Aloys - Tobias Nölle

un giovanotto triste, che ha come modello il padre, detective e mai un sorriso.
anche Aloys vive la vita da dietro una macchina fotografica o una videocamera, da lontano, senza troppi coinvolgimenti e seccature.
dopo la morte del padre la sua solitudine diventa immensa e insostenibile.
poi arriva una telefonata e da quel momento in poi la vita di Aloys, con difficoltà, comincia a prendere colore.
un amore telefonato avrà un futuro, uno si chiede.
la visione del film vi darà qualche risposta, se lo guardate, non posso farvi il riassunto.
nonostante si rida pochissimo Aloys è un film che merita - Ismaele

…Ci sono dei validi momenti perché Aloys è un film di finzione confezionato molto bene in cui il regista e tutto il team produttivo, dal comparto fotografico a quello sonoro, sfoggiano una professionalità che non fa di certo pensare ad un esordio, sul fronte sceneggiaturiale è forse opinabile il succo della vicenda che non può fregiarsi di una significazione innovativa, di autori che hanno tentato di riavvicinare il cuore degli uomini soli ce ne sono così tanti che il tema è ormai inflazionato, come sempre però a soccorso del coraggioso di turno ecco che i metodi utilizzati nella trattazione dell’argomento riescono amitigare il tasso d’abuso, ed è esattamente grazie all’estro impiegato da Nölle che qualcuno potrà ricordare maggiormente la portata estetica rispetto a quella semantica, e quei buoni momenti sopraccitati si riconducono all’intrigante idea di strutturare il rapporto tra Aloys e Vera via telefono e di dare forma per immagini all’idealizzazzione sentimentale tra un uomo e una donna che si amano senza conoscersi. La progressione di un legame alquanto strambo su cui aleggia sempre il fantasma della malinconia (il papà) ha una discreta forza ostensiva che per mezzo di lacerazioni narrative, ribaltamenti spaziali ed evocazioni mentali trasporta il tutto ad un crescendo conclusivo che si guarda con partecipazione, ed anche se per sentirci leggeri e inarrivabili dobbiamo affrontare ben altro cinema, Aloys e il suo mondo uggioso recapitano con stile una morale allo spettatore: solo quel lucore, quel barlume, quello scintillio situato nell’altro può farci sentire davvero vivi.

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Aloys è solo. La morte del padre, suo unico punto di riferimento, ha peggiorato la sua situazione inducendolo a chiudersi in se stesso e escludere qualsiasi relazione con il mondo esterno. L’unico tipo di interazione che continua a mantenere è con i clienti della sua agenzia di investigazioni private, che però non incontra mai personalmente.

Aloys per lavoro spia la gente. Osserva gli altri in disparte attraverso l’occhio di una videocamera che gli permette di entrare nelle loro vite senza essere né visto né sentito. Ma le sue giornate infelici e prive di emozioni sono destinate ad essere sconvolte dall’ingresso di una donna, anzi, della voce di una donna; una voce suadente che lo aiuta a varcare il confine della solitudine creando una dimensione irreale.  La loro è infatti una relazione telefonica nata inizialmente come un perfido gioco messo a punto dalla donna, ma poi trasformatosi in un legame forte in cui tutti i loro incontri sono costruiti attraverso l’immaginazione e in cui gli appuntamenti e i contatti fisici non sono reali. Quella voce che lo ha guidato fuori dall’emarginazione potrebbe quindi condurlo ancora più lontano dal mondo circostante…

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Aloys Adorn, interpretato da George Friedrich, è un detective che vive e lavora con suo padre e con il quale ha un rapporto molto stretto e intimo. Improvvisamente la routine professionale comincia a permeare la sua vita privata, a tal punto che l’uomo si ritrova a filmare 24 ore su 24 persone con le quali non intrattiene alcun tipo di rapporto personale.

Una sorta di spia/stalker? Quasi…

Ciò che destabilizzerà definitivamente Aloys, distruggendo ogni sua certezza e facendogli crollare il mondo addosso, sarà proprio la morte di suo padre.

Il protagonista, infatti, assume una serie di atteggiamenti controversi, assurdi e per certi versi dannosi per la sua salute.

Il mondo all’esterno sembra essere privo di speranza. Nulla ha più senso per Aloys.

