lunedì 10 ottobre 2022

Everything Everywhere All at Once - Daniel Kwan, Daniel Scheinert

la protagonista, Evelyn (Michelle Yeoh), gestisce una lavanderia a gettoni e viene chiamata dall'ufficio delle imposte per un controllo della contabilità.

Evelyn già ha una situazione familiare complicata, con la figlia, sopratutto, cè qualche incomprensione, ma anche suo padre e suo marito non sono rose e fiori, e quel controllo fiscale non ci voleva. I problemi della contabilità fanno da detonatore a una situazione che si trascinava da tempo.

mentre prima nei film c'erano la psicologia, la terapia familiare, la psicoanalisi, coi Daniels (i registi) entrano in gioco universi paralleli, un buco nero, i cattivi e le cattive, e il film è proprio di menare, direbbe Corrado Guzzanti, con un po' di ufi, naturalmente.

il film è pieno di citazioni, rimandi, è una gioia per gli occhi, in fondo è come un grande gioco un po' folle, se uno si lascia prendere si diverte a perdifiato.

in fondo è una storia d'amore (familiare), passando per mille universi che Ercole/Eracle avrebbe potuto affrontare, ma nella mitologia si chiamavano fatiche, ma aallora non c'erano lavanderie a gettone, spese deducibili.

prima dell'inizio allacciate le cinture e preparatevi a una corsa di due ore sulle montagne russe. 

merita di essere visto, è un perfetto film dei nostri tempi.

buona (stupefacente) visione - Ismaele


   

 

Impossibile da descrivere. È la prima impressione al termine delle 2 ore e venti minuti di proiezione dello stravagante, bizzarro, geniale, anarchico Everything Everywhere all at once. Un film che sfida qualsiasi categorizzazione.

Una trama che si riassume in poche righe: una donna cinese di mezza età è chiamata a salvare il mondo saltellando in una serie di universi paralleli temporali e geografici, combattendo a colpi di kung fu potentissimi nemici che hanno l’aspetto, di volta in volta, del padre, della figlia e della ispettrice delle tasse. Se siete abbastanza confusi non siete i soli.

E se credete che Swiss Army Man fosse strano, aspettate di vedere le bizzarrie di questo film, diretto dai Daniels, ovvero il collettivo formato da Dan Kwan e Daniel Scheinert…

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Che cos’è il Multiverso? Una dimensione parallela, la frammentazione del presente in più realtà. È ormai una colonna portante della fantascienza, ma non disdegna anche la favola. Pensiamo a Peter Pan, a quella “seconda stella a destra” che portava all’Isola che non c’è. Oggi il multi che diventa anche meta è stato sdoganato da Matrix, per arrivare fino alla Marvel che ci ha costruito un impero. Non a caso tra i produttori di Everything Everywhere All At Once spiccano i fratelli Russo, i registi di quattro capitoli (tra cui i due più importanti Avengers: Infinity War ed Avengers: Endgame) delle avventure targate Marvel. Ma qui non siamo dalle parti della Disney, a tenere le redini del progetto è la meritoria A24.

L’obiettivo è creare il film più estremo, colorato e coraggioso che sia mai stato realizzato sul multiverso. Dal blockbuster si passa all’indie, il trionfo è nel pop e nell’incontro di più generi. La strizzata d’occhio a Matrix è d’obbligo, ma non mancano pure Wong Kar-wai (In the Mood for Love) e I guardiani della galassia che si fondono con Ratatouille. Impresa folle? Forse. Ma è proprio questo che affascina del cinema di Dan Kwan e Daniel Scheinert: la continua ricerca di una nuova invenzione visiva per sparigliare le carte e muoversi tra l’azione e la risata. Si uniscono Oriente e Occidente (in principio doveva esserci Jackie Chan), il wuxia sfocia nell’action più esasperato.

