il film è girato fra l'Uzbekistan, la Polonia, e l'Egitto.
dev'essere costato molto, con tante comparse e tanti luoghi diversi.
se uno non lo sapesse penserebbe a un kolossal di Hollywood, o di Cinecittà, per fortuna è molto meglio.
ci sono gli intrighi di potere e la lotta fra il potere politico e quello religioso (diciamo così), che è anche potere economico.
una lotta senza quartiere è la regola, e il popolo e i soldati sono nelle mani dei più forti e dei peggiori (se esistono i migliori).
così era il mondo a quei tempi, ci dimostra mirabilmente Jerzy Kawalerowicz, adesso siamo ancora in quei tempi (pensando di non esserlo più).
gran film, un gioiellino da non perdere - Ismaele
QUI il film completo, con sottotitoli in spagnolo
Kolossal polacco anni Sessanta che fa le scarpe a tanti
prodotti consimili di provenienza hollywoodiana, per non parlare dei nostri
sandaloni. Le ragioni di questa riuscita superiore alla media sono da
ricercarsi nella maestria di un regista abbastanza sottovalutato dalle nostre
parti, nonché di un discorso che non si limita all'avventura pura e semplice né
al banale raccontino degli intrighi del potere. "Il faraone" di
Kawalerowicz, adottando un'ottica abbastanza pessimista, parla di tematiche attualissime
anche oggi, come la difficoltà, evidentemente sempiterna, di affermare la
laicità dello stato (tematica preannunciata fin dalla magistrale sequenza
iniziale della lotta tra gli scarabei), il contrasto tra moralità e ragion di
stato, tra l'amore e i doveri del sovrano. Con i colori abbacinanti del deserto
ed una libertà espressiva che non ci si immaginerebbe in un film polacco
dell'epoca, un grande maestro come Kawalerowicz ci trasporta in un'epoca
apparentemente lontanissima, nella quale si vivono i drammi di sempre, e nel
finale ci mostra persino un ingannevole "miracolo egiziano".
…Heir to the pharaoh Ramsès XIII (Zelnik)
matches wits against the priests when his dad kicks the bucket and he
impulsively upsets tradition by taking command of the military–a duty
previously always occupied by the priests. Ramsès detests the priests because
they have robbed him of his wealth (they are secretly hoarding gold as a tribute
to the gods) and he considers them devious and unreliable subjects. His
antagonism leads to a battle of survival between those loyal to him and those
siding with the priests.
Adding to the melodrama Ramsès takes a
Jewess, the musically gifted Sarah (Mikolajewska), as a mistress, who bears him
a son. Political intrigue comes by way of the Phoenicians and the mistress Kama
(Brylska). She is sent to Ramsès to replace the Jewess as his team plots to get
him to go to war with Assyria, which his priests are against. The main body of
this work is about the power struggle between Rameses and his temple priests.
The romance story fizzles from lack of attention, as filmmaker Kawalerowicz
chugs along with his dull political struggles, epic battle scenes and musical interludes
of Egyptian tunes sung in Polish. He characterizes one character named Hiram as
a malevolent Jew, and precedes to stereotype him in an obviously bias way from
a hooked nose to other degrading features about his character traits which call
attention to him being one of those Jewish types. It’s beyond me how this film
was ever considered for an Oscar as a Best Foreign-Language Film nominee back
in the 1960s.
…The
film makes a great effort at recreating a primal ancient civilization, complete
with the geography, climate, social stratification, politics, religion and
warfare, paying attention to detail in the scenes of embalming and funerals,
the court protocol, the waking and feeding of the gods, the religious beliefs,
ceremonies and processions.
At the Cannes Film Festival, the director Kawalerowicz stated that given that
they had not found in all Egyptian iconography handled, no image that allowed them
to think that the kiss had been a form of erotic play, it did not appear
throughout the film.
The actors themselves adopt on many moments hieratic postures as seen in
Egyptian paintings.
We only see two buildings (the palace and the temple) that reflect the two
centers of power highlighted in the story. There are no roads, no houses, only
the desert and the sun with its continued ubiquity presenting the country's
dominant landscape view.
The destruction of a ditch, recommended by the priests to avoid crossing the
place where two beetles were fighting, gives the first hint of the important
role of religion and priests.
A slave sees destroyed that ditch whose construction he had worked for 10 years
and, after that, powerless, he commits suicide. He is the only worker in the
film that it is mentioned his legal status, this could spread the common
believe that slavery was the dominant form of work, when at that time (late 2nd
millennium) other forms of dependency were predominant.
…Immaginate un colossal hollywoodiano senza gli
ingredienti di un colossal hollywoodiano. Qui sono assenti storie d’amore,
ambienti lussuosi, attori miliardari che gigioneggiano, musiche roboanti, cenni
storici approssimativi, lieto fine d’obbligo, colori ipersaturi, dialoghi
scontati e retorici, trame esili (cfr “Sinuhe l’egiziano” (Michael
Curtiz,1954), “La regina delle piramidi”(Howard Hawks,1955), “I dieci
comandamenti” (Cecil B.De Mille,1956) e tanti altri).
Qui la trama
è tutt’altro che esile, anzi, a volte, è decisamente complessa, qui si ragiona
di affari di stato, qui riecheggia il problema della separazione fra politica e
religione, qui si parla di casse statali vuote e di minacce di invasione, qui
ci si muove fra gli edifici degli antichi egizi (tranne qualche ricostruzione
in studio laddove la presenza dei turisti ostacolava le riprese). Questo è il
film del grande maestro polacco Jerzy Kawalerowicz, che nel 1967
qualche critica astiosa tacciava di opera lenta, pesante e noiosa.
La
ricostruzione ambientale, i costumi, le armi, i movimento degli eserciti,
persino i riti imposti dal sommo sacerdote per propiziare qualunque impresa
(all’inizio il cammino dell’esercito viene deviato per non calpestare uno scarabeo
sacro) sono filologicamente perfetti. Tre anni di lavorazione fra Egitto,
Uzbekistan e Polonia, migliaia di comparse.
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