Rike si prende una pausa, nella vita piena di dolore e morte che affronta a Gibilterra.
prende la sua bella barca e si dirige verso un paradiso, ma...
l'incontro con un barcone di poveracci al largo delle Canarie mette a dura prova le sue certezze, e il rapporto con le autorità che dovrebbero salvare i naufraghi le fa capire che quelle non sono agenzie do salvataggio, ma solo di pompe funebri.
in mare uno vale uno, lei lo sa, ma solo lei.
Rike, novella Antigone, sola contro tutti, salverà solo un ragazzino.
un film da non perdere, racconta il mondo, che ai piani alti è davvero una brutta cosa.
buona visione - Ismaele
…Fino a metà del film di Wolfgang
Fischer non si capisce bene cosa voglia simboleggiare questo viaggio solitario
in mare. Le immagini sono affascinanti e l’assenza di dialoghi aumenta le
suggestioni di questa sfida alla natura incontaminata; ma un’avventura così
estrema sembra essere destinata a celare qualcosa di più profondo. Ed infatti
così è…
...Nella Commedia dantesca,
nelle fangose acque dello Stige stanno, oltre ai peccatori d’ira, anche gli
accidiosi. Lo Stige di Fischer assume anche un’altra
sfumatura, che investe proprio l’incapacità (o la
lucidissima negligenza) di agire:
quella della protagonista, realmente capace di prestare soccorso ma
impossibilitata dalle imposizioni di un’autorità preposta, la stessa autorità
che, al contrario obbligata a intervenire, non si fa vedere, non appronta un
recupero tempestivo dei dispersi in mare. Ancora un’opposizione: la scelta da
operare in nome della responsabilità, tutta personale, di una donna sola in
mezzo all’Oceano, cosciente della necessità impellente così come del rispetto
dell’autorità; e, per quanto riguarda i soccorsi, il pericoloso discrimine, di
cui nemmeno lo spettatore riesce a cogliere il contorno, fra lentezze
burocratico-organizzative e programmatico diniego.
Perché si dia finalmente un corso
agli eventi, scuotendo il fatale immobilismo, occorre alla fine accantonare
almeno una virtù: attraversare finalmente le acque dello Stige per riaffermare
la propria umanità individuale. Ma non senza conseguenze, e non senza avere
l’impressione di essersi attardati troppo: sottratta al pericolo, Rike deve
rispondere del suo agire davanti alla legge; sotto shock, fissa il mare, e
sente accavallarsi alla radio numerose richieste di soccorso. Varcato
lo Stige, giunta sulla sponda dell’Oltretomba, volta lo sguardo indietro,
aspettandosi di ritrovare la vita: ma si accorge di non cogliere alcuna più
alcuna distinzione fra una riva e l’altra.
…E poi c’è l’acqua. Da che mondo è
mondo, l’acqua è uno degli elementi maggiormente carichi di simbolismo, sia in
ambito letterario che pittorico, che, ovviamente, cinematografico. Simbolo di
nascita e – spesso – di rinascita, nel nostro caso – come lo stesso
titolo, Styx, sta a suggerire – le
acque in cui naviga la barca della protagonista, esattamente come il fiume
Stige, sono teatro di morte (dovuta all’odio tra gli esseri umani e alle
conseguenti guerre), ma anche, paradossalmente, di rinascita (una volta immersi
nelle “acque dello Stige”, entrambi i protagonisti – Rike e il bambino – ne
usciranno cambiati e ormai invulnerabili). Ed ecco che il tutto si fa
importante allegoria della vita, della morte e, soprattutto, dell’umanità,
parlando un linguaggio più che mai attuale, ma, allo stesso tempo, universale…
Lévinas scriveva che nell’epifania
del volto altrui, nell’approssimarsi dell’«Io» all’altro, al volto «d’Altri» la
cui realtà e vera natura non stanno nella contemplazione fisionomica, del dato,
bensì altrove, si scopre che il mondo ci appartiene nella misura in cui lo si
può condividere con l’altro.
E di qui l’«assoluto», e la
pienezza di sé che si realizza nel volto inteso come alterità etica, necessità,
quindi, non di un pensiero di ma pensiero per una
non-indifferenza verso ciò o chi è altro, estraneo, indigente e «nudo»: giacché
all’origine del pensiero lévisiano sta l’idea di un’etica fatta non soltanto di
regole e prassi ma anche di un superamento di queste ultime, e di conseguenza,
di attenzione a ogni realtà umana che si diversifichi. La riflessione del
filosofo francese è un invito al senso di responsabilità che transita per ogni
sequenza, inquadratura e immagine di Styx, reviviscenza lampante
di una condizione odierna, di poveri vessati, umani alla mercé di chi non se ne
fa carico ignorando quella «domanda che è al contempo una richiesta di aiuto e
una minaccia»…
Un viaggio in solitaria per l'oceano si
trasforma in un evento tragico, in cui la protagonista invece di trovare natura
incontaminata, vede con i propri occhi la tragedia umana degli immigrati ed
assistere impotente alla loro dipserazione, tra il dilemma di poter fare
qualcosa e l'imposizione dell'autorità nel non intervenire, contravvenendo in
fondo ad una legge non scritta, ma sacra, antica come il tempo, di aiutare esseri
umani in difficoltà in mare aperto. Pervade quindi un senso di impotenza
profondo che lo stile documentaristico riesce ad evidenziare. Magari tende ad
essere schematico ma l'immagine di un dodici metri guidata da un'occidentale
contrapposta alla bagnarola con centinaia di disperati, che nessuno aiuta,
anche chi sarebbe preposto a farlo, non lascia indifferenti.
…sarebbe d’altro canto
riduttivo celebrare il film di Fischer solo per la presa di posizione politica
nei confronti del fenomeno migratorio – per di più la tratta delle Canarie
narrata in sceneggiatura è tornata a essere molto utilizzata dalle barche con a
bordo i migranti a causa della penuria di navi di soccorso nel Mediterraneo in
seguito alla truce battaglia condotta contro le ONG. Styx non è solo un film
in grado di confrontarsi col reale per cercare di restituirne la tragica
potenza sullo schermo. È anche un’opera che cerca di scrollarsi di dosso la
polvere del Vecchio Continente per aprirsi al mare, allo spazio aperto. Anche
Rike, come i disperati che le stanno morendo accanto – ne ha salvato uno, un
ragazzino di nome Kingsley, che ha però la sorellina a bordo del peschereccio –
è sperduta. Il suo mondo
le è altrettanto ostile, la considera un pericolo perché in grado di agire, là
dove l’immobilismo è l’unico movimento consentito. Con uno stile
cinematografico che fa del montaggio il suo principale alleato, sfruttando in
ogni modo le potenziale del contrasto tra l’aria aperta e gli angusti confini
dell’abitacolo, Fischer orchestra un sognato viaggio verso il Paradiso
Terrestre – Ascensione raccontata dalla stessa protagonista via radio come una
sorta di esperimento di Darwin vivente – che si tramuta in risveglio nelle
angosciose e limacciose acque dell’oggi. Negli Inferi. All’Europa, di fronte
all’ennesimo massacro compiuto per volontà politica di non intervenire, non
resta che guardarsi indietro per “celebrare gli anni gloriosi”, come recita una
scritta sbiadita su un muricciolo di Gibilterra, la porta dell’Europa su cui si
apre il film. Ma lì solo i macachi si muovono ancora. L’umano è finito. Perso
in mezzo all’oceano della propria mostruosità.
Nessun commento:
Posta un commento