in paesi
oggi quasi senza bambini (qui e qui),
un tempo, quando i bambini c'erano, e morivano (la sanità era peggiore di
quella di adesso), la colpa era delle surbiles, donne vampire che uccidevano i
bambini.
non erano vampire da sempre e per sempre, si
trattava di una mutazione temporanea che poteva capitare a qualsiasi donna.
l'opera di Giovanni Columbu è praticamente
un mockumentary, uno di quei film nei quali
documentario e finzione si alternano e si sovrappongono.
interviste e visioni notturne
del paese, illuminate da qualche cinepresa dell'espressionismo tedesco, una
donna vaga di casa in casa, ma non può entrare, ma se è una surbile può, se
nella casa sono distratti.
non erano certo amate, ma si
provava pena per loro, un altro continente rispetto a quello delle streghe di
Salem.
film di donne, pieno di
segreti, uno può non crederci, alle surbiles, ma la falce con troppi denti è
meglio appenderla.
un film molto diverso da Su
Re (qui si può vedere e rivedere quel grandissimo
film), e magari minore, ma Giovanni Columbu fa solo film molto belli o
straordinari.
Surbiles è
da non perdere, credo sia il primo mockumentary
sardo, se così non fosse mi corrigerete.
beato chi riesce a vederlo al
cinema.
buona visione - Ismaele
Il Wagner
nel suo libro “La Vita Rustica” a pagina 126 dice che :
<sas
Surbiles erano specie di Vampiri, uomini o donne, che venuti al mondo
con
una codina d’acciaio, succhiavano il sangue dei neonati e per difendersi
da
loro bisognava mettere in casa la falce con la punta e i denti all’insù
(a
pikku a susu) possibilmente sistemandola sopra il contenitore del grano
che
così veniva preservato dall’attacco degli insetti (punteruolo del grano).
Di
notte queste Surbiles, trasformate
in bestie, andavano nelle case dove
c’erano bambini piccoli ma erano
fermate dalla falce di cui s’intrattenevano
a contare i denti (circa 600); ma poiché
esse erano in grado di contare solo sino
a sette, ricominciavano sempre da capo
sino a che l’alba le costringeva alla fuga
per non rischiare di rimanere incenerite
prima di ritrasformarsi in persone>.
in bestie, andavano nelle case dove
c’erano bambini piccoli ma erano
fermate dalla falce di cui s’intrattenevano
a contare i denti (circa 600); ma poiché
esse erano in grado di contare solo sino
a sette, ricominciavano sempre da capo
sino a che l’alba le costringeva alla fuga
per non rischiare di rimanere incenerite
prima di ritrasformarsi in persone>.
…Los cuatro capítulos en los que se divide la ficción
(protagonizados por rostros y desvelos divergentes) se unirán en la secuencia
que cerrará el film. La exhibición de una ceremonia sagrada alrededor de una
hoguera en la mitad de la noche, protagonizada por los semblantes de los
personajes que emergieron en los minutos anteriores. Danzando y lanzando
cánticos en idioma sardo. Mayores y niños. Todos unidos para conmemorar su
alianza frente al eje del mal. Una guinda para un pastel extraño, no apto para
todos los estómagos. Que prefiere el tedio y la observación a lo trepidante.
Que no hace ascos a mezclar realidad con ficción de un modo azaroso y
subyugante. Que finalmente no escoge su territorio principal, caminando por
senderos por tanto empantanados y peligrosos. Una cinta turbadora y alternativa
que hará las delicias de los fanáticos del cine más subterráneo y subversivo.
…Columbu si muove in parte secondo i dettami del documentario
etnografico più austero. Penetra nei piccoli paesi, nelle case, interpella
perlopiù donne anziane facendosi dire le fosche storie-leggende creciute
intorno alla figura delle surbiles. Molte delle chiamiamole testimoni si
rifiutano però di parlare, blindate in un’omertà dettata dalla paura (rivelare
gli arcana è una colpa? attira su chi lo fa il male?). E quei racconti, quelle
testimonianze, li mette in scena. Con una prima sequenza formidabile, una
giovane donna sospettata di stregoneria che vaga di notte bussando, chiedendo
aiuto, senza che nessuno le apra. Seguono episodi ben più drammatici e foschi.
Bambini su cui è caduto il malefizio e che rischiano la morte. Surbiles che
fuoriescono dal proprio corpo per invadere ectoplasmaticamente il villaggio, le
strade, le case. Una specie di sabba di surbiles e loro seguaci (scena
meravigliosa). Lo sguardo di Columbu è di pura osservazione, mai giudicante, e
non può non ricordarci quello delle fondamentali ricerche anni Cinquanta
dell’antropologo Ernesto De Martino sui riti magici e di possessione del Sud
italiano (soprattutto in Lucania). Ricerche che già ispirarono al cinema Il demonio di Brunello Rondi e Arcana di Giulio Questi-Kim Arcalli.