La chiave è già nel titolo, nel trittico che accompagna l’intera durata del film. “Tutto”: il feroce tentativo di avere ogni cosa sotto controllo, superando anche il nostro universo. “Ovunque”: appartenere all’infinito e non accettare mai il singolo. “In una volta sola”: poter soppiantare la propria dimensione, piegare la scienza per spingersi verso l’eternità. Everything Everywhere All At Once è quindi una dichiarazione d’intenti, che mette in guardia fin dall’inizio. Sfida lo sguardo, si interroga sulle false verità che ci circondano. Ci si può fidare della vista? Non in questo caso. Perché nello stesso momento un’altra proiezione di noi stessi magari sta facendo il contrario di quello che pensiamo…

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Everything Everywhere All At Once è a tutti gli effetti un film sensoriale, in cui siamo chiamati ad attivare la nostra capacità di giudizio confrontandoci con ogni sperimentazione di reparto che ci viene proposta: gli effetti visivi, le transizioni, i volti che lasciano il segno; le battute precisissime che ci danno fin dall’inizio un’idea sommaria e poi totale di cosa può essere il Multiverso con le sue infinite potenzialità. Sfidando le leggi della probabilità, plausibilità e coerenza – parti fondamentali della costruzione di un mondo narrativo – i Daniels confezionano una storia in cui è la specificità della famiglia protagonista a trasferirci un senso di universalità, tramite l’esposizione di sensazioni e la messa in scena di circostanze in cui chiunque può riconoscersi.

Il Multiverso è nella quotidianità di EvelynRaymond e Joy, nella caoticità straziante di una famiglia che deve cercare di salvare un’attività in fallimento, un confronto dialogico mancante, pensieri che viaggiano a velocità elevata ma in menti diverse, senza mai riuscire a trovare un punto di incontro. Scelte di vita, potenziali cambi di rotta, molteplici “what if”, proiezioni siderali che portano ad una sensazione di benessere per poi rimpiombare nel caos che abbiamo creato noi stessi: tutto il film è ovunque e in molti momenti di un’esistenza che deve riprendere forma con i rinnovati legami familiari.

Impossibile non soffermarsi sulla performance esemplare di Michelle Yeoh in Everyhting Everywhere All At Once, che si è cimentata personalmente con gli stunt, confermandosi una meravigliosa star del cinema d’azione, ma non solo. Attraverso il personale viaggio di Evelyn nel Multiverso, tra la donna che era e che è diventata, riesce a consegnarci il ritratto a tutto tondo di una madre che deve mettersi costantemente in discussione, sospesa tra un retaggio che la costringe alla diligenza e al dovere, e un presente talmente fluido che le risulta impossibile trovare dei punti di appiglio, immersa com’è in una quotidianità miope, che ci domina con routine prestabilite, con compiti da assolvere e ruoli in cui siamo costretti a identificarci…

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veniamo a Evelyn Wang (una straordinaria Michelle Yeoh), l’immigrata cinese di mezz’età a cui i due registi dedicano la loro seconda opera. Evelyn è proprietaria di una squallida lavanderia incastonata in chissà quale suburbio di chissà quale metropoli americana. Evelyn è la moglie di Waymong (Ke Huy Quan), un omino mediocre tanto gentile da risultare perfino fastidioso, il Candido per antonomasia, un eterno fanciullo cresciuto troppo in fretta. Evelyn è la figlia di Gong Gong (James Hong), un padre anaffettivo o, diremmo oggi, vecchia scuola, un padre che scambia l’emancipazione per insubordinazione, un padre che non esita a scomunicare la figlia per aver osato sognare in modo ingenuo. Evelyn è, infine, la madre di Joy (Stephanie Hsu), un’adolescente disorientata, insicura e ansiosa, un Pollicino con la sindrome dell’impostore, insomma il ritratto di ogni millennial che si rispetti.

Un giorno, mentre la famiglia Wang si avventura fra i catasti dell’Ufficio Tasse, qualcosa inizia a sfaldarsi: una crepa corre dalla scrivania davanti alla quale Evelyn sorride accondiscendente, fino a raggiungere lo sgabuzzino delle scope. Come nel migliore episodio di Twilight Zonela protagonista spalancherà la porta del ripostiglio (o, direbbe la Drew Barrymore di Donnie Darko, “the cellar door”), sciogliendo le briglie ai mostri che in esso si celano e incontrando svariate versioni di sé stessa, di suo marito, di suo padre, nonché di sua figlia…

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Todo a la vez en todas partes (Todo en todas partes al mismo tiempo) es una cinta austera en cuanto a los escenarios donde discurre, la mayor parte de tiempo ocurre en unas oficinas y en la casa de los protagonistas, pero curiosamente no necesita más para dar vida a esta locura de diversas realidades paralelas.

Y para dar sentido a estas realidades, un gran aspecto es el de vestuario que acompaña a cada personaje en su lugar. Cómo cambia de un universo a otro, ejemplifica el éxito o fracaso que le ha podido llevar a ese preciso instante.

