domenica 4 marzo 2018

Black Panther - Ryan Coogler

non sai niente del fumetto, poco di Marvel, entri in sala senza pregiudizi.
il film inizia a Oakland, culla delle Pantere Nere, quelle fondate da Huey Newton e Bobby Seale, per mettere in chiaro che c'è uno sfondo politico in Black Panther.
poi si va in Africa, dove esiste un popolo nascosto (come Avatar, per fare un paragone), sotto il regno di Wakanda, con una tecnologia e un minerale, il vibranio, che fanno di quel paese il migliore dell'Africa.
poi le lotte per il potere sono come quelle di Shakespeare, ma non solo, forza, coraggio, assassinio, alleanze sono la benzina del Potere.
ci sono solo due bianchi nel film, uno buono e uno cattivo, come capita a volte, è un film nero, di neri, con una storia che ci riguarda tutti.
pochi spettatori informati sanno che il film continua anche nei titoli di coda, ma pochi lo sanno, o lo ricordano, peggio per loro, perdono qualcosa.
gli attori sono straordinari, i "peggiori" sono solo bravissimi, gli altri da Oscar.
fra i personaggi sono importantissime le donne, alla pari degli uomini, dalla famiglia reale alle amazzoni guerriere, neri e donne insieme, nello stesso film, proprio i gruppi che hanno sofferto molto negli Usa, così per ricordare che il film è anche politico, molto politico.
e se entri in sala col cuore del bambino, di quando il bambino era bambino sarà un film ancora più bello, promesso - Ismaele


ps: qui Panther, di Mario Van Peebles, un gran film sulle Pantere Nere, quelle vere.








…Non scriverò che Black Panther è il miglior cinecomic di sempre (anche se Black Panther è il miglior cinecomic di sempre), ultimamente la frase è un tantino inflazionata. Meglio far passare un altro concetto: é senza dubbio il film di cui c’era bisogno, quello giusto al momento giusto. Perché inchioda la fantasia ad una realtà che più stringente non si può, a temi che non è possibile immaginare più socialmente rilevanti, ma senza nemmeno l’ombra di retorica.
Black Panther è scritto e diretto magnificamente, è divertentissimo ed elettrizzante, pieno zeppo della miglior azione sulla piazza (la scena del combattimento rituale alla cascata è un capolavoro di computer graphic e coreografia). E questo è il marchio di fabbrica Marvel, of course. Ma quanti film di supereroi ci sono che prendono di petto questioni etniche e di genere, schiacciando stereotipi sul colore della pelle, mettendo al centro la coscienza razziale e l’orgoglio, la ricerca e la celebrazioni delle radici nere, in un’ottica di costruzione del futuro e, soprattutto, alla faccia di Trump?
“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, dicevamo: nessuno lo sa meglio del principe T’Challa che, dopo la morte del padre eredita il regno di Wakanda, stato africano di finzione che, in seguito alla scoperta di un prezioso metallo (il vibranio), ha coltivato segretamente la civiltà più avanzata del mondo. T’Challa ne è insieme il sovrano e il protettore, grazie alla magica erba a forma di cuore, che gli dona una forza sovrumana trasformandolo in Black Panther, e alla tuta progettata dalla sorella, un genietto della tecnologia. La ricchezza e le possibilità nascoste del Paese attirano nemici senza scrupoli e fanno riemergere dal passato un potente nemico.
“Da un grande potere derivano grandi responsabilità” è anche la problematica con cui si deve confrontare il Wakanda stesso: quali sono i suoi doveri nei confronti del mondo, nei confronti dei fratelli che stanno combattendo e spesso perdono anche la vita per i loro diritti? Per questo dove gli altri cinecomic Marvel hanno delle venature pulp, Black Panther rivela delle sfumature quasi shakespeariane nel suo protagonista e non solo.
È impossibile immaginare qualcun altro se non Chadwick Boseman nel ruolo di T’Challa/Black Panther per la naturalezza, il carisma e l’intensità con cui affronta questioni di stato e scazzottate. Ma tutto il cast, quasi interamente di colore è straordinario: dal terribile e umanissimo cattivo di Michael B. Jordan (il protagonista di Creed) a Daniel Kaluuya (quello di Get Out) nei panni dell’amico del protagonista e capo della sua sicurezza, fino al mistico guru spirituale interpretato da Forest Whitaker.
E poi le donne, combattenti straordinariamente belle e fiere come il premio Oscar Lupita Nyong’o, ex fidanzata di T’Challa e agente segreto del Paese in missione, oppure Danai Gurira (The Walking Dead), occhi di fuoco a capo dell’esercito tutto al femminile di forze speciali dello stato, o Angela Bassett, regale madre del principe, e Letitia Wright, intelligentissima e pungente sorella del protagonista.
Oltre ai sempre grandi Martin Freeman e Andy Serkis, c’è un altro straordinario personaggio nel film: il Wakanda, un luogo squisitamente in equilibrio tra l’omaggio alla tradizione africana, alle sue tribù, alle sue regole, alla sua mitologia, al suo orgoglio, e lo sguardo al futuro. Un vero e proprio miracolo visivo.
PS. La colonna sonora è a cura di Kendrick Lamar, il miglior rapper della sua generazione, che a proposito di potere e responsabilità ha pensato bene di alzare così tanto l’asticella che la sua soundtrack, tra hip-hop, R&B, blues e influenze africane, potrebbe piazzarsi tranquillamente tra i migliori album di questo inizio d’anno.

