mercoledì 16 settembre 2020

Elisa y Marcela - Isabel Coixet

una storia di un secolo fa, quando esisteva un unico tipo di coppia, meno che mai di due donne.

film un po' a tesi, quasi un documentario,per certi tratti, quindi.

la battuta più bella del film e di quel funzionario portoghese che fa fuggire le donne, per fare un dispetto agli ingombranti vicini spagnoli.

film più stroncato che esaltato, con tutte le cautele del caso meglio vederlo, poi ognuno decide il proprio giudizio - Ismaele


 

 

 

è fin da subito evidente che il legittimo intento politico del film - sottolineato dal cartello finale - è anche il più grande limite di questo melodramma sentimentale in cui, per quasi due ore, non c'è traccia di un solo contrasto "interno" che turbi la relazione fra le protagoniste.
Un melodramma senza melodramma, insomma: l'amore tra Elisa e Marcela ci viene raccontato da Coixet senza alcuna sfumatura, solido, persistente, potenzialmente eterno. Un sentimento che non viene mai messo in crisi, né tantomeno discusso, nonostante le difficoltà crescenti cui le donne - omosessuali nella Spagna cattolica dei primi del Novecento - devono far fronte.

L'arco della storia d'amore fra Elisa e Marcela, più che un arco, è una linea retta che procede noiosamente all'infinito: innamorate da subito, fuggite rapidamente al controllo della famiglia (Marcela) e della scuola (Elisa), le due convivono, si sposano, si travestono, e nemmeno il carcere riesce a mettere pur debolmente in crisi il loro legame. Un idillio del cuore ma anche dei corpi, consumato nelle scene più efficaci del film: quelle in cui l'energia sessuale delle giovani esplode in amplessi giocosi e creativi, tra un accenno al bondage e animali usati in modo improprio, con l'occhio della regista spudoratamente vicino al centro del piacere.
Svincolate dall'obiettivo militante e dall'aderenza storica, le scene di sesso in Elisa y Marcela sono la parte più viva e autentica di un film il cui motore narrativo è uno stanco "uno contro tutti", al servizio di una tesi manichea in cui il mondo rurale spagnolo - incapace di accettare quella relazione "altra" - è il polo negativo.
Un mondo raccontato, anche in questo caso, con l'approssimazione di una fiaba per bambini: il taglialegna violento, la contadina impicciona, i popolani che assediano la casa delle amanti con pietre e forconi (sic). Muovendosi sopra le righe di una storia vera, già di per sé straordinaria, Coixet eccede in tutto: si lascia travolgere dal contenuto ed esagera nella forma, sciogliendo la raffinatezza del bianco e nero in un pasticcio di dissolvenze, trovate e affettati cliché visivi.

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Ogni cosa in questo film vuole ricordarci che la nostra società, dopo un secolo, non è cambiata. La gente deve fingere di essere altro da ciò che è per essere accettata. La sovrapposizione di piani è sottile, quasi velata, fino alla denuncia finale. Non tutto il film vuole essere emblema di una filosofia, o racconto della discriminazione del diverso. L’opera descrive una storia d’amore, in modo molto rispettoso. Chiunque sia consapevole che questa tematica possa toccare delle corde che urtino la propria sensibilità, fuori da ogni giudizio morale, sappia che la visione non è obbligatoria…

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anche se Elisa y Marcela è dello stesso impasto di troppi prodotti Netflix, il film della Coitex non è esente da altri problemi. Ci troviamo davanti a scelte che risultano effettivamente incomprensibili, come virare alcune immagini verso uno scadente effetto pellicola per poi tornare un secondo dopo alla grana del digitale. Ma la vera questione è un’altra. Per parafrasare Greta Fernández (Marcela nel film) “Grazie a Netflix la storia  delle due donne potrà essere conosciuta da tutti.”  Ma è davvero importante solo  il fatto che sia conosciuta da tutti? Non conta anche come attraverso il cinema questa storia viene mostrata? Il problema centrale di questo racconto di lotta è che non avvertiamo, neanche per un secondo, l’ardore della lotta. Non ci dimeniamo scomodi di fronte all’ingiustizia; nelle immagini della Coixet manca la stupidità dell’ oppressione e lo spirito battagliero di una donna che nel 1901, decide di vestirsi da uomo per sposare la sua amata. Non ci bastano dati didattici e sconvolgenti esibiti a chiusura del film, prima dei titoli di coda. Elisa y Marcela ci sembra comunque solo una storia qualunque.

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In troppi paesi, ci avverte il cartello finale, il matrimonio fra persone dello stesso sesso è illegale e l'omosessualità è punita con la pena di morte: può essere nobile l’intento di Coixet di raccontare la storia vera di Elisa, che sotto mentite spoglie maschili sposò l’amata Marcela nel 1901, ma ignobile è la messa in scena. Il film originale Netflix si rivela una fiera del cattivo gusto, con inaccettabili vezzi stilistici che fanno il verso al muto (dissolvenze a iride, effetto “sgranato” che va e viene arbitrariamente), leziose nature morte in un bianco e nero che pare la parodia di Roma e scene di sesso patinatissime ma per nulla erotiche, con un immaginario che sta tra Dolce & Gabbana e 50 sfumature di grigio (guest star un incolpevole polipo). Il vero scult del festival, rende un pessimo servizio alla giusta causa di cui si fa portavoce.

