chissà l'effetto che ha fatto ai suoi tempi un film così diverso dagli altri film che si vedevano in giro.
un po' teatrale, un po' ripetitivo, abbastanza cattivo da scandalizzare il tedesco che viveva alle spalle degli immigrati, milioni e milioni negli anni '60.
la storia è quella di alcuni giovani un po' vitelloni, tristi, ubriaconi, che trattano le ragazze come fossero oggetti da scopare, e nulla più.
appare Jorgos (interpretato da Fassbinder), un immigrato greco, di poche tedesche parole, scambiato per un italiano dai giovani tedeschi.
solo Marie lo considera, e quei tedeschi annoiati, sempre alla ricerca di soldi, si risvegliano dal torpore perché in Jorgos hanno trovato un nemico.
ma come si fa a raccontare un film così?
guardatevelo, non ve ne pentirete - Ismaele
QUI
il film completo, con sottotitoli in italiano
Inizio di stile documentaristico, quasi
godardiano, forse esagerato, che proietta lo spettatore nel vuoto che questi
giovani tedeschi vivono tutti i giorni. Giovani senza speranze e senza
ambizioni che non fanno altro che pensare a perdere il loro tempo dietro a
donne di facili costumi. Questa routine viene interrotta da un elemento estraneo
al loro ambiente, uno straniero che sembra diverso da loro e che pagherá per il
fatto di essersi intromesso nella loro esistenza vacua.
Uno dei primi film di Fassbinder, in cui si
produce anche in veste di attore, che tratta in modo poco velato del tema della
xenofobia che ancora attanaglia la Germania del tempo. Ma non solo. Si parla
anche di invidia, di pettegolezzi che infangano, di gioventú bruciata.
Epiche quelle passeggiate con sottofondo di
piano.
…Cibo, soldi , sesso , chiacchiere svuotate di senso,
un vegetare più che vivere in attesa degli eventi.
Però quando questo particolare (dis)ordine
precostituito viene "alterato" dalla presenza di un immigrato greco
che vuole solo lavorare per mandare i soldi a casa, questa gioventù(per modo di
dire, sono tutti trentenni o giù di lì) ariana si ricompatta dietro lo
scudo della xenofobia arrivando a pestare il giovane greco all'apice di un
crescendo di pettegolezzi e falsità dette sul suo conto.
Girato in un bianco e nero molto contrastato e
con una fotografia molto nitida è un film a cui è difficile avvicinarsi per la
particolare struttura(evidente l'influenza godardiana) ma una volta entrati
nella lunghezza d'onda di questa generazione piegata e disillusa , Il fabbricante di
gattini lascia intravedere il talento accecante di
Fassbinder in una disamina generazionale in cui prevalgono amarezza e accenti
grotteschi.
da qui
…Ogni personaggio, in Il fabbricante di gattini, è
chiuso con i suoi pensieri, isolato da un contesto invero vuoto e privo di
significato, fatto di un arredamento sobrio e quasi assente su sfondi sempre
bianchi chiari come in accecanti oblii. E l'arrivo dello straniero,
interpretato proprio da Fassbinder, colora per un attimo le vite dei personaggi
facendo focalizzare l'attenzione su di sé senza alcuna intenzione né interesse,
facendo, in fondo, fare tutto a loro e alle dicerie svolazzanti che amano
provocare e si deformano in bugie inclassificabili. Cosicché la vita, divenuta
successione di inutili e "letali" riflessioni, si appiattisce in
quadri di duro sarcasmo e abbacinante minimalismo, in cui è proprio il mantenimento
dell'immobilità della mdp a dare paradossalmente "movimento" a uno
stile apparentemente sobrio ma scoppiettante, straniante, sperimentale nel
momento in cui gioca con i silenzi, tramortisce con le onnipresenti voci e
avvolge nelle inestricabili intersezioni della figurale cecità umana.
Katzelmacher è un’espressione bavarese spregiativa con cui
venivano chiamati i lavoratori immigrati dell’Europa meridionale. L’appellativo
allude alla loro presunta intensa prolificità, mentre l’etimologia corretta
indica il “fabbricante di cazze“, artigiano proveniente per lo
più dalla Val Gardena, specializzato nella produzione di mestoli (Gatzeln) in
legno e in rame. Un’ulteriore etimologia deriva dallo svizzero-tedesco e
individua specificatamente i lavoratori italiani (soprattutto del Sud) molto
presenti dalla fine degli anni ’50 alla fine degli anni ’70 in tutta la
Svizzera interna, con contratti stagionali. L’accezione è riferita appunto
all’attitudine ad avere molti figli (Katzenmacher significa,
infatti, “fabbrica gatti“).
