mercoledì 11 novembre 2020

Kladivo na carodejnice (Witchhammer) - Otakar Vávra

un film sconvolgente e bellissimo, con una fotografia da premio Oscar.

racconta di un caso di caccia alle streghe in Boemia, così di attualità che (ri)apparve in sala solo dopo la caduta del Muro, nel 1989, i censori pensavano che il regista alludesse ai processi e alle torture stalinisti e sovietici.

si capisce che la caccia alle streghe era una persecuzione misogina, ma non solo, un'espropriazione di ricchezze, torture e violenze, inganni e sadismo, coraggio, poco, ma grandissimo, e vigliaccheria senza fine.

questo era allora l'Europa, oggi molto meno, ma nel mondo questa caccia è sempre in salute.

è un film da vedere e far vedere, anche se non c'è niente da ridere, si sta male davvero, ma è un (grandissimo) film necessario.

non perdetevelo, se amate il cinema - Ismaele


ps: il film è stato tradotto vergognosamente in italiano come Una vergine per l'inquisitore (forse sperando che arrivassero in sala gli amanti del soft porn italiano, che all'inizio degli anni '70 trainava gli incassi del cinema italiano)

 

QUI il film completo, con sottotitoli in inglese




  

Dietro lo sciocco titolo italiano si cela un'opera di notevole pregio formale; e non solo. Vávra allude al suo presente (il regime) e va al di là della consunta analisi sulla religione come sopraffazione riconducendo la lotta alla stregoneria alle radici più meschine: l'avidità di potere e danaro (i beni dei condannati venivano confiscati); l'inquisitore è, infatti, uomo di bassi appetiti, abile solo all'inganno e a sfruttare la complicità dei pavidi. Bravo Romancik; eccellente Smeral che conferisce al personaggio la necessaria trivialità.

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La messa in scena è carica e ampollosa e ben si lega alla verbosità dei dialoghi, quasi a voler enfatizzare l’opulenza dei carnefici rispetto a quei corpi trasandati e martoriati delle vittime. “Witchhammer” riesce così nel suo intento, quello di straziare lo spettatore riducendolo all’impotenza. Perché la storia non si può cambiare, tantomeno il passato, ma è possibile trarre l’ennesima conclusione sulla miseria umana che contraddistingue la nostra specie, in qualsiasi epoca e a qualsiasi livello. Lo stesso regista ha infatti raccontato che questi episodi non erano così diversi da quanto visto con i suoi occhi durante le retate comuniste nel corso degli anni cinquanta. Alla luce di questa connotazione politica, il film all’epoca fu bandito a Praga ma riuscì a essere proiettato in alcune cittadine circostanti. Oggi è considerato, a ragione, un caposaldo del cinema cecoslovacco.

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XVII secolo: approfittando della paranoica caccia alle streghe, inquisitore di provincia è chiamato in un villaggio, dove spargerà veleno e persecuzione. Padre della new wave ceca (alla sua scuola studiò anche Forman), Vavra gira una potente (e perfidamente ironica) metafora antiregime, dove è facile leggere in trasparenza il j'accuse contro connivenze, ignoranza e pruderie su cui prolifera ogni intolleranza. Meravigliosamente fotografato, con Smeral formidabile nella parte d'un misero borghesuccio che, Malles maleficarum in mano, s'innalza a giudice supremo.

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...Like the great František Vláčil in his masterpieces Marketa Lazarova and Valley of the Bees (both 1967), Vávra connects the Church with the Stalinist line of Communism as two forms of oppressive dogma under different names.

Witchhammer, as aesthetically stunning as it is, is hard to watch without feeling anger and despair. Apart from occasional ‘transcendent’ flashes in the middle of torture, as if briefly the heavens are opening up for these wretched sufferers, God or any divinity is conspicuously absent, there is no succour nor karmic justice. How can a man like Lautner keep faith? Yet it must be admitted that the film’s pessimist outlook is not unjustified, and warrants respectful admiration in its uncompromising nature — no prizes for guessing that it was promptly banned by the Communists after being made. As much as it is about a specific event in 17th century Moravia and an allegory of 1950s Stalinist oppression in Czechoslovakia, Vávra has created a universally binding portrait of how power is captured and consolidated. Power at any cost. It takes a perverse soul to want such power, and yet our world will always necessarily have gaps through which such souls can rise and seize it. It does not take too fanciful an imaginative leap to see how timelessly relevant this remains today.

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…“A woman’s womb is the gateway to Hell,” whispers a rabidly fanatical monk at the beginning of Otakar Vávra’s Witchhammer (Kladivo na čarodějnice), while we cut away to watch a group of women bathing nude.

It’s a provocative opening and, although Vávra had the Communist show trials of the 1950s in mind while making the film, it sets out its stall early: the problem is the patriarchy, and sexual repression goes hand-in-hand with political repression, a theme that is as depressingly relevant fifty years later. Or 300-odd years on from the events of the film. Same as it ever was.

The film takes its title from the Malleus Maleficarum, a weighty 15th-century tome that details at length the procedures deemed necessary for dealing with witchcraft, including the methods of torture that were legally permissible for extracting confessions from the accused…

Set in 1670s Moravia, a tiny indiscretion sets into motion a chain of events that will have a devastating effect on a community. An old woman visits a church and “steals” a Communion wafer for a neighbour whose sickly cow isn’t milking. The priest is a total hard-on about it and jumps to the conclusion that witchcraft is involved, reporting the incident to the local noblewoman who owns the land. She, in turn, calls in an inquisitional judge to get to the bottom of the matter.

Enter Boblig von Edelstadt (Vladimír Šmeral), a formerly retired inquisitor who seizes the opportunity to take control of the trials and line his pockets once again, at the expense of the noblewoman funding the witchhunt and dozens of innocent lives. With the Malleus Maleficarum as his inspiration and henchmen all too willing to carry out his orders, Boblig succeeds in extorting confessions and further accusations out of his victims. He’s the Czech equivalent of England’s self-appointed Witchfinder General, Matthew Hopkins, another man who made a lucrative business exploiting the fears of the superstitious and the gullible…

da qui 

 


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