A incantare in Surbiles è quella cultura contadina impregnata di pensiero magico cui Columbu si (ci) avvicina con un rispetto che evoca il migliore Olmi, anche se qui siamo lontani geograficamente e culturalmente dalla bassa bergamasca profondo-cattolica dell’Albero degli zoccoli. Come non restare folgorati da quelle case linde e ordinate di un’austera e perduta premodernità, da quei modi alieni dalla sovreccitazione del nostro tempo. Inquadrature immobili, contemplative, a catturare il tempo lungo e circolare del mito. Silenzi, da un altro mondo e da un altro cinema. Mai come in questo caso la locuzione civiltà contadina sembra acquistare un senso. E però, pur affascinandoci con quel lindore, con quella pulizia di segni, Columbu va anche a esplorare il lato oscuro di quel microcosmo, la paranoica leggenda collettiva delle surbiles intrisa di inquietanti pulsioni alla caccia al diverso, al capro espiatorio. Alle streghe. Ed è forse per attenuare questo senso di allarme che nell’ultimo episodio Columbu cerca di consegnarci un’immagine più addolcita delle (presunte) creature del male, come a voler prendere le distanze dalla paranoica leggenda. Pur oscillando ambiguamente tra fascinazione del pensiero magico e coscienza dei suoi rischi, delle sue deviazioni, Surbiles resta un film indispensabile. Bisogna che circoli, venga visto il più possibile. E sarebbe somma ingiustizia continuare a ignorare Columbu, ormai da collocare tra i nostri maggiori cineasti indipendenti (e, per ritrovare nobili genealogie, non si può non pensare, dopo Surbiles, non solo a Olmi ma anche al Vittorio De Seta di Banditi a Orgosolo). Anche qui, come nel caso di Easy, si rimpiange che Surbiles non sia stato messo nel Concorso Internazionale o almeno in una sezione più visibile della molto interessante ma anche elitaria Signs of Life. E adesso, per favore, date a Columbu un budget adeguato per un grande film…
A incantare in Surbiles è quella cultura contadina impregnata di pensiero magico cui Columbu si (ci) avvicina con un rispetto che evoca il migliore Olmi, anche se qui siamo lontani geograficamente e culturalmente dalla bassa bergamasca profondo-cattolica dell’Albero degli zoccoli. Come non restare folgorati da quelle case linde e ordinate di un’austera e perduta premodernità, da quei modi alieni dalla sovreccitazione del nostro tempo. Inquadrature immobili, contemplative, a catturare il tempo lungo e circolare del mito. Silenzi, da un altro mondo e da un altro cinema. Mai come in questo caso la locuzione civiltà contadina sembra acquistare un senso. E però, pur affascinandoci con quel lindore, con quella pulizia di segni, Columbu va anche a esplorare il lato oscuro di quel microcosmo, la paranoica leggenda collettiva delle surbiles intrisa di inquietanti pulsioni alla caccia al diverso, al capro espiatorio. Alle streghe. Ed è forse per attenuare questo senso di allarme che nell’ultimo episodio Columbu cerca di consegnarci un’immagine più addolcita delle (presunte) creature del male, come a voler prendere le distanze dalla paranoica leggenda. Pur oscillando ambiguamente tra fascinazione del pensiero magico e coscienza dei suoi rischi, delle sue deviazioni, Surbiles resta un film indispensabile. Bisogna che circoli, venga visto il più possibile. E sarebbe somma ingiustizia continuare a ignorare Columbu, ormai da collocare tra i nostri maggiori cineasti indipendenti (e, per ritrovare nobili genealogie, non si può non pensare, dopo Surbiles, non solo a Olmi ma anche al Vittorio De Seta di Banditi a Orgosolo). Anche qui, come nel caso di Easy, si rimpiange che Surbiles non sia stato messo nel Concorso Internazionale o almeno in una sezione più visibile della molto interessante ma anche elitaria Signs of Life. E adesso, per favore, date a Columbu un budget adeguato per un grande film…
…Columbu filme ses épisodes avec une économie de moyens
absolue, utilisant la temporalité nocturne pour resserrer sa palette autour du
noir et des couleurs ocre des lumières et des murs. Chaque affrontement fait
l’occasion d’une mise en situation de ses acteurs non professionnels (à
l’exception d’une jeune femme jouée par… sa fille !), dont il se révèle un
portraitiste exceptionnel. Le réalisateur filme tous ses personnages comme en
tangente, leurs visages tranchant l’écran en diagonales marquant leurs affrontements,
tandis que derrière eux se déploient les espaces du village s’évanouissant dans
la pénombre. Le son rappele au spectateur le hors-champ où rôde le danger,
définissant toujours celle-ci selon le point de vue du personnage filmé (les
voix des villageois agressifs pour la jeune surbile dans la
scène d'ouverture, la surbile cachée derrière la porte pour
les enfants terrés à l'intérieur...). Dans une des scènes clés, une
surimpression suffit, comme dans le Vampyre de Dreyer, à faire
basculer un des personnages dans le monde de l’affrontement avec les morts.
