Pino Solanas, storie di cinema militante e politico - Antonello Catacchio
Ci sono personaggi che pur essendo pervasi dalla
storia e dalla cultura del proprio paese riescono a raggiungere platee e
consensi che vanno ben oltre i patri confini. Fernando Ezequiel Solanas, detto
Pino («neppure mia madre sa perché, è un nome che mi hanno dato da bambino»
raccontava) era uno di questi personaggi. Profondamente argentino dove tra
l’altro ha rivestito diverse cariche politiche, con il suo cinema ha saputo
farsi conoscere e apprezzare ovunque nel mondo. A partire dal 1968 quando La
hora del los hornos è stato presentato alla Mostra del nuovo cinema di
Pesaro, trasformandolo in un regista di riferimento per i giovani europei in
fermento e facendogli ottenere riconoscimenti in diversi festival, pur non
potendo presentare il film in Argentina (per molto tempo la circolazione del
film fu solo clandestina). Nelle quasi quattro ore e mezzo di documentario,
suddivise nei capitoli Neocolonialismo y violencia; Acto para la
liberación, a sua volta diviso in due parti Crónica del
peronismo (1945-1955) e Crónica de la resistencia (1955-1966);
infine Violencia y liberación, Solanas ha utilizzato la teoria del
collettivo Cine Liberación, fondato da lui con Getino (coautore del film) e
Vallejo.
SI TRATTA di cinema
guerrigliero e di sperimentazione, che utilizza montaggio, immagini di
repertorio, musiche, commenti, scritte, il tutto per coinvolgere emotivamente
lo spettatore di fronte alla ricostruzione della storia argentina e sullo
sfondo di quella dell’America Latina. «Un film di denuncia» lo definiva Pino
una decina d’anni fa, che poi aggiungeva «anche se oggi di fronte a tutto
quello che è successo sembra una favola».
Altri tempi, altri riferimenti, altre storie. Basti dire che la «favola» così
«difficile» all’epoca è stata diffusa in oltre settanta paesi del mondo. Da
allora Solanas non ha mai abbandonato gli ultimi, anche quando ha rischiato di
persona. Infatti negli anni ’70, quelli della dittatura militare, la tripla A,
un gruppo parapoliziesco argentino, lo ha minacciato di morte e la stessa
Marina Militare ha cercato di sequestrarlo, costringendolo così all’esilio,
prima verso la Spagna poi in Francia.
MA LA SUA non era una
voce che si potesse zittire facilmente, anche quando, tornato in patria, nel
1991 è stato vittima di un attentato che lo ha gambizzato con diverse
pallottole. Pino ha sempre continuato a realizzare film prima e dopo, vincendo
premi, anche con opere di fiction come Tangos, el exilio de Gardel
(Gran Premio Speciale della giuria a Venezia 1985), Sur (miglior
regia a Cannes 1988), El viaje (1992), La nube (1998),
senza però abbandonare il lavoro documentario. Memoria del saqueo (2004,
presentato a Berlino in occasione della consegna di un orso d’oro al regista) e
ancora La dignidad de los nadies (2005), Argentina
latente (2007); La próxima estación (2008); Tierra
sublevada: Oro impuro (2009) che si aggiungono ai lavori su Perón e
sullo sfruttamento sconsiderato e criminale delle risorse naturali.
LA COSTANTE delle sue opere
è stata l’indignazione «l’idea che il privato sia migliore dello stato. È una
favola, hanno rubato tutto nel modo più selvaggio». Parlando con lui in una sua
visita del 2008 aveva però mostrato entusiasmo per il momento politico del suo
continente «l’America Latina vive un momento straordinario e unita ha un futuro
straordinario perché per la prima volta sono in maggioranza i governi di centro
sinistra e di sinistra, mentre l’Europa è morta».
IL DESTINO però a volte
disegna strane traiettorie. Ecco così che Pino, dopo avere ricoperto diverse
cariche politiche rappresentative nel suo paese si convince a lasciare quella
di deputato per accettare l’invito del presidente neoeletto Alberto Fernández.
L’invito consiste nel diventare rappresentante dell’Argentina a Parigi presso
l’Unesco, un’istituzione che già aveva avuto modo di conoscere. Quindi Solanas,
meno di un anno fa, si trasferisce di nuovo in Europa per occuparsi di
educazione, scienza e cultura. La sua ultima visita ufficiale ai primi di
ottobre è a Roma, presso papa Francesco. Entrambi di Buenos Aires, nonostante l’ufficialità
dell’incontro, incentrato sul cambio climatico e la povertà, i due pare abbiano
chiacchierato con grande cordialità. Qualche giorno dopo però, sia lui che la
moglie, hanno contratto il Coronavirus. Ricoverato in ospedale Pino, a 84 anni,
non ce l’ha fatta a superare quest’ultima odiosa prova.