Black Panther es una obra madura y reflexiva, que demuestra un gran respeto hacia el continente africano y su cultura, ofreciendo un colorista y vivaz crisol en el que conviven los espíritus de distintas tribus, con sus correspondientes tradiciones, puesto en imágenes gracias a un asombroso trabajo de vestuario y dirección artística que hacen del filme una golosina visual de primer orden, a la vez que lanza un potente discurso sobre las desigualdades en el reparto de las riquezas que mueven el mundo y cómo los políticos miran hacia otro lado mientras millones de personas mueren de hambre o son explotadas como esclavos en pleno siglo XXI. A diferencia de la mayoría de títulos similares, la cinta de Coogler se detiene más en el desarrollo de su interesante historia y de unos personajes cargados de aristas que en la acción, sin que ello signifique que los momentos más físicos no funcionen con gran precisión. Así, los enfrentamientos cuerpo a cuerpo entre T'Challa y sus adversarios por el trono están perfectamente coreografiados, mientras que Coogler ha optado por realizar un curiosísimo ejercicio de homenaje a las películas de espías internacionales en general, y a las de James Bond en particular (con Shuri abasteciendo de todo tipo de gadgets a su hermano, en la mejor tradición de Q), a la hora de confeccionar algunas de las set pieces de acción más vibrantes de la trama, como aquella que se inicia en un casino de Busan, en Corea del Sur, y termina en una magnífica persecución automovilística por las calles del país asiático. Black Panther es una obra argumentalmente sólida y reivindicativa, dotada de una belleza en sus imágenes que parece deudora del James Cameron de Avatar (2009), haciendo de Wakanda un escenario único que en nada desmerece de otros “paraísos perdidos” como la Asgard de Thor o la isla Themyscira de Wonder Woman , recreados en la gran pantalla por obra y gracia de la magia digital del CGI. Un auténtico deleite para los sentidos que viene fortalecido por una de las bandas sonoras más eclécticas y majestuosas que hemos oído en una obra de Marvel, obra de un inspirado Ludwig Göransson. En definitiva, Black Panther emerge como un gran triunfo cinematográfico. El de un héroe carismático como pocos y el de ese grupo de mujeres que le acompañan en su aventura por hacer de nuestro planeta un lugar más habitable, luchando contra las injusticias, ya sea desde la sede de Naciones Unidas o en campos de batalla improvisados por los villanos de turno. El Black Power ha llegado para quedarse y ha significado, desde luego, una de las mayores alegrías que el género nos ha regalado en la última década, de esas que consiguen que fantaseemos con la posibilidad de un cine de superhéroes divertido y emocionante, sí, pero también comprometido y con mensaje. | ★★★★ |
da qui

… Riproponendo l’ormai tradizionale viaggio di scoperta, discussione e accettazione del proprio ruolo, il protagonista T’Challa è un principe che diventa Re senza troppi scossoni emotivi e sulle ceneri dell’usurata memoria shakespeariana, mentre tutto intorno la sceneggiatura costruisce castelli di sabbia pronti a crollare. E, sebbene le intenzioni siano lodevoli, la partenza sia addirittura sorprendente (con un breve piano sequenza girato su un campetto da basket), le immagini siano piacevoli alla vista e le musiche trascinanti (sia lodato ancora una volta Kendrick Lamar), il film riesce a buttare al vento questi punti di forza con un’alternanza tra momenti stucchevoli e fastidiosamente irritanti, una regia che non sempre appare adeguata al compito richiesto e un cast (quasi) all-black che rasenta la mediocrità. Colpa del doppiaggio italiano? Chissà. Di certo il carisma non passa solo attraverso la voce.
Dove i Marvel Studios avrebbero potuto osare, falliscono miseramente, e dell’avanzata tecnologia di Wakanda (l’utopia africana per eccellenza) non rimane che il disegno di un film arretrato, com’è arretrato e sconfortante vedere una questione politica così attuale riassunta in poche frasi a effetto, nella retorica galoppante, nei volti di eroi annoiati (fa eccezione unicamente il villain Erik Killmoger, unico in grado di trasudare intelligenza e reali motivazioni) e in una trama a dir poco sbilanciata. Un bel passo indietro rispetto ai più centrati Thor: Ragnarok (consapevole della sua cialtroneria) e Captain America: Civil War (gustosamente thriller), e che fa precipitare l’asticella della qualità di casa Marvel ai minimi storici.

