da alcuni anni ad At-Tuwani, un piccolo villaggio vicino a Hebron, si è scelto di reagire all'assedio e all'aggressione dei coloni armati, e dell'esercito israeliano che li protegge e li supporta, in modo nonviolento.
un gruppo di giovani, Youth of Sumud, coordina la lotta pacifica, con l'aiuto di volontari internazionali.
Nicola Zambelli, che già nel 2009 aveva documentato la loro lotta in Tomorrow’s Land, visita quei luoghi, i bambini di allora sono cresciuti e organizzati adesso in Youth of Sumud.
è una lotta impari, una resistenza piena di coraggio e perseveranza per difendere la loro terra.
si può consultare il sito del film, https://sarurafilm.com, anche per eventuali proiezioni.
buona (piena di speranza) visione - Ismaele
…La vicenda del villaggio di At-Tuwani è la storia che nel
2010 abbiamo filmato per poi raccontarla con il nostro primo film “Tomorrow’s
Land – how we decided to tear down the invisible wall” (2011 – vincitore di
numerosi premi in Italia, documentario che ha partecipato tra gli altri ai
David di Donatello, Thessaloniki Film Festival, Al Jazeera Film Festival),
centrata sull’esperienza del comitato di lotta popolare nonviolenta delle
colline a sud di Hebron. Nel corso degli ultimi dieci anni, le colonie attigue
ad At-Tuwani hanno continuato ad espandersi, incrementando il numero di
abitanti, continuando a costruire abitazioni e fattorie per gli animali. Allo
stesso tempo, l’esercito israeliano ha continuato a ostacolare la presenza
palestinese nell’area, demolendo qualsiasi nuova abitazione, ostacolando la
vita quotidiana tramite check-point volanti e controlli arbitrari, continuando
a cercare pretesti per poter allontanare gli abitanti dalle loro case.
Un documentario –
interamente autoprodotto on-line grazie a Produzioni dal Basso e off-line
grazie a decine di incontri pubblici – che ha aiutato a far conoscere la storia
di At-Tuwani, è stato visto da migliaia di persone in centinaia di proiezioni
nel mondo.
Il ritorno ad
At-Tuwani
Nel 2018 siamo tornati
ad At-Tuwani per raccontare la storia di “Youth of Sumud”, un collettivo di
giovani e teenagers nato e cresciuto sotto occupazione militare e all’interno
della lotta popolare del villaggio, composto da ragazzi e ragazze che studiano
e si impegnano per garantire a sé e ai loro concittadini la possibilità di
continuare a esistere sulla propria terra e ottenere un futuro migliore. I
ragazzi e le ragazze di YOS sono i bambini che dieci anni addietro abbiamo
filmato mentre compivano un estenuante tragitto dal villaggio di Tuba a
At-Tuwani scortati dai soldati dell’esercito israeliano (scorta istituita a
seguito dei violenti attacchi portati avanti ai danni dei bambini dai coloni di
Ma’On e Havat Ma’on, che furono fonte di proteste e indignazione nella stessa
Israele); sono i bambini che abbiamo visto andare a scuola e che sognavano la
scomparsa dell’occupazione.
Crescendo, alcuni di
questi ragazzi hanno costituito un collettivo di lotta chiamato “Youth of
Sumud”, decidendo non solo di proseguire l’azione di resistenza nonviolenta del
comitato popolare del villaggio ma anche di riappropriarsi (simbolicamente e
materialmente) delle terre che sono state sottratte ai loro concittadini,
andando ad abitare nelle grotte evacuate di Sarura.
Vogliamo raccontare la
storia di Youth of Sumud perchè possa costituire un esempio concreto di
speranza, una lotta pacifica condotta all’insegna della dignità umana, il cui
esito resta tuttora incerto ma il cui finale è scritto attraverso la storia di
ciascuno. Una storia minuscola rispetto alla Storia con la S maiuscola, ma allo
stesso tempo universale e rappresentativa di un conflitto che sembra non
trovare mai fine.
