la protagonista, Evelyn (Michelle Yeoh), gestisce una lavanderia a gettoni e viene chiamata dall'ufficio delle imposte per un controllo della contabilità.
Evelyn già ha una situazione familiare complicata, con la figlia, sopratutto, cè qualche incomprensione, ma anche suo padre e suo marito non sono rose e fiori, e quel controllo fiscale non ci voleva. I problemi della contabilità fanno da detonatore a una situazione che si trascinava da tempo.
mentre prima nei film c'erano la psicologia, la terapia familiare, la psicoanalisi, coi Daniels (i registi) entrano in gioco universi paralleli, un buco nero, i cattivi e le cattive, e il film è proprio di menare, direbbe Corrado Guzzanti, con un po' di ufi, naturalmente.
il film è pieno di citazioni, rimandi, è una gioia per gli occhi, in fondo è come un grande gioco un po' folle, se uno si lascia prendere si diverte a perdifiato.
in fondo è una storia d'amore (familiare), passando per mille universi che Ercole/Eracle avrebbe potuto affrontare, ma nella mitologia si chiamavano fatiche, ma aallora non c'erano lavanderie a gettone, spese deducibili.
prima dell'inizio allacciate le cinture e preparatevi a una corsa di due ore sulle montagne russe.
merita di essere visto, è un perfetto film dei nostri tempi.
buona (stupefacente) visione - Ismaele
Impossibile da descrivere. È la prima impressione al
termine delle 2 ore e venti minuti di proiezione dello stravagante, bizzarro,
geniale, anarchico Everything Everywhere all at once. Un
film che sfida qualsiasi categorizzazione.
Una trama che si riassume in poche righe: una donna
cinese di mezza età è chiamata a salvare il mondo saltellando in una serie di
universi paralleli temporali e geografici, combattendo a colpi di kung fu
potentissimi nemici che hanno l’aspetto, di volta in volta, del padre, della
figlia e della ispettrice delle tasse. Se siete abbastanza confusi non siete i
soli.
E se credete che Swiss Army Man fosse
strano, aspettate di vedere le bizzarrie di questo film, diretto dai Daniels,
ovvero il collettivo formato da Dan Kwan e Daniel Scheinert…
Che cos’è il
Multiverso? Una dimensione parallela, la frammentazione del presente in più
realtà. È ormai una colonna portante della fantascienza, ma non disdegna anche
la favola. Pensiamo a Peter Pan, a quella “seconda stella a destra” che portava
all’Isola che non c’è. Oggi il multi che diventa anche meta è stato sdoganato
da Matrix, per
arrivare fino alla Marvel che ci ha costruito un impero. Non a caso tra i
produttori di Everything Everywhere
All At Once spiccano i fratelli Russo, i registi di quattro capitoli
(tra cui i due più importanti Avengers:
Infinity War ed Avengers:
Endgame) delle avventure targate Marvel. Ma qui non siamo dalle
parti della Disney, a tenere le redini del progetto è la meritoria A24.
L’obiettivo è creare il film più estremo, colorato e coraggioso che sia
mai stato realizzato sul multiverso. Dal blockbuster si passa all’indie, il
trionfo è nel pop e nell’incontro di più generi. La strizzata d’occhio a Matrix è d’obbligo, ma
non mancano pure Wong Kar-wai (In
the Mood for Love) e I
guardiani della galassia che si fondono con Ratatouille. Impresa folle?
Forse. Ma è proprio questo che affascina del cinema di Dan Kwan e Daniel
Scheinert: la continua ricerca di una nuova invenzione visiva per sparigliare
le carte e muoversi tra l’azione e la risata. Si uniscono Oriente e Occidente
(in principio doveva esserci Jackie Chan), il wuxia sfocia nell’action più esasperato.
La chiave è già nel titolo, nel trittico che accompagna
l’intera durata del film. “Tutto”: il feroce tentativo di avere ogni cosa sotto
controllo, superando anche il nostro universo. “Ovunque”: appartenere
all’infinito e non accettare mai il singolo. “In una volta sola”: poter
soppiantare la propria dimensione, piegare la scienza per spingersi verso
l’eternità. Everything Everywhere
All At Once è quindi una dichiarazione d’intenti, che mette in guardia
fin dall’inizio. Sfida lo sguardo, si interroga sulle false verità che ci
circondano. Ci si può fidare della vista? Non in questo caso. Perché nello
stesso momento un’altra proiezione di noi stessi magari sta facendo il
contrario di quello che pensiamo…
…Everything Everywhere All At Once è
a tutti gli effetti un film sensoriale, in cui siamo chiamati ad attivare la
nostra capacità di giudizio confrontandoci con ogni sperimentazione di reparto
che ci viene proposta: gli effetti visivi, le transizioni, i volti che lasciano
il segno; le battute precisissime che ci danno fin dall’inizio un’idea sommaria
e poi totale di cosa può essere il Multiverso con le sue infinite potenzialità.