Di lui ci rimangono un’infinità di materiali generosi nel voler raccontare
sottosviluppo, saccheggio, rapine nei confronti della natura e dell’uomo e una
vitalità inesausta che ora ha dovuto cedere il passo. Non prima di avere
postato uno dei suoi ultimi tweet che oggi pare quasi una dichiarazione
testamentaria «Prendiamoci cura uno dell’altro».
Un tango per Solanas - Alessio Surian
Quién
sabe una noche me encane la muerte y chau Buenos Aires no te vuelvo a ver (Chissà che una notte non mi prenda la morte e allora
ciao Buenos Aires non ti vedrò più). Sulle note e i versi, scritti da Enrique Cadícamo
e Guillermo Desiderio Barbieri, Carlos Gardel si rivolgeva con “Anclao en
Paris” agli immigrati argentini a Parigi misurando tristemente la distanza
atlantica fra la capitale francese e Buenos Aires nel film Tangos.
L'esilio di Gardel.
Trentacinque anni dopo, Parigi si è portata via il regista
di quella e di altre indimenticabili opere cinematografiche che hanno letto con
umanità e sguardo critico i destini del suo paese. Fernando “Pino”
Solanas dall’estate scorsa rappresentava l’Argentina presso la
sede internazionale dell’Unesco a Parigi. Poi, il Covid. Aveva scritto di
recente: «Amici, sono ancora in terapia intensiva. La mia condizione è
delicata, mi curano bene. Resisto. Insieme a mia moglie Ángela, anche lei
ricoverata, vorremmo ringraziare tutti per il sostegno. Abbiate cura di voi».
Ha resistito per settimane, fino al 6 novembre. Ha scritto di lui Pablo
Gentili, responsabile delle relazioni internazionali del Ministero
dell’educazione argentino: «Aveva 84 anni, ma sembrava ne avesse 20. Ci
sentivamo spesso al telefono ed era sempre interessato ad essere coinvolto in
tutte le iniziative e sentiva forte l’urgenza del difendere il pianeta, del
combattere questa guerra per il futuro dell’umanità».
Riguardo alla sua arte, Paulo Antonio Paranagua scriveva
già negli anni Novanta che sentiva come tutti i film di Solanas possedessero
una forma di movimenti musicali. Del suo lavoro di regista diceva: «Mi faccio
sempre la stessa domanda: cosa dovrei raccontare per far sì che le persone
vengano e non pensino che tutto quel che sto dicendo sia un esercizio di stile?
Mi pare che molti film non siano altro che il seguito di quel che succede in
televisione, magari con meno qualità; poi c’è il cinema serio ed è quello che
cerco di fare».
Solanas segue da vicino le vicende peroniste e gira fra il
1973 e il 1975 Los hijos de Fierro, due ore in bianco e nero che
raccontano gli anni fra il 1955 e il 1973 collegando gli attivisti peronisti ai
“figli” del gaucho Martín Fierro, collaborando per le musiche con Alfredo
Zitarrosa, cantautore impegnato politicamente, poeta di una canzone uruguagia
attraversata dalle tradizioni musicali del Cono Sud.
«Per Los hijos de Fierro ho scelto come musiche candombes e murgas. Poi mi sono dato
al tango, specialmente quello creato da Piazzolla», spiegava Solanas.
Minacciato di morte e scampato a un tentativo di sequestro,
lascia l’Argentina nel 1976, prima per Madrid e poi per Parigi, dove gira il
documentario sulle disabilità La mirada de los otros in cui
ricorre alle musiche di Debussy e Satie. Deve lasciare incompiuto un
progetto, Adiós Nonino cui aveva cominciato a lavorare con
Astor Piazzolla. Ma col ritorno della democrazia in Argentina, può finalmente
dare corpo al suo lavoro sul tango. Nel 1985 rinnova la collaborazione con
Piazzolla e gira Tangos. El exilio de Gardel” che lega
strettamente Parigi a Buenos Aires attraverso i vissuti dei migranti argentini.
Insieme a Piazzolla e a José Luis Castiñeira de Dios crea una “tanguedia”
(tango + tragedia), un’opera musicale plasmata dal tango fin dalle battute di
apertura del film, con “Dúo de amor”.
