipici accordi country di chitarra all’americana (bravo Andrea Guerra), Brado è cinema robusto, rude, volutamente villico, dove il luciferino cinismo di Renato sbatte ciclicamente contro il sofferto rispetto e l’edipico odio viscerale del figlio. E in questa surplace familiare, il cavallo e la gara finiscono per fare quasi da sfondo, elevando (qui c’è tanto Eastwood) il filo generazionale che tende a spezzarsi a cuore pulsante dell’intero film. Kim si ritaglia una battuta caustica sulla fede, fa sentire in sottofondo un tg con la politica conquistata dalla finanza, e lascia briglia sciolta a una libido maschile etero (“quella è un bel bocconcino”, “sento sta cosa dura dietro”) oggi paradossalmente diventata merce rara, finanche rivoluzionaria…

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