Sfidando le leggi della probabilità, plausibilità e coerenza – parti
fondamentali della costruzione di un mondo narrativo – i Daniels confezionano
una storia in cui è la specificità della famiglia protagonista a trasferirci un
senso di universalità, tramite l’esposizione di sensazioni e la messa in scena
di circostanze in cui chiunque può riconoscersi.
Il Multiverso è nella quotidianità di Evelyn, Raymond e Joy,
nella caoticità straziante di una famiglia che deve cercare di salvare
un’attività in fallimento, un confronto dialogico mancante, pensieri che
viaggiano a velocità elevata ma in menti diverse, senza mai riuscire a trovare
un punto di incontro. Scelte di vita, potenziali cambi di rotta, molteplici
“what if”, proiezioni siderali che portano ad una sensazione di benessere per
poi rimpiombare nel caos che abbiamo creato noi stessi: tutto il film è ovunque e
in molti momenti di un’esistenza che deve riprendere forma con i rinnovati
legami familiari.
Impossibile non soffermarsi sulla performance esemplare
di Michelle Yeoh in Everyhting Everywhere All At Once,
che si è cimentata personalmente con gli stunt, confermandosi una meravigliosa
star del cinema d’azione, ma non solo. Attraverso il personale viaggio di Evelyn nel
Multiverso, tra la donna che era e che è diventata, riesce a consegnarci il
ritratto a tutto tondo di una madre che deve mettersi costantemente in
discussione, sospesa tra un retaggio che la costringe alla diligenza e al
dovere, e un presente talmente fluido che le risulta impossibile trovare dei
punti di appiglio, immersa com’è in una quotidianità miope, che ci domina con
routine prestabilite, con compiti da assolvere e ruoli in cui siamo costretti a
identificarci…
…veniamo a Evelyn Wang (una straordinaria Michelle
Yeoh), l’immigrata cinese di mezz’età a cui i due registi dedicano la
loro seconda opera. Evelyn è proprietaria di una squallida lavanderia
incastonata in chissà quale suburbio di chissà quale metropoli americana.
Evelyn è la moglie di Waymong (Ke Huy Quan), un omino mediocre
tanto gentile da risultare perfino fastidioso, il Candido per
antonomasia, un eterno fanciullo cresciuto troppo in fretta. Evelyn è la figlia
di Gong Gong (James Hong), un padre anaffettivo o, diremmo
oggi, vecchia scuola, un padre che scambia l’emancipazione per
insubordinazione, un padre che non esita a scomunicare la figlia per aver osato
sognare in modo ingenuo. Evelyn è, infine, la madre di Joy (Stephanie
Hsu), un’adolescente disorientata, insicura e ansiosa, un Pollicino
con la sindrome dell’impostore, insomma il ritratto di ogni millennial che
si rispetti.
Un giorno, mentre
la famiglia Wang si avventura fra i catasti dell’Ufficio Tasse, qualcosa inizia
a sfaldarsi: una crepa corre dalla scrivania davanti alla quale Evelyn sorride
accondiscendente, fino a raggiungere lo sgabuzzino delle scope. Come nel
migliore episodio di Twilight Zone, la
protagonista spalancherà la porta del ripostiglio (o, direbbe la Drew
Barrymore di Donnie Darko, “the cellar
door”), sciogliendo le briglie ai mostri che in esso si celano e incontrando
svariate versioni di sé stessa, di suo marito, di suo padre, nonché di sua
figlia…
…Todo
a la vez en todas partes (Todo en todas partes al mismo tiempo) es una cinta austera en cuanto a los escenarios donde
discurre, la mayor parte de tiempo ocurre en unas oficinas y en la casa de los
protagonistas, pero curiosamente no necesita más para dar vida a esta locura de
diversas realidades paralelas.
Y para dar sentido a estas realidades, un gran aspecto es el de vestuario
que acompaña a cada personaje en su lugar. Cómo cambia de un universo a otro,
ejemplifica el éxito o fracaso que le ha podido llevar a ese preciso instante.