la trama di Black Panther è un connubio eccessivamente cromatico tra il Re Leone e l’Amleto, con richiami a James Bond e al Principe cerca moglie, nella piena rappresentazione della visione stereotipizzata delle varie tribù africane i cui diversi elementi distintivi vengono messi insieme nello stesso outfit come se fossero decorazioni natalizie collezionate negli anni. Così possiamo vedere le Dora Milaje che ricordano vagamente i Masai kenioti accanto a uomini con disco labiale, reso anche sonoramente in modo imbarazzantemente comico, che in realtà è indossato principalmente dalle donne etiopi come simbolo di maturità sessuale. D’altronde, come si evince dal prologo, il Wakanda è una terra di contraddizioni, a metà tra tradizione e innovazione grazie al dono del Vibranio, un metallo infinitamente duttile e resistente, e ai poteri di Pantera Nera che si trasmettono ai più forti guerrieri che vincono i duelli rituali per l’egemonia e possono diventare sovrani. Dopo le vicende di Captain America: Civil War, T’Challa (Chadwick Boseman) torna in patria per essere incoronato re in conseguenza della morte del padre T’Chaka (John Kani), in un momento così importante nella sua vita ha bisogno di avere accanto le persone a sé più care, che rappresentano anche la componente femminile in tre diverse sfaccettature . Sempre al suo fianco c’è la fidata Okoye, capo delle guardie del corpo personali e fedeli servitrici della corona, le Dora Milaje, interpretata dalla ferocissima e agilissima Danai Gurira che aveva già dato prova delle sue abilità nelle arti marziali sul set di The Walking DeadLupita Nyong’O interpreta invece Nakia, una spia dell’intelligence wakandiana per cui T’Challa prova dei sentimenti, innovativa e accanita sostenitrice dell’utilizzo delle risorse del paese per aiutare i più bisognosi. Ramonda (Angela Basset) è la leonessa madre che agisce sempre per il bene del figlio e vorrebbe che diventasse un re saggio e magnanimo. Infine c’è la sorellina Shuri (Letitia Wright), la Tony Stark – o la Q – africana, piccolo genio tecnologico che si occupa dell’upgrade dell’armamentario del fratello e del progresso scientifico del paese, unica linea comica, a tratti eccessivamente entusiasta, che però alleggerisce i toni della pellicola…

…La recitazione in Black Panther di certo non rappresenta l'anello debole .... tutt'altro! Chadwick Boseman dimostra di poter ambire a qualsiasi ruolo in futuro; il suo T'Challa ha spessore, carisma e reattività, tutto quello che si chiede ad un vero supereroe. Il Girl Power è l'arma segreta del popolo Wakandiano, ma soprattutto di Black Panther. Il talento, lo charme e la classe di Lupita Nyong'o non la scopriamo di certo noi, il dinamismo di Danai Gurira è accettuato all'ennesima potenza e il carisma di Angela Bassett è poi la ciliegina sulla torta. I villain di turno sono interpretati da uno straordinario - è dire poco - Andy Serkis e da un sempre più affidabile Michael B. Jordan.
In conclusione non possiamo che promuovere a pieni voti il nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe, ricordandovi di rimanere seduti dopo i titoli di coda perchè sono presenti due scene post-credits, di cui la seconda molto rappresentativa.

…Black Panther riesce nella sua missione: ci emoziona e ci fa divertire per più di due ore, senza un attimo di pausa e senza soffermarsi in scene inutili e melense, ma al tempo stesso fa riflettere su tematiche non certo comuni nei cinecomic, pur senza diventare drammatico e angoscioso come i film di Spike Lee. Esattamente come Wonder Woman ha dimostrato di essere un ottimo film di supereroi e non un film di supereroi in quota “rosa”, Black Panther è un cinecomic da vedere in quanto tale, e non perché sia “politically correct” dare una chance all’eroe nero.

Race matters in “Black Panther” and it matters deeply, not in terms of Manichaean good guys and bad but as a means to explore larger human concerns about the past, the present and the uses and abuses of power. That alone makes it more thoughtful about how the world works than a lot of mainstream movies, even if those ideas are interspersed with plenty of comic-book posturing. It wouldn’t be a Marvel production without manly skirmishes and digital avatars. Yet in its emphasis on black imagination, creation and liberation, the movie becomes an emblem of a past that was denied and a future that feels very present. And in doing so opens up its world, and yours, beautifully.