Cominciare dal titolo, per parlare del
secondo lungometraggio di Rainer Werner Fassbinder (il primo era L’amore è più freddo della morte,
1969), Katzelmacher (Il fabbricante di gattini), è utile per comprendere
quanto disprezzo già serbava a ridosso degli anni ’70 la piccola borghesia
della Germania Federale nei confronti dell’altro, di chi
veniva percepito come non appartenente al proprio ordine di simbolico di
riferimento. Nel film di Fassbinder il Katzelmacher (da
lui stesso interpretato) viene appellato con termini assai dispregiativi, quali,
per esempio, “negro” e “comunista”; fin dalla sua prima apparizione è visto
come un elemento di disturbo, un pericolo che dev’essere estirpato, che non si
esita a calunniare, pur di ridurlo a sacrificabile capro espiatorio…
…Con Katzelmacher Fassbinder
inaugurava una nuova modalità di fare cinema, contrassegnata dalla possibilità
di produrre opere a bassissimo costo e con grande velocità di esecuzione, a
dimostrazione di come a fronte di un’idea di cinema (e
non un cinema di idee) fosse possibile sganciarsi dai
circuiti convenzionali, raggiungendo comunque risultati egregi. Un film,
l’opera seconda del regista tedesco, da vedere e rivedere, su cui non smettere
di tornare a meditare.
Un'arguta critica alla società xenofoba, questo
il secondo film di Fassbinder, forse troppo godardiano e ridondante in certi
punti, ma riuscitissimo.
Ritratti curati e particolareggiati di trentenni
nullafacenti tedeschi alla fine degli anni '60. La mancanza di ogni valore,
interesse, aspirazione concreta, sensibilità, trova sfogo attraverso lo stigma
per un immigrato greco (Fassbinder, eccezionale nel ruolo), in un crescendo di
pettegolezzi e luoghi comuni beceri e insensati, uniti tra loro da sequenze a
volte davvero geniali, perchè combinate in modo da dare un'idea di
moltiplicazione e aumento dell'intensità, fino alla parte finale che ovviamente
non svelo.
Scenografie volutamente asettiche, scevre di
qualunque elemento di calore e conforto.
Grottesco e amaro, vale davvero la visione anche
se ammetto che lo stile quasi documentaristico può risultare un pò indigesto
soprattutto nella prima parte.
…Scopertissimo apologo antifascista, Il fabbricante di gattini, nella sua apparente
banalità, nella sua rivendicazione di uno stile asciugato sino alla
decolorazione di ambienti, anime e psicologie, è opera totalmente
fassbinderiana, abitata da un’ironia ed una disperazione che, a volte,
diventano indistinguibili. La telecamera inquadra i personaggi nella loro
fissità e quasi li inchioda ad una vita che, infestata da elementi e manufatti
interiori di bassa lega, si constata pervasa da noia e pochezza assolute. Il
tocco di Fassbinder sta nell’ingenerare un senso di pietas verso le meschinità e le piccole
corruzioni, nel lambire le disperazioni con un tocco di umorismo nerissimo e
surreale (le voci che si rincorrono incontrollate e perlopiù false sulle
caratteristiche del greco, le passeggiate delle varie coppie nel quartiere, a
mostrare ed ostentare un impettimento che è semplice ansia di riconoscibilità
sociale), nel lasciare che parlino, più che le immagini, dialoghi di pochezza
programmatica in grado di rendere palpabile il disagio esistenziale di una
società tedesca alla deriva.
…le cinéaste refuse tout drame ou tragédie et la
bastonnade qui devait être l’acmé du film n’en est qu’un épisode sordide qui ne
résout rien. Si la fin engage des projets (partir en Grèce, s’engager dans
l’armée), on a des doutes sur leur réalisation tant leur quotidien poisseux les
englue. Vision pessimiste, certes, aride, certes, qui fait par moments penser à
une vision d’un enfer sans religion, sartrien si l’on veut. On pourra aussi y
voir ce qui deviendra un leitmotiv dans la suite de sa carrière, la
condamnation d’une société de petits bourgeois qui, comme le disait Flaubert,
« pensent bassement », mais sans émotion ni grand discours. À sa
manière lente et minimaliste, cette œuvre tout en retenue peut néanmoins
toucher, bien qu’étouffante et singulièrement aride. Elle rend compte aussi à
la fois d’un début d’un grand cinéaste et d’une certaine conception moderne du
cinéma, exigeante mais passionnante.
…It should be noted that Fassbinder had
to rely on state funding to make his films, and he can certainly be challenged
for biting the hand that feeds him. The filmmaker’s attitude is that he’s an
outsider and that even though outsiders are needed to bring new life to the stagnant
German culture, they are never welcome. In order for Fassbinder to achieve
success in this milieu, he aped the Hollywood director by organizing his own
production base and made it function like the American studio system. As in
most of his early films, Fassbinder fills the screen with despair and his
subject matter themes always seem to be about the exploitation of feelings.
Here, he does this in a highly stylized and artistic manner by examining the
dynamics among couples from both “without” and “within” themselves. This film
was the winner of the German Film Awards as outstanding feature film.
As in all Fassbinder films, there are
slogans spoken by the characters or flashed across the screen. This film opens
with the crawl: “It’s better to make new mistakes then to perpetuate old ones.”
A bunch of aimless youths hang out in their neighborhood street and interact
with each other in such a disarmingly comfortable way as only intimates can.
The men act bored, macho and abusive toward the women; the women unhappily
yearn for love and walk together arm in arm conveying a false sense of
solidarity while talking harshly about the others and their own delusional
aspirations…
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