Hirokazu Koreeda dopo Parigi gira un film in Corea.
il film è una storia che sembra un thriller con dei delinquenti che commerciano bambini.
la realtà è un'altra, ai confini della legalità, magari oltre, e quelli che sembravano guardie e ladri sembrano più vicini di quanto si potesse credere all'inizio.
mutatis mutandis sembra un film neorealista scritto da Zavattini.
il film riesce a non annoiare mai, con dei colpi di scena ben assestati, e
attori bravissimi, naturalmente, in mano a un signor regista.
e però, sarò incontentabile, i registi in trasferta spesso perdono qualcosa rispetto a quando girano in casa, tuttavia il film merita molto.
buona (nippo-coreana) visione - Ismaele
…Con Broker racconta invece una
storia coreana (che lo vede lavorare con star locali come il Song Kang-ho
di Parasite) che inizia a Busan e diventa poi un
road movie itinerante, pur rimanendo molto vicina ai temi tradizionali del suo
cinema.
Innanzitutto la famiglia, organismo primario che va oltre anche i legami di
sangue. Per il regista nipponico famiglia vuol dire pathos, impegno e
responsabilità: è un modo di resistere al sistema e alle sue storture sociali,
questa volta con particolare enfasi sulle leggi per l'adozione e sulle
politiche di welfare infantile. Broker si chiede e fa chiedere
ai suoi personaggi cosa sia più giusto, esaminando un caleidoscopio di casi da
diverse prospettive durante il viaggio sgangherato di questa famiglia
improvvisata.
Ci sono madri bisognose, coppie che hanno provato di tutto, ospedali che si
prendono cura dei neonati abbandonati, gestori di orfanotrofi, e la polizia che
deve applicare leggi a volte troppo severe. L'immagine della "baby
box", un buco nel muro illuminato e con ninna nanna incorporata dove poter
lasciare alle cure dello stato un bambino a cui non si può dare un futuro, è
quella che apre il film e rimane sempre centrale nel suo sviluppo. Ma è davvero
un aiuto oppure incentiva le giovani madri all'abbandono?
Dilemmi sui quali Kore'eda si schiera sempre dalla parte dell'empatia e dei
buoni sentimenti, in quello che è un inno alla vita gentile e perfino un po'
ingenuo. Qualunque gruppo di persone può imparare a diventare famiglia
nell'universo del regista, che però è diverso dal mondo reale. Il
sentimentalismo che lo ha spesso aiutato a illuminare con dignità il genere del
dramma sociale stavolta lo fa apparire poco incisivo, benché il film si
mantenga piacevole grazie a un variegato cast di personaggi decisi a fare - più
o meno - sempre la cosa giusta
…Nel momento in cui i
loro cuori iniziano a schiudersi, ciò accade anche al film, il quale svela il
proprio ai suoi spettatori. Più i personaggi si raccontano, si smontano di ogni
preconcetto e si privano di ogni segreto, più il ritmo rallenta, concentrandosi
quella dimensione intima ed esistenzialista che Kore’eda è un maestro nel
mettere in scena. È in questa seconda metà del film che fuori escono tutte le
riflessioni sul significato di famiglia, di genitorialità e, in particolare,
sul conflitto tra il voler essere dei genitori e l’incapacità di esserlo
davvero. Un’incapacità che è però anche in questo caso la conseguenza di un
contesto sociale sempre più individualista, che non protegge i propri membri.
Tale dinamica è in particolare esplicitata
dalla presenza delle due detective intente ad osservare i movimenti del gruppo
per coglierli in flagrante e arrestarli. Si tratta di due personaggi che
incarnano quella legge cieca a determinate dinamiche e unicamente motivata a
punire ogni infrazione, senza valutare gli elementi di contorno. Quella legge
che, come avvenuto anche in Un affare di famiglia, riporta il
racconto ad una dimensione particolarmente cupa e soffocante. L’elemento crime è
in effetti particolarmente presente all’interno di Le buone stelle –
Broker, con una serie di indagini portate avanti dalla polizia e che
contribuiranno a far emergere ulteriori scheletri nell’armadio dei
protagonisti.
La sceneggiatura di Kore’eda si configura
dunque come un continuo susseguirsi di elementi e generi diversi tra loro, che
si incastrano a meraviglia grazie alla delicatezza con cui il tutto è narrato.
Un lavoro di scrittura a dir poco brillante il suo, che traspare anche grazie
al controllo con cui egli regola i toni del film, capace di passare dalla
commedia spensierata al dramma più puro. Con un impostazione di regia come suo
solito invisibile, discreta, che lascia parlare le immagini, Kore’eda si
divincola dal solito rischio di ripetersi per regalarci un’opera che ancora una
volta aggiunge qualcosa di nuovo alla poetica, ribadendo però la bellezza delle
tante sfumature che una famiglia può possedere.
… Le buone stelle. Broker sembra aver smarrito la purezza, per svilupparsi in una serie di
superfetazioni, deviazioni, sovrastrutture. In una dinamica che potrebbe
sembrare più “accattivante”. Ma che lascia emergere anche la dimensione più
ombrosa e problematica della visione di Kore-eda. Una sorta di pessimismo di
fondo, a cui si tenta di trovare un antidoto nel cuore segreto delle relazioni.
Un nuovo equilibrio. Nelle possibilità di una famiglia allargata, lontana da quella tradizionale, fondata più
sulle ragioni profonde delle sensibilità che sul sangue, più sul desiderio e il
bisogno di trovare una comunione alternativa che sulle differenze
generazionali. E, qui, in questa dimensione Kore-eda riesce sempre quei momenti
inarrivabili, struggenti, in cui l’emozione sorge spontanea dalle immagini.
Senza forzature, senza retorica. Come la straordinaria scena sulla ruota
panoramica. Sono quei momenti che solo i giganti sanno toccare con tanta
semplicità. E in cui, una volta di più, avverti tutta la tua impotenza,
l’inutilità di ogni discorso critico, l’impossibilità della parola a restituire
solo una minima scintilla dell’energia che smuove l’anima. In cui l’immagine ti
parla con la stessa evidenza della vita.
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