atmosfere misteriose e minacciose, la medicina e gli zombi si incontano, senza successo.
un'infermiera deve assistere una donna malata, ma la malattia ha cure sconosciute agli occidentali.
un bianco e nero cupo, un'ambiente difficile da governare, bisogna lasciarsi prendere dal flusso della storia.
e allora non c'è via di scampo, il film ti ha catturato.
buona (enigmatica) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo, in italiano
…En estos tiempos de miseria cinematográfica
dominados por la obviedad, la redundancia y el subrayado, revisar un film como Yo anduve con un zombi supone casi una experiencia purificadora.
L'eleganza è il pregio di Tourneur.
Inquietare senza mostrare, dosare suoni e luci. Creare una scenografia
solamente grazie a un'ombra sulla parete, sagome che dirigono lo sguardo dello
spettatore dove vuole il regista. E se la musica sembra non esserci il vento e
i tamburi voo-doo riempiono le nostre orecchie. Il dubbio rimane: la donna è
uno zombi o è solo malata? Decide lo spettatore a fine visione, il regista lo
fa diventare parte attiva del racconto. Ognuno giunge alla soluzione che reputa
giusta!
Tourneur accumula presagi (il discorso
iniziale sul male e il disfacimento, la polena di San Sebastiano) e predispone
lo spettatore alla sottile atmosfera di oppressione che avviluppa i
protagonisti: la zombi, prigioniera della morte in vita, la madre, che agì in
preda a un demone, il marito, che ucciderà all'unisono coi gesti del sacerdote
voodoo; e tutti gli altri, impotenti di fronte a potenze magiche soverchianti
(in cui si adombra anche una vendetta sociale: la religione dei neri punisce i
discendenti degli schiavisti). Piccolo cult.
L’orrore e la paura sono principalmente meri
stati di percezione di un pericolo, tanto maggiori quanto più questa minaccia è
ignota e inconoscibile. La morte, nel film di Tourneur, è in primo luogo
intravista nella malattia mentale, nello stato di trance della moglie del
piantatore che l’avvicina all’immagine di una defunta; e trova la sua
collocazione nei recessi più reconditi dell’esistenza, geografici e della
psiche.
Vudù, riti esoterici, stregoneria: l’isola è
innanzitutto un luogo di superstizioni primitive e antropologiche, dove lo
scongiurare la morte diviene, per assurdo, un lento appressarsi ad essa, un
connaturarsi e un camuffarsi con i suoi segni arcani (l’uomo chiamato a
sconfiggere il male, è un nero cadaverico dagli occhi sgranati).
Seguendo la lezione del Poe, l’orrore della
pellicola sta principalmente nell’atmosfera, nella cura degli ambienti, nelle
suggestioni visive e sonore; in quell’attesa al buio eterno permeata
d’inquietudine che assorbe a sé anche la storia d’amore dei due protagonisti.
Favoloso horror psicologico, girato divinamente
da un grande maestro del genere. In poco più di un'ora Jacques Tourneur riesce
a concentrare una storia esemplare (tratta dall'omonimo romanzo di Inez
Wallace), permeata di una malìa che avvolge lo spettatore dall'inizio alla
fine, e che tocca il suo apogeo in talune sorprendenti sequenze. Come quella,
indimenticabile, del percorso lungo i campi di canna da zucchero, disseminato
di feticci vodoo e terminante con un bivio, presidiato dall'inquietante figura
di un uomo nero dagli occhi vitrei sbarrati: in essa il montaggio perfettamente
cadenzato e il suono del fruscio delle piante e di una batteria che si ode in
lontananza contribuiscono a generare un'atmosfera a un tempo irresistibilmente
affascinante e inquietante.
Credenze, superstizioni, amore, odio si mescolano
per formare un quadro in cui suggestioni e sentimenti si compenetrano fino a
sfociare nella morte: quella eterna che annienta il morire lento e transeunte
della vita, secondo una rappresentazione che informa tutta la narrazione, nella
quale si oggettiva una sorta di "filosofia del ribaltamento": tutto
ciò che in apparenza è bello cela in realtà sofferenza e morte
("quest'acqua luminosa riesce a brillare grazie a milioni di corpi
morti"), compresa la nascita di un bambino inaugurata, secondo il rito
degli abitanti dell'isola, non come un evento fausto ma come una disgrazia.
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