Las actuaciones son fabulosas, pero destaca por encima del resto una Yeoh
que absorbe prácticamente todo el protagonismo. Está deslumbrante en sus
escenas de acción, graciosa en muchos momentos y emotiva en el desenlace.
Curtis interpretando a una antagonista muy particular también me ha
encantado, consigue dotar a su personaje de un perfecto carácter irritante.
Quan como marido bonachón me ha maravillado, además de sus impresionantes
escenas de lucha; Hsu como la hija también está excepcional.
Los personajes protagonistas son todo un acierto, están casi más perdidos
que los propios espectadores, por lo que está ocurriendo y cómo pueden combatir
los obstáculos que se les presentan. También es más que deleitable cómo cambian
de un universo a otro en carácter y capacidades físicas…
…Scritto e diretto dai Daniels e prodotto dai fratelli Russo, questa
avventura intradimensionale offre una messa in scena pazzesca e un virtuosismo
scatenato nel raccontare ciò che la sua protagonista (una Michelle Yeoh in
formissima) si ritrova per le mani nel momento in cui viene introdotta al
concetto di multiverso. È un film con dentro mille altri film quello di cui
stiamo parlando. Dentro Everything Everywhere All at
Once ci sono Bruce Lee e Jackie Chan, ci sono gag a sfondo
sessuale che sembrano uscite da Deadpool, momenti
che ricordano il Matthew Vaughn del primo Kingsman, c’è
assolutamente Matrix, c’è Douglas Adams, c’è
Edgar Wright e ci sono pure i Looney Tunes. L’impatto visivo è sorprendente, è
un viaggio che cambia colori, riferimenti, citazioni, stile e genere ogni tre
secondi. E questo, se da un lato è la sua indiscutibile forza, dall’altro è
anche il suo punto debole.
Il problema di Everything Everywhere All
at Once
Sì, perché a furia di procedere per accumulo, Everything Everywhere All at Once ha una parte
centrale dove mostra inevitabilmente la corda. Inizia a ripetersi, pare non
sappia più in quale direzione esagerare e soprattutto come fare per riempire
una durata francamente eccessiva. Soprattutto per una trama abbastanza
prevedibile, nonostante abbia – in perfetto stile Daniels – un cuore che batte
grosso così.
La sensazione è che forse avrebbe giovato asciugare la
parte che precede la resa dei conti finale, dove comunque va detto che si
riprende quota alla grande. I personaggi e i loro legami ci portano esattamente
laddove dovevano portarci e giungiamo al termine del viaggio col sorriso sulle
labbra. E alla fine Everything Everywhere All at
Once fa quello che tanto cinema di fantascienza action si
dimentica di fare: ricordarci che l’elemento fantastico non serve a nulla se
non viene usato come metafora dei nostri conflitti personali.
…Sinceramente Todo
en Todas Partes al Mismo Tiempo rankea en punta como uno de los films
más decepcionantes del año, un trabajo que podría haber sido maravilloso pero
que aburre a más no poder en sus muy excesivos 140 minutos de metraje repletos
de escenas tontas videocliperas o cuasi publicitarias, instantes melodramáticos
maniqueos, pasos de hilaridad delirante que generan indiferencia y en especial
momentos cargados de CGIs invasivos que pretenden pasar por loas nihilistas al
absurdo pero terminan cansando por las múltiples redundancias retóricas
sobreexplicativas, el ensalzamiento insistente de la familia fragmentada de hoy
en día y la típica falta de paciencia del cine actual, sin siquiera ofrecer una
mínima secuencia de transición entre un mundo/ ecosistema y otro en lo que
parece ser una retahíla inconexa de sketchs desabridos y para colmo inspirados
en colectivos y shows de comedia más atractivos, como los Monty Python. El film
no sólo es moralista, caótico, meloso, torpe y grandilocuente por el simple
apego a la exageración sin riqueza conceptual de fondo y muy cercana a las
montañas rusas más huecas, sino que recae una y otra vez en la ridiculez autoparódica
involuntaria de pretender alejarse del mainstream de aventuras infantilizado de
superhéroes recuperando sus recursos y compulsiones como si de un espejo se
tratase, planteo que nos deja con un par de realizadores que no saben pisar el
freno para que pueda generarse empatía con personajes de por sí caricaturescos
y pobretones y para que pueda “disfrutarse” en serio este cúmulo de referencias
a las otras versiones de Evelyn…
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