…Senza dimenticare il retaggio culturale e soprattutto tribale all'interno del quale si svolge la vicenda, valorizzato, quest'ultimo, da coreografie che trasformano le scene d'azione (sontuosa, in questo senso, quella che accompagna l'incoronazione di T'Challa, orchestrata alla maniera di una tragedia greca), in una specie di danza propiziatoria, e da uno sfoggio di costumi e accessori appartenenti al folklore degli antenati della comunità africana. Certo, si potrà obiettare che una cosa del genere si era già già vista nei wuxia di Zhang Yimou e ciò è in parte vero, ma se nel caso appena citato questi aspetti erano parte integrante dei codici propri di quel tipo di film, ovvero della tradizione a cui fanno riferimento, nel caso di "Black Panther" non solo la questione si presentava del tutto nuova ma era chiamata ad armonizzarsi con un contesto - quello mainstream - di tipo industriale, cioè destinato a veder la prevalenza del mercato sull'arte. Così, pur rimanendo "Black Panther" un prodotto commerciale e, nello specifico, un lungometraggio dove le scene d'azione e gli effetti speciali relegano in subordine finezze psicologiche ed eventuali complessità della trama, bisogna dire che la compresenza tra passato e presente, modernità e tradizione, riesce a convivere senza penalizzare né l'una né l'altra, mantenendo inalterata l'efficacia del messaggio di cui il film si fa interprete, nel quale, per una volta, la muscolosità dei corpi e la loro smaccata potenza segnano un punto a favore della coerenza interna dell'opera e del suo assunto di base. 
  
Black Panther pencola abilmente tra la spy story iniziale in stile Mission: Impossible di Brian De Palma – citato piuttosto apertamente nella macro-sequenza del casinò a Busan in Corea del Sud – ed il dramma con velleità shakespeariane, una volta che scivola nei dintorni della lotta intestina tra i due rivali che si scoprirà uniti da altri vincoli, attraverso un avvincente uso di una narrazione biforcata tra presente e passato operata da Coogler. Unici piccoli limiti da segnalare: una durata un po’ eccessiva (due ore e quindici circa) appesantita da una certa ripetizione nelle sequenze d’azione e una certa mancanza di carisma da parte dell’eroe, sia pure ben interpretato da Chadwick Boseman. Carenza quest’ultima assolutamente compensata dalla chiarezza del messaggio propugnato da T’Challa: aprirsi al resto della comunità internazionale per usare la straordinaria ricchezza di Wakanda come strumento di riscatto per ogni minoranza nera presente nel mondo. In controluce, nelle dichiarazioni d’intenti dei due pretendenti al trono, si possono dunque leggere due visioni del mondo radicalmente opposte, dal punto di vista statunitense: semplificando al massimo quella “obamiana” di una grande potenza leader assieme al resto del mondo e quella “trumpiana” di una nazione intenzionata ad usare la propria forza per affermare il suo status di superiorità. Indovinate quale delle due istanze prevarrà alla fine della contesa?
Non resta allora che la finzione, sia essa proveniente da fumetto o dal cinema, per vagheggiare un’utopia che troppo spesso pare irraggiungibile nella realtà. Così Black Panther dimostra, ancora una volta, come sia possibile coniugare su grande schermo divertimento e idee senza mai scivolare nel didascalismo fine a se stesso. Di T’Challa e della sua efficientissima squadra prevalentemente declinata al femminile – altro aspetto da non sottovalutare affatto, a maggior ragione nel presente che viviamo – risentiremo parlare a più livelli, questo è sicuro.

Black Panther è un prodotto che riesce solo in parte a mantenere tutte le promesse rivoluzionarie che aveva fatto sulla carta. Lo stile del film è visivamente innovativo, con un utilizzo del colore e della messa in scena che si impegnano a caratterizzare la location inedita, tuttavia non è omogeneo nei tempi e nelle modalità di ripresa, oltre a rivelare ingenuità sorprendenti nell’utilizzo degli effetti visivi. Inoltre il tono, molto serio nella prima parte, cede alle lusinghe della risata facile nella seconda, risultando stonato pure per un prodotto Marvel. Infine, la cultura black di cui il film doveva farsi portatore, veicolata anche da una colonna sonora importante, firmata tra gli altri da Kendrick Lamar, scompare dietro ai meccanismi narrativi consolidati dello studio, un vero peccato e un mancato atto di coraggio da parte della Casa delle Idee…

Todos hacen un trabajo destacable, y la música de Kendrick Lamar, en fin, un gran equipo y se nota el corazón que le metieron a la película. Recomendada, una buena propuesta, distinta y arriesgada en algunos aspectos a las otras películas, pero que sigue manteniendo la esencia de las películas de Marvel, y por supuesto, hace parte de las piezas para esa gran película que tienen pensado estrenar este año, como la final de los Vengadores, Infinity War. Película sobre los héroes, sobre la raza, sobre la identidad, sobre el perdón y sobre la redención. 

Nessun commento:

Posta un commento