Ma le sue giornate infelici e prive di qualsiasi tipo di emozione sembrano avere un risvolto positivo, grazie all’ingresso di una donna, o meglio, della voce di una donna…

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En el fondo, 'Aloys' cuenta una historia muy triste, una historia sobre la soledad del ser humano en nuestro mundo globalizado, de nuestra incapacidad para comunicarnos con el prójimo para conocer sus necesidades reales y de como las nuevas tecnologías sustituyen la forma en que nos interrelacionamos. Temas todos ellos muy interesantes, pero que el desarrollo artificial de la trama resulta demasiado pomposo para mantener nuestra atención sin que nos resulte tremendamente agotador, más allá de secuencias puntuales magistrales como la fantasía de la fiesta. Un film filmado con brillantez formal y soluciones visuales destacables, pero sin medida ni control, que cuenta con una buena pareja protagonista formada por Georg Friedrich y Tilde von Overbeck. Sólo recomendable para los cinéfilos más curiosos.

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¿Cómo plasmar el universo íntimo de una persona? ¿Cómo transmitir el hermetismo de una mentalidad que rechaza cualquier tipo de contacto real humano? Ese parece haber sido el reto de Tobias Nölle para encarar su ópera prima, la del autismo emocional absoluto alrededor de un joven investigador privado cuyo padre, la única persona cercana de su entorno, acaba de morir. En mitad de un apartamento donde las cortinas siempre están cerradas, Aloys Adorn deambula con lo indispensable, evadiéndose a través de la observación vouyerista de otros, la de las parejas adulteras a las que debe dejar en evidencia frente a su cliente, y la de su propia visión personal: su padre yaciendo en el ataúd, tres ovejas en un corral o el único ser vivo que está junto a él: su gato. Aloys siente pánico al mundo y no se permite vincularse con él y cuándo alguien le reconoce, huye y evita la conversación. Su cámara es su mirada al mundo, hasta el punto de que la deja en una pequeña repisa anclada a la pared, a la altura de la mirilla, para grabar a la gente que llama a su puerta, ya sea una niña que se burla de él, ya una vecina que le pide ayuda. El mundo de Aloys es puramente interno y silencioso. De una quietud rota únicamente por los sonidos del teléfono, el timbre o los gritos que llegan desde la plaza. Nölle sube el volumen de manera repentina y sólo cuando la puerta se cierra o las cortinas se corren, el ruido desaparece…

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…en Aloys la palabra da forma al desdoblamiento psíquico, a la huida a espacios oníricos para dar forma al encuentro con el otro. Construir y trazar un viaje interior entre tú y yo, a partir de la fantasía, a partir de la palabra como fuente edificadora de un espacio de vida, un bosque, un árbol como seña del objeto perdido, de lo que no puede encontrarse entre los pliegues de la ciudad, cuando la vivencia es pura fantasmagoría. Tocata y fuga.

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La opera prima de Tobias Nole no puede tener una propuesta mas radical e independiente, una película arriesgada que pretende causar sensación pero que solo llega a confundir y al salir del cine uno se pregunta que rayos ha visto.
Aloy Adorn es un detective privado que regenta una agencia en compañía de su padre, cuando este muere Aloys no sabe que le deparará el futuro. Como hombre solitario que es entierra a su padre sin decírselo a nadie y reanuda su vida como si nada hubiera ocurrido. Una noche de borrachera acaba por dormirse en el autobús y al despertar descubre que le han robado su material de grabación, lo que causa un verdadero drama al detective ya que allí tenia sus grabaciones tanto personales como profesionales. A los pocos días recibe una llamada de una mujer que dice tener en su poder todas la grabaciones que le han sido sustraídas.
Aloys es seguramente la película mas rara que ha visto uno en mucho-pero que mucho-tiempo, pasadas casi dos semanas de su visionado uno todavía no es capaz de descifrar que rayos ha visto. Descubrimos un ser que a través de la fantasía cree vivir un mundo demasiado real donde todo el que le rodea parece querer hacerle la vida imposible. El director plasma en imágenes lo primero que le viene a la cabeza sin importarle si tiene sentido o no haciendo que el espectador se sienta confundido desde la primera escena donde ya descubrimos que no estamos ante una película normal. Nada es lo que parece-o si- en una historia que pretende ser poética pero solo es un experimento demasiado complejo donde nunca acabas por comprender que diablos ha pasado.. 
Aloys es la película donde mas despropósitos hay por minuto haciendo pasar al espectador hora y media de aburrimiento y preguntando porque no se ha salido antes de la sala.

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