i due registi parlano con le persone, le conoscono, e dopo avviene la magia della foto, e della stampa gigante.
potrebbe essere il film più bello dell'anno, chissà, non sapete niente, non potete immaginare, sapete solo che è un documentario, ma è un documentario con tanto cinema dentro.
è un gioiellino prezioso, non perdetevelo - Ismaele
QUI
una bella intervista con Agnès Varda
…Visages
villages– questo gioco di parole puramente godardiano – infatti mette
in scena prima di tutto la curiosa amicizia tra l’anziana Varda e il giovane JR
(è lui che ha cercato lei e che ha voluto incontrarla), e lo fa con grande
ironia: JR prende spesso affettuosamente in giro la Varda, e lei – nel suo
ruolo di saggia vecchia/bambina – lo lascia fare.
I due si confrontano costantemente su come procedere nel film, su dove andare a viaggiare, su quali luoghi, volti e foto ragionare, costruendo così un discorso meta-cinematografico allo stesso tempo stratificato e semplice, immediato e ‘abissale’. Una mise en abyme che viene citata dalla stessa Varda, per un discorso concettuale che per l’appunto non si nasconde in simbolismi oscuri ma si palesa nella sua auto-evidenza. E infatti il disvelamento della piena consapevolezza del discorso lo si ha in un momento che è anche il più commovente del film: la Varda insiste per mettere la foto di un suo amico scomparso sulla parete di una vecchia rovina nazista della Seconda Guerra Mondiale, fatta cadere da un promontorio e conficcatasi sulla spiaggia, come un meteorite, un ricordo incancellabile e ‘scomposto’ di un passato doloroso; è lì che chiede che venga fatta questa operazione di mise en abyme (la foto, risalente a cinquant’anni prima dell’amico, tra altre rovine), ed è lì che, amaramente, deve constatare come, soltanto il giorno dopo, l’opera sia sparita, cancellata dalla forza oscura del mare. Le immagini durano per poco, ci dicono Varda/JR, ma durano comunque sempre più dei corpi e della loro caducità. E se poi le immagini muoiono, è il cinema a restare…
I due si confrontano costantemente su come procedere nel film, su dove andare a viaggiare, su quali luoghi, volti e foto ragionare, costruendo così un discorso meta-cinematografico allo stesso tempo stratificato e semplice, immediato e ‘abissale’. Una mise en abyme che viene citata dalla stessa Varda, per un discorso concettuale che per l’appunto non si nasconde in simbolismi oscuri ma si palesa nella sua auto-evidenza. E infatti il disvelamento della piena consapevolezza del discorso lo si ha in un momento che è anche il più commovente del film: la Varda insiste per mettere la foto di un suo amico scomparso sulla parete di una vecchia rovina nazista della Seconda Guerra Mondiale, fatta cadere da un promontorio e conficcatasi sulla spiaggia, come un meteorite, un ricordo incancellabile e ‘scomposto’ di un passato doloroso; è lì che chiede che venga fatta questa operazione di mise en abyme (la foto, risalente a cinquant’anni prima dell’amico, tra altre rovine), ed è lì che, amaramente, deve constatare come, soltanto il giorno dopo, l’opera sia sparita, cancellata dalla forza oscura del mare. Le immagini durano per poco, ci dicono Varda/JR, ma durano comunque sempre più dei corpi e della loro caducità. E se poi le immagini muoiono, è il cinema a restare…
…Visages
Villages, titolo giustamente non tradotto in italiano perché
intraducibile, pena perderne l’assonanza e il gioco di parole – mentre in
inglese si è trovata la soddisfacente soluzione di Faces Places -, si è
alleata con il fotografo-artista JR, e il risultato è di una grazia, di un
incanto diffcilmente rintracciabili nel cinema di oggi. Varda conferma il suo
occhio nel riprendere-catturare persone, cose, paesaggi. Nel restituire la vita
nel suo farsi. E però, anche, che forza e determinazione: dal film, che è un
viaggio nella Francia chiamiamola minore, dai villaggi dal Sud al Nord
dell’Exagone, emerge un’indomabile Varda decisa a esplorare il paese delle
industrie e delle miniere dismesse, dei cantieri sopravvissuti alla concorrenza
globale, dei contadini legati alla francesità profonda. Eccola con JR, un
giovane uomo tra i trenta e i quaranta che godardianamente non si toglie mai
gli occhiali scuri, battere le strade di Francia sul furgone (o camper?) di lui
decorato come una grande macchina fotografica. Et pour cause, poiché JR si
ferma come gli ambulanti o i nomadi o gli imbonitori o i giocolieri di un tempo
nelle strade, nelle piazze, bivacca, fa salire sul suo furgono abitanti e
passanti, li fotografa, sviluppa e stampa i ritratti in gigantografie in bianco
e nero…
…Visages Villages è puro cinema
che sperimenta e si interroga, che va oltre se stesso mescolando documentarismo
a tracce di fictionalizzazione e narratività, e all’arte. E che questo sia
opera (anche) di una quasi novantenne lascia stupefatti per freschezza di
sguardo e curiosità…
…Le interazioni fra i
due sono i momenti più spassosi di questo piccolo grande progetto. La
vincitrice del Leone d'Oro (per "Senza tetto né legge" del 1985) e il
Banksy francese costituiscono una coppia inattesa assolutamente spassosa. Lei
con i capelli bicolore, lui con occhiali da sole e cappello cui non rinuncia
mai; si prendono in giro, si provocano, ma si capisce che c'è una grandissima
sintonia fra di loro. Sintonia che probabilmente viene anche dall'essere stati
degli outsider nei rispettivi ambienti: lei unica donna in un gruppo di
cineasti rivoluzionari ma dalle personalità fortissime, lui street artist che è
arrivato a imporsi sulla scena non solo d'oltralpe. La Varda e JR appaiono come
figure bonarie e sensibili ma si capisce bene che non sono degli sprovveduti…
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