Si sta trasformando il
dibattito su un tema maledettamente serio come il razzismo nella solita farsa.
Per una volta, però, non siamo solo noi italiani a sfidare il senso del
ridicolo, visto che una catena di supermercati svizzera ha deciso di ritirare i
mitici Moretti solo perché si chiamano così. Ai Moretti Tommaso Labranca dedicò
un suo Collateral nel 2011, urgente e formidabile oggi più di ieri.
C’è un confine tra Lombardia e Canton Ticino che è più inutile di ogni
altro confine perché viene a interrompere politicamente una unità geografica e
culturale che ha per nome Insubria. Chi ha avuto in sorte di vivere presso quel
confine negli anni 70 avrà tra le sue madeleine spirituali le
visite fatte in Svizzera con il papà che doveva fare il pieno, attratto dal
costo inferiore del carburante. Come già sapete, benché oggi la trasferta non
convenga più, ci torno per evitare di sponsorizzare pulciosi registini. Ma
anche per rivivere quei momenti infantili che mi entusiasmavano e che ritrovo
intatti. La Svizzera è un grande Paese, benché molti italiani l’avversino senza
in realtà conoscerlo. La sua natura montanara unita all’isolamento volontario
hanno fatto sì che la Confederazione affronti sempre con una certa diffidenza
il mutamento. Si sono create così bolle extratemporali in cui pare non esservi
stata alcuna trasformazione negli ultimi quarant’anni. I Piccadilly, per
esempio. Se in Italia i distributori di benzina sono accompagnati dagli
Autogrill (luoghi meravigliosi in cui si raccoglie il superfluo più
irrinunciabile), da Chiasso in poi le pompe di carburante si stagliano contro
lo sfondo dei rutilanti Piccadilly Market. Si tratta di negozi in cui vengono
venduti prevalentemente cioccolato in ogni possibile formato e gusto, sigarette
(persino aromatizzate al cognac) e liofilizzati della Maggi introvabili da noi.
Questi tre prodotti creano un aroma penetrante e indimenticabile, quel parfum
de Piccadilly che già all’ingresso del negozio ti fa tornare a quando
il papà, felice di aver risparmiato sul pieno, era disposto a comperarti i
moretti. Nel 1998 la Svizzera permise la libera vendita della canapa non a
scopi stupefacenti. Anche dietro pressioni italiane, la legge fu però
modificata nel 2003. I micidiali moretti sono invece ancora venduti
liberamente. Io impazzisco per i moretti perché sono la negazione del
cioccolato radical chic, quello fomentato da certi film, quello venduto in
certe antipatiche cioccolaterie dove tutto è bio, equo solidale, cacao al 99
per cento. I moretti sono invece la massima espressione dell’artificio
alimentare e del politicamente scorretto: prendono il nome dalla faccina
di bimbo nero che appare al centro della stagnola gialla, rossa, blu o
verde in cui sono avvolti. Il colore diverso della stagnola non è segno di
gusti differenti dei moretti. È solo un vezzo collezionistico. Ma in questa
fase alla stagnola si fa poca attenzione. La si toglie rapidamente ed ecco
spuntare la deliziosa cupola di cioccolato. Uso questo termine per convenzione,
visto che non ho ancora capito di cosa si tratti in realtà. È una sostanza di
particolare resistenza tanto che quando d’estate i moretti venivano nascosti in
torridi bagagliai insieme a oggettistica di piccolo contrabbando, non si
scioglieva mai, al massimo si raggrinziva. Il neofita del moretto si riconosce
dal morso che sferra alla cupola. Errore! Il moretto si gusta al meglio
applicando il metodo Hannibal. Con una lieve pressione del dito lo si preme al
vertice, si rimuovono con delicatezza le prime schegge di cioccolato e si
scopre così il contenuto della scatola cranica. La fragile parete di cioccolato
dei moretti contiene una massa candida. Forse è panna, in realtà è qualcosa a
metà tra la manna che nutrì gli Ebrei nel deserto e le sostanze aliene.
Qualunque cosa sia, va prelevata con il dito indice che poi si porterà
golosamente alla bocca. I bocconi migliori sono quelli in cui alla (diciamo)
panna si mescolano le schegge del (diciamo) cioccolato. Quando non sarà rimasto
più un solo fiocco bianco, si passerà a divorare le pareti di cioccolato. Ma
l’esperienza non è finita qui perché c’è ancora da gustare il compatto fondo
biscottato di questa delizia per la gola e per l’anima. Il neofita dei moretti
si riconosce perché butta via il biscotto. Ma quella è gentaglia magari
abituata anche a buttare i coni dei gelati. A questo punto si prende la
stagnola, la si stende con molta cura e la si conserva, dividendola in base al
colore. Serviranno a testimoniare quanti moretti si sono mangiati, quasi
fossero tacche su una colt. P.S.: se avete letto pazientemente tutto questo
Collateral credendo di trovare una recensione all’ultimo film di Nanni Moretti,
mi spiace di avervi deluso. In fondo di Moretti con la maiuscola si parla così
tanto in questi giorni che vi meritavate una pausa. Con merenda.
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