Steven Spielberg dipinge il (suo) ritratto dell'artista da giovane.
l'amore per il cinema, non un hobby, nasce da lontano, lui non vuole ritrarre ciò che vede, ma controllarlo, rivederlo, (ri)montarlo, interpretare, dare un senso a quello che si vede (e a quello che non si vede).
cresce in una famiglia di origine ebraica, e assaggia l'antisemitismo nella civilissima California, e dal bulismo si sava con il cinema.
la festa di fine anno scolastico diventa il salto di qualità, la potenza delle immagini in movimento, della loro rappresentazione, del loro montaggio gli fanno capire che quella è la sua strada, l'università fa schifo, e quando ormai non ci crede più ha la sua grande occasione, quando arriva lui c'è e da lì inizia la sua vita di uomo con la cinepresa, per sua e nostra fortuna.
ottimi interpreti, ottima regia, un grande film, da non perdere.
buona visione - Ismaele
…Centrato sul suo personaggio e sulla sua
famiglia, i suoi eroi hanno uno spessore reale, una vera densità
psicologica, The Fabelmans lascia fuori la Storia. Spielberg
sottrae a sorpresa il suo destino dal contesto americano. Inventa un Paese
studio, senza guerra del Vietnam, senza minaccia nucleare o ossessioni per il
comunismo, senza lotta per i diritti civili. La radio diffonde solo musica, i
giornali non esistono. I costumi, che evolvono con la morale, passano per uno
spinello che Sam rifiuterà di fumare.
The Fabelmans è la testimonianza di un autore che ha dedicato la
sua vita a una forma d'arte che credeva onnipotente e che oggi scopre fragile,
una lezione di messa in scena che rivela il trucco del mestiere (Sam espone
minutamente a un compagno come interpretare un ufficiale della Seconda Guerra
Mondiale che prende coscienza di tutti i soldati Ryan che ha perso sul campo)
mentre esegue il 'prestigio' (Burt osserva scosso una fotografia che ritrae la
moglie sorridere all'altro uomo).
Il film si conclude con un irresistibile movimento della m.d.p. che svela l'orizzonte del
nostro eroe. Il seguito lo conosciamo già e risuona tutto in quel nome, ben
reale, che incide i titoli di coda. Monumento alla mitologia del suo
autore, The Fabelmans non racconta che questo: come si
diventa Steven Spielberg.
…I film sono
sogni che non dimentichiamo.
Che frase magnifica,
che concetto incantevole e vero. Sogni. Veicolo di immaginazione. Fiabe, in
qualche modo. Forse è per questo che Spielberg ha scelto Fabelman come
cognome per il proprio alter ego su schermo e la sua famiglia, un nome che
suona tanto come "uomo delle favole", affabulatore. E non
è forse una fiaba a sua volta il racconto che ce ne fa? Storia romanzata di
un'esistenza, versione trasformata di una vita. Questo fa il cinema nel
messaggio che l'autore vuole trasmetterci: racconta e trasforma, prende la
realtà ma non si limita a riprodurla com'è, la muta e ne dà una propria idea
nuova, più forte, più ricca. Fiabesca, come da sempre è stata l'opera di
Spielberg, un cinema che sa volare sulle ali della fantasia per raggiungere
vette di sentimenti e sensazioni vertiginose.
Ma non è
solo questo il messaggio del film, perché il cinema muta la realtà, la colora,
deforma o migliora, ma trasforma anche noi che ne fruiamo: i momenti chiave
di The Fabelmans si sviluppano attorno a qualcuno che guarda
immagini proiettate e cambia nel farlo. Gli occhi spalancati del piccolo Sam
incastonati in una maschera di stupore, il volto di sua madre che chiusa in un
armadio viene travolta dal dolore, le reazioni opposte dei compagni di scuola
di Sam che guarda il film del loro Ditch Day girato e montato
dal ragazzo. Sguardi che ammirano, assorbono e cambiano. Il cinema, ci dice
Spielberg, ha questo immenso potere di catturarci, ipnotizzarci, per poi
entrarci nell'animo e mutare il nostro pensiero e le nostre emozioni. E noi che
siamo suoi spettatori affezionati da oltre quarant'anni lo sappiamo bene…
Negli occhi del Sammy
Fabelman bambino c’è lo stupore della visione, l’imprinting dello
spettatore che assiste per la prima volta allo spettacolo delle immagini in
movimento: il più grande spettacolo del mondo. Nelle mani del Sammy Fabelman
ancora bambino ma già regista amatoriale, c’è invece l’agilità dell’operatore
che regge la macchina da presa, dell’artigiano che taglia la pellicola 8mm, del
regista che realizza con amici e familiari – come ha scritto Pietro Bianchi
nella recensione di The Fabelmans sul n. 8
della rivista «Cineforum» – «esperimenti di
storytelling e montaggio molti simili agli albori del cinematografo, alla
scoperta del comico, dello slapstick, dell’horror... e poi del western, dei
film di guerra in un crescendo di complessità che è a un tempo padronanza
tecnica del mezzo ma anche crescita soggettiva». Nella testa di Sammy
Fabelman diciottenne, infine, nel film che gira per la scuola durante una gita
al mare, c’è già tutta l’ambiguità dell’autore hollywoodiano, consapevole di
poter manipolare le immagini a tal punto da far dire loro cose a cui nemmeno
crede…
… The Fabelmans fin
dall’inizio ha il grande pregio di rendere non la storia in sé, ma i personaggi
che la abitano i veri pilastri di una narrazione
familiare colma di un’ironia mai eccessiva, quanto ammantata dal ricordo del
narratore. Il che contribuisce a rendere universale e ancora più
potente il film, perché bene o male tutti possiamo rivederci nelle
avventure di Sammy, nel modo in cui ci fa comprendere l’importanza di certe
serate familiari, dei regali, delle piccole avventure e soprattutto della
scoperta. La scoperta è il grande tema sotterraneo del film,
sia per quello che riguarda il cinema, le sue leggi scritte e non scritte, sia
soprattutto la vita del protagonista, a cui il giovane Gabriel
LaBelle dona un grande verosimiglianza, grazie ad un'interpretazione magistrale.