Un conflitto che, come
tutti i conflitti, potrà trovare un esito positivo solo nella piena
accettazione dell’essere umano, riconoscendone l’esistenza e dando ad esso
visibilità. E, soprattutto, come i ragazzi e le ragazze di Youth of Sumud
sembrano fare nei confronti dei loro pari, speranza…
…Sarura mostra immagini di oggi, del
2009 e degli anni intercorsi tra la prima e la cosa visita dei registi. Segue i
bambini di allora diventati ragazzi o adulti, filma le stesse strade, gli
stessi campi, le stesse zone di frontiera, gli stessi scontri fra i coloni
dell'avamposto israeliano di Ma'on, l'esercito, i palestinesi di At-Tuwani e
gli attivisti: a parte la grana del digitale, meno definita e netta, nulla pare
cambiato. La stessa aggressività dei soldati, gli stessi ragionamenti
paradossali degli occupanti (secondo i quali il problema non è l'aggressività
dei coloni, ma l'ardire dei palestinesi che si ostinano a pascolare nelle
proprie terre), la stessa tensione che coinvolge anche i registi, trasformati
da testimoni distanti a presenze partecipi.
Le linee temporali di Sarura si
sovrappongono, mentre il montaggio accosta passato e presente. Ciò che nel
frattempo è cambiata è la storia di At-Tuwani e del vicino villaggio di Sarura,
sgomberato dagli israeliani. Soprattutto, sono cambiate le teste delle persone
che lì vi abitano: oltre a resistere allo sgombero con la creazione di un
comitato di lotta popolare, con azioni pacifiche contro il governo israeliano e
con registrazioni audio e video delle violazioni dei diritti dei palestinesi,
da qualche tempo si è cominciato anche a restaurare Sarura e le sue grotte.
La perseveranza, dunque, nel film è la luce di candela dell'inizio: una fiamma
tenue, un fuoco controllato che non distrugge, ma illumina, e per ora non si è
ancora estinto.
…In una
striscia di terra occupata, tra persone ormai abituate alla loro condizione, il
film testimonia un movimento che rompe la catena degli eventi, che prova a
immaginare un altro mondo, un altro modo di vivere: «il futuro è un posto
sconosciuto», recita il sottotitolo della versione internazionale.
La
questione palestinese è uno stallo perenne, una condizione che dopo
vari decenni è quasi istintivo – colpevolmente – considerare, se non naturale,
almeno strutturale, parte del mondo che l’ha creata e alla quale appartiene.
Ali, uno dei “giovani della perseveranza” di At-Tuwani, dice: «Qui
ogni bambino crede che sia normale la vita che vive, qualunque essa sia. Poi
però crescendo ho capito che ci sono persone che violano i miei diritti, e che
questo non è il modo in cui i bambini di tutto il mondo normalmente vanno a
scuola». È proprio questo lo scarto che il film cerca e filma nei
territori occupati: l’inversione di rotta della Storia e della mente delle
persone, protagonisti e osservatori, vittime e spettatori; l’iniziativa che
cambia il decorso delle cose.
…The Future Is an Unknown place nasce e cresce in questo clima di endemico
conflitto, uno scontro che dopo l’intifada sembra essersi frammentato in decine
o centinaia di piccoli conflitti. Le cronache e anche il cinema hanno
raccontato queste situazioni che non hanno solo un riflesso locale, ma fanno
inevitabilmente parte di una più grande unità. Dall’altra parte del racconto,
attraverso immagini e interviste che sanno restituire una rabbia soffocata da
una non violenza praticata e convinta, Zambelli lavora sul tempo. Un lavoro
precedente, al seguito di sigle internazionali che da sempre lavorano in
solidarietà con gli abitanti dei territori della Palestina, aveva già mostrato
le condizioni in cui erano costretti a vivere i palestinesi tra provocazioni e
aggressioni ingiustificate. Il tempo che da una parte è trascorso velocemente,
sembra invece immobile quanto agli avvenimenti. Nulla è mutato a Sarura, i
ragazzini di allora sono diventati adulti e qualcuno si è anche laureato, ma i
ragazzini di oggi, che pascolano le greggi al pomeriggio e al mattino vanno a
scuola, hanno bisogno dell’esercito che li scorti per evitare le aggressioni.
Anzi, alla fine del film si viene a sapere che nel maggio 2021 i coloni hanno
distrutto le piantagioni di ulivi e quanto i giovani della “Youth of Sumud” avevano
realizzato a Surura. Il lavoro è ricominciato subito dopo, ma il futuro, come
ci ricorda Zambelli, è una terra sconosciuta ed in questo tempo senza volto che
si snoda ancora la resistenza di questi giovani con la speranza negli occhi e
nelle parole.
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