«L’Italia è ricca di una miriade di piccole sale cinematografiche che
svolgono in modo indipendente e coraggioso, a volte faticoso ma remunerato
dall’apprezzamento del pubblico, il loro servizio al territorio.
Nella crisi che sta colpendo in modo grave l’intero settore cinematografico
queste sale chiedono che sia ascoltata la loro voce.
Quello che sta accadendo in questi primi mesi del 2020 nel mondo è una
crisi a cui nessuno era preparato. In pochi giorni ci siamo trovati chiusi
in casa, limitati delle nostre libertà, con i nostri lavori messi in stand-by e
con l’angoscia di non sapere quando e come torneremo alla normalità. Questo
vale per ogni settore, ma in particolar modo per quei settori che vengono
percepiti come non strettamente “necessari”. Come il cinema, il teatro, la
musica dal vivo, tutti settori che prevedono la temuta socialità.
Noi esercenti e lavoratori che da decenni manteniamo aperte e funzionanti le
nostre sale vogliamo utilizzare questa sospensione non solo per mettere
a fuoco il futuro del nostro lavoro in relazione alla questione della pandemia, ma
anche per fare di questa fase un momento di riflessione
sull’importanza della sala e progettare insieme un futuro del cinema plurale,
sostenibile, equo.
Siamo disponibili ad adattarci e a collaborare alle decisioni che
verranno adottate a tutela della salute di tutti, che siano compatibili con
il nostro lavoro, sostenibili per le nostre strutture e comunicate evitando
inutili atteggiamenti allarmistici, che creano una surreale
percezione della sala come luogo più insicuro di altri.
Non vediamo l’ora di poterci confrontare con indicazioni chiare, efficaci,
operative e assumerci le nostre responsabilità così come lo faranno molti altri
esercenti in altri campi. Chiediamo che si tenga conto, nel redigere nuove
regole di socialità comune, dell’estrema varietà delle strutture
architettoniche e delle tante modalità organizzative e societarie, per fare in
modo di trovare linee guida comuni che non vadano a creare
discriminazioni, verificando l’effettiva sostenibilità delle normative
tese a tutelare la salute pubblica.
I media che in questi giorni pubblicano ragionamenti su cosa sia il cinema e su
quale possa essere il futuro prossimo e il futuro tout court delle sale e del
sistema cinematografico in generale, non sempre chiedono l’opinione a tutti i
soggetti coinvolti e interessati: ne esce un’informazione parziale e
sbilanciata sui grandi numeri e sui grandi gruppi. C’è invece necessità di una
riflessione più condivisa e maggiormente approfondita, che tenga conto delle
nostre realtà diffuse capillarmente su tutto il territorio nazionale.
Il cinema spesso è l’unico avamposto culturale di una comunità
e il più facilmente fruibile, trasversale a tutte le età e le fasce sociali, un
luogo dove le emozioni vengono amplificate dalla visione condivisa.
Nessun altro posto, reale o virtuale che sia, dovrebbe essere chiamato
“Cinema”. Senza una sala buia, senza l’energia di una visione collettiva, senza
l’immersività e senza la qualità di proiezione che solo una sala
cinematografica garantisce, l’esperienza si riduce a vedere un film,
magari in compagnia, magari su uno schermo grande, ma senza tutti gli elementi
insieme: diventa un surrogato della sala cinematografica.
Ci sembra importante che tutte le proposte e i provvedimenti tesi a traghettare
il settore verso un futuro di vera ripresa tengano conto dell’importanza della
sala e in particolare di quella miriade di sale di quartiere e di
paese, in particolare quelle indipendenti, che hanno un ruolo chiave nella
pluralità e varietà della proposta e nel legame col territorio, svolgendo un
prezioso lavoro culturale e sociale, ma che più di altri soggetti sono esposte
a dei seri rischi rispetto alla possibilità di riaprire e di farlo in
modo sostenibile.
In questo sistema fatto di equilibri complessi e delicati, sentiamo che è il
momento di ribadire e proporre un rafforzamento di alcune
elementari regole del mercato e buone pratiche della cultura.
Un film destinato al cinema rimane al cinema. Non è comprensibile che ci
siano centinaia di film che a un certo punto vengono eliminati dalla
disponibilità delle sale. Che rimangono visibili in televisione, online, a casa
ma non più in sala. Chiediamo che il cosiddetto “diritto theatrical” sia
protetto permettendo così ai cinema di poter programmare anche film più vecchi
all’interno di omaggi, retrospettive, cineforum. Chiediamo che i film prodotti
per le piattaforme streaming o la televisione che sono stati distribuiti
anche nei cinema rimangano proiettabili in sala nel tempo.