Il suo Sammy è un uno dei ragazzi più normali, veri, autentici e scevri dai
cliché narrativi sull’adolescenza che il cinema e anche la televisione ci
abbiano donato ultimamente…
… The Fabelmans ci
parla quindi in ultima analisi dell’arte, un'arma a doppio taglio per
chi la rende la propria ragione di vita, del prezzo in fatto di
vita sociale e sentimentale che l’artista rischia di pagare, vuoi per
l’essersi votato in modo totalizzante al proprio talento, vuoi anche per i
limiti che l’essere umano ha e che Spielberg ci mostra. Vi è un po’ di Fellini e
di Allen, un po’ di Lucas e dei
maestri immortali della Nouvelle Vague francese, in questa sua
autobiografia ma poi in realtà no: c’è soprattutto Spielberg che
dipinge a mano libera. L'insieme abbraccia ma senza fanatismo il
sogno americano, prende per mano il pubblico e lo guida dentro la sua anima,
quegli anni in cui trovò dentro a piccole cineprese il modo di fuggire da tutto
e tutti, di accettarsi per ciò che era.
… La
cinepresa come mezzo per capire ed esorcizzare il dolore e soprattutto
rielaborarlo e metterlo in scena.
Una lezione crudele che Sam fa sua quando si trasferisce in California e
viene bullizzato dai propri compagni perché è ebreo.
Le immagini però gli permettono di avere potere su di loro, aspetto che ci
porta all’altra sequenza fondamentale di The Fabelmans: Sam deve
realizzare il film della gita al mare del proprio istituto che verrà
successivamente mostrato al ballo di fine anno.
Una volta arrivato il fatidico giorno, nel buio dell’istituto viene
proiettato il lavoro del personaggio interpretato dal commovente Gabriel
LaBelle, che sconvolge uno dei bulli.
Le immagini infatti lo elevano a divo del Cinema, mettendo in risalto tutte
le sue qualità atletiche.
Perché farlo?
Semplice: Sam con questa scelta ottiene il rispetto del bullo - che grazie
al film riconquista la propria ragazza - mettendo in scena una manipolazione
del vero, una sorta di propaganda, un rischio etico che riflette sulla nostra
vulnerabilità da spettatori.
Due sequenze dall’aspetto teorico vitale, che prendono in esame due modi di
vedere e concepire il Cinema, due modi di intendere la vita, due modi di
catturare le immagini-specchio della natura dei genitori di Sam/Spielberg.
The Fabelmans a mio avviso non è solo un biopic, ma un punto di vista sul guardare
le immagini, un film che non ha mai l'orizzonte centrale ma sempre in alto o in
basso e perciò, come insegna John Ford, un orizzonte interessante
che produce un significato, una narrazione.
Un’opera che è un saggio teorico, una dichiarazione d’amore e una storia
struggente, l’ennesima lezione di Cinema di un regista unico che in questo film
da The Fabelmans diventa The Fablesman, l’ultimo
cantastorie: Steven Spielberg.
Non vedo l'ora di vederlo ^_^
RispondiEliminaallora compra un orologio nuovo :)
EliminaSpielberg non fa mai brutti film, però a me non ha entusiasmato come la maggior parte della critica... l'ho trovato costruito e didascalico, poco coinvolgente. Bella la forma, ma non mi è proprio "arrivato" al cuore.
RispondiEliminaquesta volta mancavano gli effetti speciali:)
Eliminail rischio dei film "personali" è che a volte possono essere un po' autoreferenziali, ma in questo caso non mi sembra.
ripensandoci, in certi momenti si è respirata l'aria di "Licorice pizza".
https://volerelaluna.it/cultura/2023/01/06/the-fabelmans-due-o-tre-cose-che-steven-spielberg-sa-sul-cinema/
RispondiEliminahttps://welovecinema.it/2023/01/02/the-fabelmans-la-regia-di-steven-spielberg/
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