sabato 14 novembre 2020

Shelley - Ali Abbasi

primo lungometraggio di Ali Abbasi  (che due anni dopo girerà lo straordinario Border - creature-di-confine), ricorda un poco le atmosfere di Thelma (o il contrario, visto che il film norvegese è successivo).

inizia con l'arrivo di Elena nella casa in campagna, senza elettricità, che ha lasciato la Romania, e il figlio piccolo, per lavorare e riuscire a comprare una casa.

poi riceve una proposta che non si può rifiutare, e allora, piano piano, iniziamo a soffrire con e per Elena.

per sapere tutto bisogna vedere il film, cercatelo, non ve ne pentirete - Ismaele





è vero che il film è molto lento, è vero che soffre di una certa staticità, è vero che man mano che il film prosegue nonostante cerchi di rimanere nel mistero si renda sempre più telefonato...però porca misera direi il falso se dicessi che questo film non sia stato in grado di inquietarmi. Oltre ad una fotografia molto fredda che dà alla pellicola una sensazione quasi surreale, priva di vita. Le musiche angoscianti, un comparto sonoro in certi frangenti "graffiante", delle ottime interpretazioni in special modo delle due donne, Cosmina Stratan ed Ellin Dorrit Petersen...soprattutto grazie all'agonia che prova il personaggio di Elena..giuro che il film mi aveva acchiappato così tanto che soffrivo assieme a lei...insomma un pò tutto nell'insieme è veramente riuscito a soddisfare le mie esigenze…

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Abbasi relega il genere in uno spazio intangibile, tanto da considerarsi una riflessione aggiunta al rapporto tra le figure femminili, non realmente tracciabile nel reale. L’unico luogo rimane il sogno, interstizio allusivo dove collocare i codici del cinema horror. Il malessere di una maternità surrogata prende forma fisica nel reale per essere poi esportata negli incubi dalla multiforme rappresentazione, passando da premonizioni mortifere all’interessante momento da body horror nel finale.
"Shelley" naviga su rotte già tracciate, giocando con più generi senza entrare in nessuno totalmente. In questa indefinitezza ne guadagna la riflessione sui temi attraverso punti di vista differenziati, anche se le vie preferenziali codificanti rimangono horror e dramma famigliare, ma il discorso fatica a raggiungere un’ambiguità visiva e narrativa, come vorrebbe. Gli incubi possono essere letti come le incrinature covate e preesistenti nella triade descritta dalla storia di Abbasi. Proprio come in "Border" sono i luoghi, gli spazi e gli interstizi a descrivere la condizione esistenziale dei personaggi che alternano la vita di campagna agli anonimi crocevia della società al di là del lago-bosco. A “Shelley” bastano pochi dialoghi per dare corpo alle insicurezze affettive di Kasper come futuro padre, alle attenzioni ossessive di Louise come madre e alle paure di Elena somatizzate nel decadimento fisico…

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La natura è la protagonista indiscussa di questo ‘Shelley’ che potrà risultare un coacervo citazionistico, come hanno ben evidenziato altri recensori, ma che affascina per quel trip malato che si insinua lentamente progredendo in un crescendo fino alla manifestazione del male sotto così deboli (ma solo apparentemente) spoglie…

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…Cosa rende speciale questo horror che sulla carta non ha nulla (o quasi) di originale? Sicuramente l'atmosfera surreale e angosciante che fin dalla prima immagine il giovane regista ci propone. L'ambientazione che dovrebbe essere quella serafica scelta da Kaspar e Louise, allo spettatore appare come quella del famoso quadro “L'isola dei morti” di Arnold Boklin, c'è infatti sempre una contrapposizione tra quello che i protagonisti vivono e quello che allo spettatore appare, che crea quello squilibrio necessario a provocare un senso di fastidio sempre più crescente man mano che la storia prende corpo. Ed è il corpo il vero protagonista del film: il corpo di Elena che si trasforma e il corpo della bambina nel suo ventre che piano piano prende forma e anima.

Se solitamente nei film in cui vengono narrate gravidanze malefiche o malate, difficilmente si assiste al post nascita, in questo caso si fa una eccezione. Shelley (il nome della nascitura) non rimarrà un'entità priva di immagine, ma si rivelerà in tutta la sua perversione…

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…Una apuesta arriesgada e incómoda, no apta para espíritus sensibles, que transita paisajes ya conocidos por caminos no demasiado visitados, con la poco habitual virtud de no sucumbir ante las exigencias del cine más comercial, no temiendo al rechazo que puedan despertar la morosidad de su relato o lo escabroso de sus escenas más extremas…

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Un tema que da para reflexiones poderosas y que ha demostrado entregar ejercicios de estilo donde la fuerza radica casi siempre en la posible hipnosis ambiental, punto fuerte de Shelley, y en la opresión que ejerce el espacio. Más allá de eso, no todo funciona. Abassi utiliza algunos elementos clásicos del subgénero (desde ‘la institutriz’ que va a cuidar al invalido, al perro amenazante, la oscuridad del bosque o los crujidos constantes) pero no los articula de manera demasiado impactante y cuando lo hace, el público ya ha perdido la predisposición. En esos casos, sólo queda la dignidad de una actriz entregada y aquí es de agradecer la presencia Ellen Dorrit Petersen, interprete noruega que ya pasó en 2014 por Panorama presentando la magnífica Blind (2014), debut en la dirección de Eskil Vogt y donde se nos mostraba con un personaje muy hermoso y hermético, una cualidad de misterio que le otorga el poseer un rostro único y de una belleza casi etérea. Ella es el gran placer de Shelley.

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Cabría destacar  también una importante carga de los personajes, mucho más debida al propio ímpetu de los intérpretes (especialmente, y la película ofrece parte de su peso en ella, a la joven Cosmina Stratan) que a al propio producto (Abbasi pone su energía en la no fácil consecución del tono opresor), así como la relevante presencia de su entorno rural, muy propio de la fría cinematografía danesa; junto a la impasible narrativa se consigue una película ruda, distante en sus formas, que hace que el espectador obtenga un grado de compromiso extra para dejarse embaucar por la historia. Como apreciación relevante señalar que se logra obtener una buena conexión entre el drama y las dosis de fantastique (de las que se podría haber esperado una furia extra por parte del director), todo ello envuelto de un trasfondo milimetrado con mucho interés, aunque la inexperiencia del director acabe por prescindir de una visceralidad aquí necesaria debido a los derroteros que su película le va exigiendo.

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