Tutti i contenuti che passano dalla sala cinematografica acquisiscono grazie a
questo un valore e una visibilità a cui i cinema contribuiscono, e che sono in
grado di replicare e valorizzare anche oltre il lancio iniziale. Nell’attuale
modello tutto ciò che è sfruttamento successivo del film è, appunto,
sfruttamento successivo, reso possibile dal passaggio in sala.
Sarebbe auspicabile inoltre rendere accessibile, previo accordo con gli aventi
diritti, anche una parte di film e altri contenuti prodotti specificatamente
per i servizi VOD alla fruizione in sala , in una reciprocità che mette a
disposizione del pubblico i contenuti in modalità condivisa e non solo
individuale.
Il comparto delle sale cinematografiche deve garantire una sufficiente pluralità
di offerta e di sguardi.
Le nostre strutture riescono a offrire al pubblico una varietà di visioni solo
con grandi difficoltà. Non solo per la mancanza di film, dei relativi supporti
alla proiezione e dei diritti, ma anche a causa di un persistente conflitto di
interessi all’interno della filiera distributiva-esercizio che privilegia
sfruttamenti intensivi e rapidi che non tengono conto della possibilità di una
curatela personalizzata dei cinema indipendenti.
Rivendichiamo infine – last but not least – un mutamento di rotta rispetto al
passato, chiedendo di liberare finalmente le potenzialità di una fetta
di mercato che risente di condizioni inique incancrenitesi negli anni:
minimi garantiti, teniture fuori scala, esclusive illimitate dei film in prima
visione riservate a poche sale e senza limiti di data, quote di noleggio
elevate, impossibilità di fare la multiprogrammazione (se non con i film dei
distributori indipendenti), impossibilità – tanto per citare come esempio
concreto il caso più diffuso, antico e clamoroso, e doloroso per tante monosale
e piccole sale italiane – del “doppio programma” (spesso è precluso il
proiettare al sabato e alla domenica film di prima visione o di proseguimento –
se non dopo molte settimane – per bambini al pomeriggio e quello per gli adulti
alla sera).
Ogni territorio e ogni cinema ha le sue specificità e deve poter compiere le
sue scelte in coerenza con la natura del contesto in cui si inserisce. Le
scelte di programmazione, sia in vista del servizio sociale e culturale sia in
vista dell’ottimizzazione dei profitti, dovrebbero partire da chi conosce il
territorio e il contesto, concordando sì strategie con i distributori, ma
senza dover sottostare a limiti contrari alla diffusione capillare della
cultura cinematografica.
Tra la realizzazione di un film e il suo risultato al box-office c’è tutto un
sistema di promozione e coinvolgimento degli spettatori in cui le sale, con il
loro lavoro curatoriale, di selezione, di comunicazione verso il
proprio pubblico di riferimento, sono fondamentali e spesso capaci di creare
sul territorio dei veri e propri casi di partecipazione.
I servizi di queste sale, che sono riconosciute e premiate dal pubblico
attraverso una partecipazione e una stima tangibili, si compongono
quotidianamente di mille forme di arricchimento e approfondimento che creano
cultura condivisa: la sala è anche il dibattito, l’esperto che racconta e
integra, il critico che approfondisce, il regista che spiega, il cast che
racconta, il curatore che propone una rassegna, l’appuntamento settimanale con
la cultura, l’intelligenza, il pensiero critico. Ma, soprattutto, la sala è il
suo pubblico. Pubblico che condivide emozioni, dubbi, pensieri, insieme.
Per questo chiediamo con forza che si inizi a ragionare da subito sul
‘dopo’ in maniera trasparente e condivisa, senza dimenticare la voce e il ruolo
delle sale indipendenti, ma anche degli autori, dei produttori e dei
distributori indipendenti che hanno contribuito negli
ultimi anni alla ricchezza, varietà e profondità culturale del panorama
cinematografico. Si tratta di categorie che costituiscono la
vitalità e il futuro di un comparto che svolge un ruolo tutt’altro che
marginale nella vita culturale italiana, usufruendo peraltro in modo
inversamente proporzionale dei finanziamenti per lo spettacolo, che
premiano le società più grandi e con ricavi commerciali già di per sé elevati.
Non considerare oggi tutto questo è poco lungimirante: ci sarà un
‘dopo’, e ci sarà fame di cinema. Fame di cultura condivisa, di presenza
fisica e di scambio reale, di riunirsi e ritrovarsi senza paura, assecondando
un bisogno insito nella natura dell’essere umano. Ed è alla fine di quella
strada che unisce l’oggi al ‘dopo’ che ci saremo, auspicabilmente pronti e
messi nelle condizioni di ricominciare a vendere sogni, che è la cosa che ci
riesce meglio».
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