Las actuaciones son fabulosas, pero destaca por encima del resto una Yeoh que absorbe prácticamente todo el protagonismo. Está deslumbrante en sus escenas de acción, graciosa en muchos momentos y emotiva en el desenlace.

Curtis interpretando a una antagonista muy particular también me ha encantado, consigue dotar a su personaje de un perfecto carácter irritante. Quan como marido bonachón me ha maravillado, además de sus impresionantes escenas de lucha; Hsu como la hija también está excepcional.

Los personajes protagonistas son todo un acierto, están casi más perdidos que los propios espectadores, por lo que está ocurriendo y cómo pueden combatir los obstáculos que se les presentan. También es más que deleitable cómo cambian de un universo a otro en carácter y capacidades físicas…

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Scritto e diretto dai Daniels e prodotto dai fratelli Russo, questa avventura intradimensionale offre una messa in scena pazzesca e un virtuosismo scatenato nel raccontare ciò che la sua protagonista (una Michelle Yeoh in formissima) si ritrova per le mani nel momento in cui viene introdotta al concetto di multiverso. È un film con dentro mille altri film quello di cui stiamo parlando. Dentro Everything Everywhere All at Once ci sono Bruce Lee e Jackie Chan, ci sono gag a sfondo sessuale che sembrano uscite da Deadpool, momenti che ricordano il Matthew Vaughn del primo Kingsman, c’è assolutamente Matrix, c’è Douglas Adams, c’è Edgar Wright e ci sono pure i Looney Tunes. L’impatto visivo è sorprendente, è un viaggio che cambia colori, riferimenti, citazioni, stile e genere ogni tre secondi. E questo, se da un lato è la sua indiscutibile forza, dall’altro è anche il suo punto debole.


Il problema di Everything Everywhere All at Once

Sì, perché a furia di procedere per accumulo, Everything Everywhere All at Once ha una parte centrale dove mostra inevitabilmente la corda. Inizia a ripetersi, pare non sappia più in quale direzione esagerare e soprattutto come fare per riempire una durata francamente eccessiva. Soprattutto per una trama abbastanza prevedibile, nonostante abbia – in perfetto stile Daniels – un cuore che batte grosso così.

La sensazione è che forse avrebbe giovato asciugare la parte che precede la resa dei conti finale, dove comunque va detto che si riprende quota alla grande. I personaggi e i loro legami ci portano esattamente laddove dovevano portarci e giungiamo al termine del viaggio col sorriso sulle labbra. E alla fine Everything Everywhere All at Once fa quello che tanto cinema di fantascienza action si dimentica di fare: ricordarci che l’elemento fantastico non serve a nulla se non viene usato come metafora dei nostri conflitti personali.

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Sinceramente Todo en Todas Partes al Mismo Tiempo rankea en punta como uno de los films más decepcionantes del año, un trabajo que podría haber sido maravilloso pero que aburre a más no poder en sus muy excesivos 140 minutos de metraje repletos de escenas tontas videocliperas o cuasi publicitarias, instantes melodramáticos maniqueos, pasos de hilaridad delirante que generan indiferencia y en especial momentos cargados de CGIs invasivos que pretenden pasar por loas nihilistas al absurdo pero terminan cansando por las múltiples redundancias retóricas sobreexplicativas, el ensalzamiento insistente de la familia fragmentada de hoy en día y la típica falta de paciencia del cine actual, sin siquiera ofrecer una mínima secuencia de transición entre un mundo/ ecosistema y otro en lo que parece ser una retahíla inconexa de sketchs desabridos y para colmo inspirados en colectivos y shows de comedia más atractivos, como los Monty Python. El film no sólo es moralista, caótico, meloso, torpe y grandilocuente por el simple apego a la exageración sin riqueza conceptual de fondo y muy cercana a las montañas rusas más huecas, sino que recae una y otra vez en la ridiculez autoparódica involuntaria de pretender alejarse del mainstream de aventuras infantilizado de superhéroes recuperando sus recursos y compulsiones como si de un espejo se tratase, planteo que nos deja con un par de realizadores que no saben pisar el freno para que pueda generarse empatía con personajes de por sí caricaturescos y pobretones y para que pueda “disfrutarse” en serio este cúmulo de referencias a las otras versiones de Evelyn…

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