domenica 8 novembre 2020

Styx - Wolfgang Fischer

Rike si prende una pausa, nella vita piena di dolore e morte che affronta a Gibilterra.

prende la sua bella barca e si dirige verso un paradiso, ma...

l'incontro con un barcone di poveracci al largo delle Canarie mette a dura prova le sue certezze, e il rapporto con le autorità che dovrebbero salvare i naufraghi le fa capire che quelle non sono agenzie do salvataggio, ma solo di pompe funebri.

in mare uno vale uno, lei lo sa, ma solo lei.

Rike, novella Antigone, sola contro tutti, salverà solo un ragazzino.

un film da non perdere, racconta il mondo, che ai piani alti è davvero una brutta cosa.

buona visione - Ismaele


 

 

Fino a metà del film di Wolfgang Fischer non si capisce bene cosa voglia simboleggiare questo viaggio solitario in mare. Le immagini sono affascinanti e l’assenza di dialoghi aumenta le suggestioni di questa sfida alla natura incontaminata; ma un’avventura così estrema sembra essere destinata a celare qualcosa di più profondo. Ed infatti così è…

da qui

 

...Nella Commedia dantesca, nelle fangose acque dello Stige stanno, oltre ai peccatori d’ira, anche gli accidiosi. Lo Stige di Fischer assume anche un’altra sfumatura, che investe proprio l’incapacità (o la lucidissima negligenza) di agire: quella della protagonista, realmente capace di prestare soccorso ma impossibilitata dalle imposizioni di un’autorità preposta, la stessa autorità che, al contrario obbligata a intervenire, non si fa vedere, non appronta un recupero tempestivo dei dispersi in mare. Ancora un’opposizione: la scelta da operare in nome della responsabilità, tutta personale, di una donna sola in mezzo all’Oceano, cosciente della necessità impellente così come del rispetto dell’autorità; e, per quanto riguarda i soccorsi, il pericoloso discrimine, di cui nemmeno lo spettatore riesce a cogliere il contorno, fra lentezze burocratico-organizzative e programmatico diniego.

Perché si dia finalmente un corso agli eventi, scuotendo il fatale immobilismo, occorre alla fine accantonare almeno una virtù: attraversare finalmente le acque dello Stige per riaffermare la propria umanità individuale. Ma non senza conseguenze, e non senza avere l’impressione di essersi attardati troppo: sottratta al pericolo, Rike deve rispondere del suo agire davanti alla legge; sotto shock, fissa il mare, e sente accavallarsi alla radio numerose richieste di soccorso. Varcato lo Stige, giunta sulla sponda dell’Oltretomba, volta lo sguardo indietro, aspettandosi di ritrovare la vita: ma si accorge di non cogliere alcuna più alcuna distinzione fra una riva e l’altra.

da qui

 

E poi c’è l’acqua. Da che mondo è mondo, l’acqua è uno degli elementi maggiormente carichi di simbolismo, sia in ambito letterario che pittorico, che, ovviamente, cinematografico. Simbolo di nascita e – spesso – di rinascita, nel nostro caso – come lo stesso titolo, Styx, sta a suggerire – le acque in cui naviga la barca della protagonista, esattamente come il fiume Stige, sono teatro di morte (dovuta all’odio tra gli esseri umani e alle conseguenti guerre), ma anche, paradossalmente, di rinascita (una volta immersi nelle “acque dello Stige”, entrambi i protagonisti – Rike e il bambino – ne usciranno cambiati e ormai invulnerabili). Ed ecco che il tutto si fa importante allegoria della vita, della morte e, soprattutto, dell’umanità, parlando un linguaggio più che mai attuale, ma, allo stesso tempo, universale…

da qui

 

Lévinas scriveva che nell’epifania del volto altrui, nell’approssimarsi dell’«Io» all’altro, al volto «d’Altri» la cui realtà e vera natura non stanno nella contemplazione fisionomica, del dato, bensì altrove, si scopre che il mondo ci appartiene nella misura in cui lo si può condividere con l’altro.

E di qui l’«assoluto», e la pienezza di sé che si realizza nel volto inteso come alterità etica, necessità, quindi, non di un pensiero di ma pensiero per una non-indifferenza verso ciò o chi è altro, estraneo, indigente e «nudo»: giacché all’origine del pensiero lévisiano sta l’idea di un’etica fatta non soltanto di regole e prassi ma anche di un superamento di queste ultime, e di conseguenza, di attenzione a ogni realtà umana che si diversifichi. La riflessione del filosofo francese è un invito al senso di responsabilità che transita per ogni sequenza, inquadratura e immagine di Styx, reviviscenza lampante di una condizione odierna, di poveri vessati, umani alla mercé di chi non se ne fa carico ignorando quella «domanda che è al contempo una richiesta di aiuto e una minaccia»…

da qui

 

Un viaggio in solitaria per l'oceano si trasforma in un evento tragico, in cui la protagonista invece di trovare natura incontaminata, vede con i propri occhi la tragedia umana degli immigrati ed assistere impotente alla loro dipserazione, tra il dilemma di poter fare qualcosa e l'imposizione dell'autorità nel non intervenire, contravvenendo in fondo ad una legge non scritta, ma sacra, antica come il tempo, di aiutare esseri umani in difficoltà in mare aperto. Pervade quindi un senso di impotenza profondo che lo stile documentaristico riesce ad evidenziare. Magari tende ad essere schematico ma l'immagine di un dodici metri guidata da un'occidentale contrapposta alla bagnarola con centinaia di disperati, che nessuno aiuta, anche chi sarebbe preposto a farlo, non lascia indifferenti.

da qui

 

sarebbe d’altro canto riduttivo celebrare il film di Fischer solo per la presa di posizione politica nei confronti del fenomeno migratorio – per di più la tratta delle Canarie narrata in sceneggiatura è tornata a essere molto utilizzata dalle barche con a bordo i migranti a causa della penuria di navi di soccorso nel Mediterraneo in seguito alla truce battaglia condotta contro le ONG. Styx non è solo un film in grado di confrontarsi col reale per cercare di restituirne la tragica potenza sullo schermo. È anche un’opera che cerca di scrollarsi di dosso la polvere del Vecchio Continente per aprirsi al mare, allo spazio aperto. Anche Rike, come i disperati che le stanno morendo accanto – ne ha salvato uno, un ragazzino di nome Kingsley, che ha però la sorellina a bordo del peschereccio – è sperduta. Il suo mondo le è altrettanto ostile, la considera un pericolo perché in grado di agire, là dove l’immobilismo è l’unico movimento consentito. Con uno stile cinematografico che fa del montaggio il suo principale alleato, sfruttando in ogni modo le potenziale del contrasto tra l’aria aperta e gli angusti confini dell’abitacolo, Fischer orchestra un sognato viaggio verso il Paradiso Terrestre – Ascensione raccontata dalla stessa protagonista via radio come una sorta di esperimento di Darwin vivente – che si tramuta in risveglio nelle angosciose e limacciose acque dell’oggi. Negli Inferi. All’Europa, di fronte all’ennesimo massacro compiuto per volontà politica di non intervenire, non resta che guardarsi indietro per “celebrare gli anni gloriosi”, come recita una scritta sbiadita su un muricciolo di Gibilterra, la porta dell’Europa su cui si apre il film. Ma lì solo i macachi si muovono ancora. L’umano è finito. Perso in mezzo all’oceano della propria mostruosità.

da qui



Nessun commento:

Posta un commento