martedì 8 settembre 2020

Molecole - Andrea Segre

due film in uno, Venezia come è stata durante il Covid-19 e come era tanti anni fa e il rapporto di Andrea Segre con il padre Ulderico. 

Andrea Segre riesce a girare un film quasi privato, e ci mostra come non è facile Venezia, e neanche il rapporto padri figli.

è un documentario che diventa film, trovando le parole (alcune, almeno) che andavano dette, al momento giusto, che però non sai mai quando, e dopo è tardi.

il film merita, promesso.

buona visione di questo piccolo film, in uno dei pochi cinema aperti e dei pochi posti disponibili.


 

 

 

La pandemia infatti quasi non viene nominata, bastano le immagini. Di una Venezia per la prima volta svuotata dai turisti, spettrale più di ogni altra città vuota, ma allo stesso tempo magnifica e gloriosa nella sua solitudine surreale.Molecole è un film intimo, raccolto, privato, in cui la biografia del regista si intreccia con la storia della città e del mondo intero. Il filo narrativo è una lettera scritta da Segre al padre prima che morisse, in cui gli pone delle domande cadute nel silenzio, destinate a restare nel fondale dei suoi ricordi. È un film acquatico Molecole, che prende il titolo dal mestiere del genitore, uno scienziato, che per tutta la vita ha studiato i radicali liberi, molecole prodotte dal metabolismo dell’ossigeno, dunque dal respiro, i cui elettroni sono spaiati, liberi…

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a tutti coloro i quali temevano che il Covid potesse dare la stura a progetti uguali a sé stessi, MOLECOLE non è uguale a niente se non al suo autore: Segre infatti non permette quasi mai che il tema prenda il sopravvento, e ricostruisce il suo film declinandolo secondo le sue ossessioni, il suo stile, il suo vissuto, girando un piccolo gioiello pieno di suggestioni che una volta sedimentato prende il contorno di un viaggio nella memoria (personale e storica) che sovrappone e a volte confonde i lineamenti del padre con lo skyline della città, uniti nel mistero, conoscibili forse solo attraverso foto, vecchie clip, testimonianze, lettere, in un continuo cortocircuito tra presente e passato, tra pubblico e privato, senza mai rinunciare ad una confessione privatissima, una messa a nudo sincera e sinceramente carica di emozione.

E mai come in questa occasione, la frase che apre il film (di Alberto Camus, citato anche) è sorprendentemente vicina al senso, al cuore e all’emotività del film: “Dal fondo del mio avvenire / durante tutta questa vita assurda che avevo vissuto / un soffio oscuro risaliva verso di me / Attraverso annate che non erano ancora venute

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Questa Venezia attraversata insieme ad un gruppo di personaggi avvicinati per il documentario sembra appartenere ad un passato mitologico senza carovane di visitatori né grandi navi, e insieme ad un futuro post-scomparsa dell’umanità, fatto di luoghi-fantasma o nascosti sott’acqua o abbandonati, come le vetrine fotografate dall’autore.
Segre raddoppia puntualmente queste suggestioni con un viaggio nella memoria del rapporto con il padre defunto, nativo di Venezia, una figura rimasta sempre nel mistero per il cineasta, che cerca adesso di conoscere attraverso fotografie, lettere, continui rimandi tra il repertorio girato dal genitore e le vedute del presente.
Si percepisce il tono intimo, sincero e spesso carico di emozione di questa messa a nudo privatissima: purtroppo i due livelli non sempre riescono a coesistere nella maniera intrecciata che Segre va ricercando (anche con una serie di raddoppi fin troppo marcati, o un po’ forzati come le riflessioni scaturite dagli studi di chimica e fisica del padre). E infatti la voce narrante/pensante dell’autore interviene su ogni situazione (memore forse del lavoro postumo fatto con il diario di Glawogger per dare una forma finale a 
Untitled, distribuito proprio dalla ZaLab di Segre), da un lato offrendo la propria importante stratificazione soggettiva all’andamento del film, dall’altro però fissando ogni immagine al di là di tutte le altre suggestioni libere e possibili in questo flusso apertamente indeciso di memoria e profezia.

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Con il padre Ulderico soprattutto, di cui Segre riostruisce pezzi di vita attraverso il ricordo, lettere inviate e scarni messaggi ricevuti, e fillmati super8 girati dal padre e scoperti solo dopo la sua morte. Una reazione genitore-figlio più di silenzi che di parole, di pudori. È la parte migliore del film e non si capisce perché il regista non si sia concentrao su quel personale lessico di fcasa. Invece Molecole aggiunge, accumula. Gli incontri con pecatori e chi ha memoria della laguna com’era, prima delle ripetute acque alte. Poi il cambio di rotta, con il film che si metamorfizza e si fa, oltre che racconto personale, resoconto della città insieme messa in ginocchio dal lockdown e dal lockdown restituita a sé stessa, finalmente. Sono elementi di reale diversi che raggiungono un loro complicato equilibrio raramente, quando Segre ripropone in immagini e parole il mito – il cliché? – di Venezia città di spettri, sospesa tra la vita e l’oltrevita, paesaggio di mosteri gotici. Allora anche i fantasmi di famiglia rievocati si saldano in un intreccio. Ma la maggior parte del film si dissocia in una miriade di frammenti che vagano come corpuscoli nello spazio schermico senza mai incontrarsi. Molecole autoreferenziali, blindate in sé stesse. Un ottimo score di Teho Teardo aggiunge suggestioni e sospensioni. Purtroppo la voce fuori campo dello stesso Andrea Segre è soverchiante, di un lirismo non sempre tenuto a freno. Si pensa, per come si riallacciano memorie, per come si interroga il passato e si cerca di rtarne un senso, a all’uso del voice over in Marguerite Duras (Hiroshima mon amourIndia Song), in Resnais-Robbe Grillet (L’anno scorso a Marienbad). Purtroppo si resta lontani da quei peraltro inarrivabili modelli…

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Molecole traccia il percorso di un figlio – e dei veneziani – come un elettroni solitari alla ricerca di una comprensione del destino.

La scienza diventa uno strumento per decifrare l’assurdo della vita, per trovare regole al caos, per provare a capire il destino attraverso molecole in grado di sconvolgere il mondo.
La lettera finale, una conversazione immaginaria tra Andrea e Ulderico, è un soffio commovente che arriva diritto al cuore.
Molecole è un film incredibilmente semplice e ancora più incredibilmente emozionante nella sua capacità di scatenare vari gradi di sensazioni, dalla commozione al dolore, dallo stupore alla tragedia fino a quella speranza da afferrare.

Come racconta Gigi, il pescatore “C’è qualcosa di materialmente sacro nel pescare da soli: bisogna affidarsi a ciò che non si può prevedere e saper riconoscere segni così piccoli che spesso scompaiono prima che si possa notarli”.

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