nasce come documentario sui pericoli dell'abuso di alcool, ma in mano ad Augusto Tretti diventa un ibrido, a metà fra il documentario e il film di finzione.
un film semplice, ingenuo, forse, ma con lo stile di Tretti.
merita, vedere per credere - Ismaele
…Primo film prodotto unicamente da un ente
regionale, l’Amministrazione Provinciale di Milano, che nel 1980 era capeggiata
da una donna democratica di sinistra; film questo nato con uno scopo didattico
che si poneva contro le insidie celate dal consumo di alcool in Italia.
Impensabile che un regista come Tretti, che era lontano dai set da otto anni,
non volesse aggiungere parte della sua caustica invettiva all’interno di una
produzione locale, statalizzata, più simile alle Pubblicità
Progresso come fine che non alla libera iniziativa artistica del suo autore.
All’interno di una cornice intellettuale, per certi versi atemporale, quasi
divinamente oggettiva, composta da quattro dottori che discutono sulle
pericolosità dell’uso, prima, e dell’abuso, dopo l’assuefazione derivante da un
uso "ricreativo" e compensatore della solitudine societaria nella
quale è introdotto l’individuo - senza distinzioni di sesso, razza, classe o
religione – Tretti racconta uno spaccato trasversale che non risparmia nessuna
microstruttura societaria, nessuno ne esce incolume dall’uso, legalizzato
statalmente, dall’alcool. A maggior ragione se messo in comparazione con altri
tipi di droghe, leggere o pesanti, che venivano – e tuttora vengono – proibite.
Nel fuoricampo delle storie che vengono raccontate sembra sempre presente un
tacito accordo tra ciò che è lecito e ciò che non è lecito, con lo Stato come
giudice unico a soppesarne i benefici o malefici di entrambi i piatti. E’ la
società contemporanea – parliamo del 1980 ma il discorso lo si può
tranquillamente estendere fino a i giorni nostri, immaginiamo un lavoro simile
sul gioco d’azzardo legalizzato – che crea disagio e solitudini, palati da
circuire con le réclame e sete da dissetare con dell’alcool. «Nell’Italia
del Nord i ricoverati in ospedali psichiatrici per causa dell’alcol sfiorano il
50 per cento. Eppure, si continua a parlare di droga e ad ignorare quasi
l’alcolismo che è la droga più diffusa e letale. […] L’alcolismo è un fenomeno
terribile, che non appare nelle statistiche nella sua reale dimensione, e le
sue vittime appartengono tutte, tranne qualche eccezione, alle classi
subalterne; è gente che non è legittimata a superare nulla, che dalla vita non
ha soddisfazioni e che dal futuro non può aspettarsi un’esistenza che lo
riscatti. In questo senso il mio è un film politico, perché informa, senza
ricorrere a una qualsiasi ideologia che ridurrebbe il problema, che anche
questa piaga sta nel conto del rapporto di forza fra chi ha il potere e chi non
l’ha, fra chi usa lo droga e chi, invece, ne viene usato».1
Le finalità educative ed informative si traducono in Tretti in politica. Una politica però ben lontana, come ammissione delle stesso regista, dall’ideologia. Da qualsivoglia ideologia, né di destra, né di sinistra tantoméno centrista. Una ideologia che sminuirebbe il fenomeno, che sposterebbe l’ago dell’inchiesta e della statistica verso fini precostituiti e non verso dati oggettivi. Ma nonostante questo, Alcool rifugge lo stile algido del film-d’inchiesta, rifugge anche la réclame, e la brevità di forte impatto della Pubblicità Progresso. Alcool è un film trettiano in tutto e per tutto. Se non per l’epifania dell’idea originale almeno lo è per il fine e per il metodo. Uno sguardo sulfureo, grottescamente schietto, inflessibile e libero, mai taciuto per onesta volontà del suo autore, casomai perennemente tacciato ed allontanato. Un anarchico per sua stessa ammissione, «le sue bombe scoppiano con un enorme rispetto della vita umana, ma non a vuoto», come lo definiva Flaiano che in un articolo sintetizzava il suo dono con queste parole: «Il dono di Tretti è una semplicità che non si copia, presupponendo la superba innocenza dell’eremita». Affinché di Tretti se ne parli, lo si conosca, e nella speranza che qualcuno abbia, ancora, la libertà di ascoltarlo.
1 Augusto Tretti, Corriere d’informazione, 22 Marzo 1980 – Fonte tratta da Rapporto Confidenziale.
Le finalità educative ed informative si traducono in Tretti in politica. Una politica però ben lontana, come ammissione delle stesso regista, dall’ideologia. Da qualsivoglia ideologia, né di destra, né di sinistra tantoméno centrista. Una ideologia che sminuirebbe il fenomeno, che sposterebbe l’ago dell’inchiesta e della statistica verso fini precostituiti e non verso dati oggettivi. Ma nonostante questo, Alcool rifugge lo stile algido del film-d’inchiesta, rifugge anche la réclame, e la brevità di forte impatto della Pubblicità Progresso. Alcool è un film trettiano in tutto e per tutto. Se non per l’epifania dell’idea originale almeno lo è per il fine e per il metodo. Uno sguardo sulfureo, grottescamente schietto, inflessibile e libero, mai taciuto per onesta volontà del suo autore, casomai perennemente tacciato ed allontanato. Un anarchico per sua stessa ammissione, «le sue bombe scoppiano con un enorme rispetto della vita umana, ma non a vuoto», come lo definiva Flaiano che in un articolo sintetizzava il suo dono con queste parole: «Il dono di Tretti è una semplicità che non si copia, presupponendo la superba innocenza dell’eremita». Affinché di Tretti se ne parli, lo si conosca, e nella speranza che qualcuno abbia, ancora, la libertà di ascoltarlo.
1 Augusto Tretti, Corriere d’informazione, 22 Marzo 1980 – Fonte tratta da Rapporto Confidenziale.
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