per un caso capisce quello che pochi di noi si ricordano, che tutti abbiamo una data di scadenza, magari fra poco.
a quel pensiero Cesare decide che non deve più sprecare il tempo che gli resta, smette di lavorare, vive una vita che non ha mai vissuto prima.
anche noi rimuoviamo quel pensiero, non siamo ben allenati, istruiti, consci della fine, passiamo anni a capire come crescere (la scuola, ecc,), ma nella fine siamo soli, si tace.
non perdetevi questo film, i giorni (sono) contati - Ismaele
QUI il film completo
…Eccellente film del rimpiantissimo Elio Petri sulla
futilità della vita in vista dell'estemporanea incombenza della morte.
Protagonista è il purtroppo dimenticato Salvo
Randone, attore di altissimo pregio che mediante una sceneggiatura
sostanzialmente arida, domina il film in un monologo quasi costante. Nel senso
che gli altri attori, tutti bravissimi e purtroppo semisconosciuti,
(tranne Vittorio
Caprioli) fungono da satelliti rispondenti. Si
affacciano ai rovelli del protagonista al solo scopo di fornire una ipotesi, un
consiglio, una possibilità di uscita dai tormenti per poi scomparire dalla
scena. Tutto ciò crea una reazione a catena nella mente di Cesare che lo
porta a considerare seriamente l'idea di valutare la morte per detronizzare
volontariamente la vita costellata da troppe sconfitte.
Per beffarda coincidenza o per fato aritmetico
l'anima del film cela addirittura qualcosa di inquietante, qualcosa di
terribilmente profetico per il regista, tanto da non sottovalutare l'ipotesi di
considerarlo come una sorta di "film-testamento". Il protagonista
del film dichiara di avere 53 anni nel momento in cui sente il peso dei giorni
contati. Petri fu consumato da una malattia alla stessa età…
“I giorni contati” è l’opera più
personale e sentita di un regista, Elio Petri, ancora oggi troppo colpevolmente
sottovalutato. All’epoca della sua uscita nelle sale cinematografiche, il
pubblico bocciò clamorosamente questo bellissimo film. Forse la causa del suo
insuccesso commerciale è da ricercare nella cupezza e nella disperazione che
permeano la storia da esso narrata, una storia su cui aleggia fortemente il
tema della morte, ragione per la quale la gente, nel ‘62, non accorse in massa
al cinema per vedere tale splendido film.
Peccato.
Il tempo, che spesso è galantuomo, ha comunque reso giustizia a questo titolo,
al punto che oggi lo stesso viene quasi unanimemente considerato come uno dei
lavori più belli di Petri…
…Il tentativo di guadagnarsi da vivere ricorrendo
agli impicci (truffe, piccoli affarucci illegali) richiede
coraggio ed un certo spirito di avventura per il quale bisogna essere nati (e Cesare non possiede né l’uno, né
l’altro).
Cosa resta allora se non rimettersi a lavorare, almeno
nella certezza di non dover chiedere niente a nessuno e di ingannare così il
tempo che passa attraverso la distrazione di giornate piene di lavoro?
E’ un film amaro. Amaro perché ciò che ruba il tempo
all’uomo non è solo il lavoro - dal quale pure, volendo e riuscendoci, ci si
potrebbe affrancare, ma che si pone comunque nel film come problematica non
indifferente - ma il tempo stesso che scorre. La vita, come suggerisce la cupa
scena finale, è un cammino che si snoda su un binario limitato, che ha un
inizio ed una fine, ed al cui capolinea tutti giungiamo prima o poi. Certo,
arrivarci senza alcuna consapevolezza alcuna, dopo una vita di duro lavoro,
magari non è il massimo. Ma forse arrivarci consapevolmente è pure peggio. Il
momento dell’imbocco del tunnel rimane come visione improcrastinabile ed
inevitabile, tutto il resto è ciò che, in qualche modo, è trascorso. Perduto
per sempre…
…Avec un talent
d’observation incomparable et un sens du cadrage qui annoncent déjà ses œuvres
majeures des années 70, Elio Petri signe une série de tableaux qui lui
permettent de dresser un constat assez accablant d’une société italienne rongée
par les clivages sociaux. Lorsque Cesare déclare qu’il souhaite enfin s’ouvrir
aux autres, toutes ses tentatives sont vouées à l’échec et à l’incompréhension.
Même son retour sur les traces de son passé ne lui apporte aucun réconfort
puisqu’il poursuit des fantômes le renvoyant encore une fois à son éphémère
passage sur terre. Ces sentiments contradictoires sont portés à leur point
d’incandescence par la prestation de Salvo Randone, magnifique
monsieur-tout-le-monde qui devient le temps d’un film un spectre errant à la
rencontre de sa propre mort. Les derniers plans qui ferment cette marche
funèbre vers une destination finale inéluctable bouclent le film de manière exemplaire.
Petri nous rappelle ainsi que toutes nos tentatives de fuite en avant (en
choisissant notamment d’emprunter des chemins de traverse comme Cesare)
n’aboutissent qu’au même résultat final. La mort.
…Comme déjà dans L’Assassin, Petri opte pour une
forme de réalisme baroque qui trouvera sa pleine expression dans Enquête sur un citoyen au-dessus de tout soupçon. Il
alterne les gros plans en longues focales, les grands angles, les
contre-plongées et s’amuse de la post-synchronisation. Le son est fort, dilaté,
le moindre bruit est perceptible. A la fois, il plonge dans la cité romaine et
stylise le moindre plan, le moindre pas de son tragique héros. On pense souvent
à Welles et au Procès, à Monsieur Arkadin mais on
ne s’étonnera pas que la photographie ait été confiée à Ennio Guarnieri qui un
an plus tôt immortalisait celle deLa Dolce Vita, autre film
romain tourné sur place et stylisé sur d’autres vanités.
Avec son rythme renversant et son aspect baroque, Les Jours comptés détonnent sur la production italienne du début des années 60. On peut s’amuser à le regarder en miroir d’un autre moderne transalpin : Antonioni. Les deux cinéastes s’intéressent à la solitude des êtres dans les cités modernes. Petri choisit un détour parabolique encore plus politique et détonnant, regardant les transformations du monde moderne du point de vue de ceux à qui jamais on ne prête une caméra.
Avec son rythme renversant et son aspect baroque, Les Jours comptés détonnent sur la production italienne du début des années 60. On peut s’amuser à le regarder en miroir d’un autre moderne transalpin : Antonioni. Les deux cinéastes s’intéressent à la solitude des êtres dans les cités modernes. Petri choisit un détour parabolique encore plus politique et détonnant, regardant les transformations du monde moderne du point de vue de ceux à qui jamais on ne prête une caméra.
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