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Una storia questa di Elisa e Marcela che ci ricorda il potere dimenticato del desiderio. Desiderare è il primo atto di amore, è la prima consumazione del piacere che però possiamo ripetere nella nostra testa all’infinito. Dal punto estremo del desiderio Marcela, la più giovane, si getta senza sapere esattamente perché, segue il flusso, apre le braccia credendole ali. Il desiderio è una sorta di terreno sicuro, un giardino incantato ma recintato. Possiamo far entrare chi amiamo e dettare noi le regole, nel desiderio siamo noi i signori del castello, noi gli stessi carcerati. Il desiderio però può anche consumare fino a sfinirci, può esaurire il resto, il terreno oltre il perimetro può seccarsi. Ma Elisa e Marcela si gettano insieme, le ali prendono fuoco, almeno lo fanno insieme. Tentano un atto di volontà, ci riescono.

Votare la vita all’amore – a un amore considerato malato e mostruoso all’epoca, e siamo solo cento anni fa – è un atto di desiderio che si spinge fino alla volontà, porta quindi il sacrificio. Se volete ricordarvi cosa significhi tentare un amore completo allora guardate questo film, non c’è volontà senza prima desiderio, non c’è passione senza amore. Tutto è incastrato nella stessa forma, tutto richiede un estremo dolore. Elisa e Marcela ci ricordano che non si può volere tutto di un amore se non si è pronti a togliersi tutto, a spogliarsi persino della libertà. La loro storia ci insegna che amare significa espropriarsi della propria identità se c’è un bene da difendere, da preservare. Essere agnelli e carnefici, stare sull’altare del sacrificio, non sapere fino all’ultimo chi sarà dalla parte del coltello, chi del collo offerto…

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La química que surge entre las dos mujeres queda opacada por diálogos chatos con poca inspiración, sin detenerse en hitos de la historia de amor que hubiese valido la pena destacar. La velocidad con la que surge el romance es completamente inverosímil, quedando como el inicio de una película soft porn, en la que van directo a los actos carnales. Pese al ritmo, la narrativa es tediosa, sobre todo en la segunda mitad de la película.

La intención parece buena, pero en la realidad se vuelve demasiado simple. Pretende ser una reivindicación a la elección libre del amor entre esas 2 mujeres y, con tanto material de la historia real, podría haber sido una película más profunda y apasionada. Pasa muy superficialmente por temas como la intimidad de las chicas o la incomprensión de la sociedad.

A pesar de ser tan superficial, teniendo un mensaje tan fuerte para trasmitir, se agradecen siempre películas como ésta que defienden los derechos y libertades de las minorías.

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La directora lleva demostrando ya hace un tiempo, sobre todo en "La librería" y en "Elisa y Marcela" que defiende con uñas y dientes a sus actores y les da todo el protagonismo que se merecen, tanto Natalia de Molina como Greta Fernández forman un vinculo muy especial, la química que se forma entre ellas es espectacular y que decir del grupo de actores secundarios que arropan a la pareja protagonista.
La cinta esta dirigida con una exquisita delicadeza y con un blanco y negro que te envuelve, te atrapa y ta hace participe de toda la historia. La puesta en escena y la fotografía también son estupendas . Pero sobre todo es una película reivindicativa y que transmite el mensaje de que cada persona es libre de enamorarse de quien le de la gana.

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El contexto en el que se cuenta esta historia es lo que peor cuidado está de toda la película. Estamos en Galicia, en 1901 y poco escuchamos el acento gallego. Pero no solo eso, sino que ellas tampoco disimulan demasiado. Me ha parecido que Coixet ha tratado el tema de manera demasiado actual, sí que hay dos escenas en las que se puede ver como son marginadas o incluso atacadas, pero aun así no las veo preocupadas de ser vistas, no me ha parecido nada real para la época en la que andaban. Si que se nos muestran las consecuencias finales, pero sinceramente tardan en llegar.

Visualmente es donde más gana la cinta, la fotografía es de marco y Jennifer Cox merece un gran reconocimiento por ella. Creo que hay pocas imágenes de la película que no sean bellas, aunque como he mencionado antes, muchos planos no dicen demasiado.

Poco más que deciros, recomendaros buscar información acerca de estas dos mujeres y empaparos con sus vidas. Merece la pena.

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…A ben guardare, la ragazza travestita da ragazzo non è assolutamente credibile, e non avrebbe certo ingannato nessuno, mentre invece è verosimile la vera Elisa, come si evince dalla foto d’epoca. Giocare un film sull’ambiguità e la finzione sessuale, sul modello di Boys Don’t Cry, sulla donna che si finge uomo e sulla suspense della sua possibile scoperta, richiede una assoluta verosimiglianza, cosa molto difficile da raggiungere. E infine una contraddizione di fondo. Fare di questa storia una storia esemplare per le conquiste dei diritti civili LGTB ha poco senso. La storia certo è straordinaria e andava raccontata. Ma non di ribellione si è trattato, semmai di una simulazione truffaldina per poter vivere felici assecondando, non contestando, l’opprimente morale bigotta cattolica. Né il film cerca di spiegare un’altra domanda irrisolta: perché scegliere la rischiosa strada del matrimonio simulando un sesso diverso e non ripiegare su altre forme di convivenza magari con altre simulazioni? Più che un pamphlet per i matrimoni tra persone dello stesso sesso, Elisa y Marcela è un esercizio di stile dell’ego cinematografico della regista.

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