Comme chez Dreyer aussi, le récit est organisé par les tensions entre femmes,
vieilles veuves et jeunes beautés. Le jeu trouble de désir saphique et de
jalousie qui en ressort organise le jeu des regards du spectateur, ce qui
explique que la seule scène ennuyeuse, malgré un rythme basé sur l’étirement et
l’atténuation, soit celle construite autour d’un homme. Columbu fait de son
film non pas tant un documentaire sur les superstitions
villageoises, qu’un document de ces croyances. Le village
sarde y redevient le théâtre d’une vie épique, marquée par l’affrontement de
l’homme avec les forces élémentaires qui le dépassent. Columbu a réalisé
avant Surbiles un film basé sur les évangiles, Su Re,
qui apparemment n’a même pas eu en France les honneurs d’une projection dans un
festival. En attendant un Locarno 2018 qu’on espère meilleur que celui de 2017,
voilà donc une découverte à faire.
A prescindere dalla narrazione e da quelle che sono le
inferenze antropiche di Surbiles - ciò che si vede e
si sente nelle ambagi del film (negli armadi, agli angoli delle camere, proprio
nelle intercapedini della struttura cinematografica) a proposito di
sincretismi, superstizioni, o del magico superstite (guardando anche un po’ a
De Martino) -, con tutto il corollario esistenziale poi connesso a queste
figure fragili e dolenti, per quanto orride, erranti di vampire (quindi una
gamma di tonalità e registri che prevede anche l’ironico, se non proprio il
comico inerente al metabolismo dei vecchi parlanti, semoventi); è nella forma,
com’è evidente, che Columbu concentra tutto il suo potenziale dialettico,
sfruttando la scarnezza, la povertà della ripresa amatoriale, per fini, come
dire, gnoseologici, cioè indagando questioni come l’essenza dell’immagine, la
sua presunta autenticità e i margini di manipolazione iconica entro un
programma profondante, sprofondante di racconto: perché proprio mentre cerca di
addentrarsi negli spazi di profonda, stratificata significazione, questa
struttura sembra smottare, ridursi in macerie d’immagine, cumuli di ombre
digitali. Cioè, quanto aggiunge questa modalità di ripresa al fondamento
filosofico (teorico: ma di una teoria del mondo piuttosto che solo del cinema)
necessaria al racconto, alla possibilità di dire e di mostrare anche oltre la
finitezza endemica di parole e figure, magari attraverso condizioni particolari
di luce, di crepuscolo dell’atmosfera cinematografica? Come se queste, nella
fredda povertà, precarietà della ripresa, acquistassero una maggiore pregnanza
estetica, gnoseologica appunto: la capacità di dire, mostrare, fare intravedere
la bassa, la basica sostanza costitutiva di tutte le cose e adiacente al nulla.
Il che sembra confermato dalla confluenza (per certi aspetti) con alcuni
esperimenti recenti, partendo da quella sorta di archetipo che può essere Mysterious
object at noon di Weerasethakul: ad esempio El futuro di
Luis Lopez Carrasco, in cui è proprio la modalità del mostrare, la ripresa in
4:3 e nella definizione di una VHS, ad aprire squarci, passaggi temporali non
tanto dentro la Storia (e nella politica), quanto nell’immaginario anche oltre
gli anni Ottanta; o I tempi felici verranno presto di
Alessandro Comodin, tutto teso nell’alternanza e indistinzione (come in
Weerasethakul) tra documentario e finzione, e comunque pervaso a tratti dalla
stessa luce crepuscolare, mortifera, dalla stessa scarnezza (problematica,
teoretica) del digitale domestico di Surbiles…
...Si
addentra nei territori del maligno, Surbiles, ma il suo reale
campo semantico di ricerca è un altro: è l’intimità di una cultura, è la
radicalizzazione territoriale nelle vite degli uomini, è lo strascico di una
leggenda, possibile probabilmente solo nel centro di un’isola, ambiente chiuso
e, appunto, isolato per definizione, bisognoso di equilibri interni. Il
risultato è un film imperfetto, probabilmente difettoso, eppure dello stesso
fascino misterico e inafferrabile di una circolare danza tradizionale. È un
film di caccia alle streghe, di ritorni nell’ombra, di lotte fra il bene e il
male, di trasformazioni tramite unguenti magici, di conti (in)finiti, di
canzoni di Natale mentre fuori infuria la lotta fra gli spiriti; è un film
profondamente inquietante, fatto di paura popolare e di abbandoni del proprio
corpo, fatto di lente passeggiate nella notte e di fuochi scoppiettanti; è un
film profondamente interessante, un trattato antropologico, un’immersione
completa nell’Ichnusa di un tempo eppure eterna, archetipica e immutabile come
le sue tradizioni più radicate. È un film da difendere, senza dubbio. E a spada
tratta.
Questo sì che è interessante! L'hai visto in qualche cinema?
RispondiEliminaper ora è ha iniziato a esserci in un solo cinema, a Cagliari, dovrebbe poter girare, è prodotto dall'Istituto Luce
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