Lo stesso Solanas scrive due brani (“Tango, tango”;
“Solo”), i testi delle canzoni, e interpreta nel film Discépolo (Enrique Santos
Discépolo), l’autore negli anni dai venti ai quaranta dei “tangos de
oro”, da “Yira, yira” a “Cambalache”. Con l’attrice e cantante Marie Laforêt
nel ruolo di Mariana, il film si guadagna nel 1986 il premio francese César per
la miglior colonna sonora.
Il tentativo di un gruppo di esuli a Parigi di portare in
scena una tanguedia è accompagnato lungo tutto il film dal
quintetto di Astor Piazzolla. “Dúo de Amor” lascia al solo bandoneón
l’esposizione della cellula ritmico-melodica che poi attraverserà l’intera
opera, dialogando volentieri con il violino di Fernando Suárez Paz, andando a
scovare andamenti ritmici diversi: da una lenta yumba al
tango tradizionale, alla milonga urbana che nella sua accentuazione (3+3+2) fa
da preludio alle composizioni della tanguedia vera e propria
che riprendono quella cellula ritmica e la elaborano con le parti più
contrappuntistiche dell’opera.
Non mancano i riconoscimenti in Argentina, per Solanas (Cóndor
de Plata dell’Asociación de la critica cinematográfica) e in
America Latina (Gran Premio a la mejor música original nel Festival
dell’Avana).
Tre anni dopo, a Cannes vince il premio come miglior
regista con Sur, coproduzione argentino-francese che rinnova il
sodalizio con Astor Piazzolla e coinvolge anche Fito Páez che interpreta sé
stesso e contribuisce alla colonna sonora con “Ushuaia”
Solanas compone anche "Milonga del tartamudo",
che vede protagonista Alfredo Zitarrosa.
Anche in questo caso il Festival dell’Avana fu prodigo di
riconoscimenti (Gran premio Coral per il miglior film, ma anche il
premio per la migliore colonna sonora).
Se la tanguedia aveva descritto l’esilio
europeo (ma anche quello interno all’Argentina), Sur esplora
l’esilio interiore degli anni della dittatura militare, prendendo il 1983 come
baricentro della narrazione, con l’uscita di un detenuto dopo cinque anni di
carcere inflitti dalla dittatura. Come vincere paura e rancore? In quali
condizioni tornare alla democrazia? La musica aiuta meglio di qualunque altro
elemento a rendere questa transizione, in particolare con “Tristeza separación”
affrontata sia col quintetto, sia col bandoneón solo, ad opera di Nestor
Marconi.
Solanas utilizzerà ancora due brani di Piazzolla per El
viaje, uscito nel 1992. Nel frattempo, a maggio del 1991, aveva preso il
potere Carlos Menem e Solanas fu gambizzato con quattro pallottole da
“sconosciuti”, poco dopo aver criticato senza mezzi termini il nuovo presidente
e i suoi disegni liberisti e di privatizzazione. Disse: «Ha ragione Charly
García quando avverte che quel che sta avanzando è il nulla. Ma in questo paese
è un nulla terribile. Una cosa è un’inondazione, un’altra, molto peggiore, è
un’inondazione di merda. Proprio quel che succede il El viaje».
Si trasforma così il suo impegno politico che prende forma
anche nelle assemblee legislative, prima nella città di Buenos Aires, poi come
deputato nazionale. Il successivo La nube riprende là dove
si chiudeva El viaje con le acque che si abbassano mentre
emerge la normalizzazione di abitudini alienanti e autolesioniste. Queste
satire grottesche e l’attenzione per gli invisibili in Memorias del
saqueo (2003), La dignidad de los nadies, gli valsero
riconoscimenti a Montréal, Venezia, Valladolid e L’Avana, grazie a uno sguardo
che decostruisce la “modernità” cogliendone gli aspetti di inesorabile
detonatore dei conflitti sociali e ambientali, temi che lo videro assumere un
atteggiamento critico anche nei confronti del kirchnerismo.
A luglio del 2020 aveva accettato di buon grado il ruolo di
ambasciatore argentino presso l’Unesco. Ricorda Pablo Gentili: «Traspariva il
suo entusiasmo per i temi della scienza aperta, del rapporto dell’etica con
l’intelligenza artificiale. Immaginava progetti che ampliassero le frontiere di
quel che dovevamo realizzare. Partecipò anche ai nostri Diálogos
en la pandemia, e in particolare fu intervistato da Leandro Quiroga. Un
video che oggi acquista un imprescindibile valore di testimonianza di un Pino
che era una fabbrica di energia, di idee, di memoria, di futuro».
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