a volte chi guarda un film, anche se non legge molto, può capire un po' di cose.
per esempio si può capire:
che "l'esercito più morale del mondo", così si glorificano da soli in Israele, è un esercito di merda come tutti gli altri, e probabilmente anche peggio;
che l'affermazione che la Palestina fosse un deserto inabitato da rendere vivo da parte dello stato israeliano è una delle bugie più grandi mai concepite da cervello umano;
che la speranza dei palestinesi che aspettano un aiuto dai paesi arabi è proprio un'ingenuità, allora come oggi;
che nel 1948 in Palestina non c'è stata una guerra, in realtà è stata una caccia al palestinese, da parte di efferati assassini di origine ebraica, per rubare le terre palestinesi e per ottenere una pulizia etnica che continua da allora tutti i giorni;
che mostrare un sadico assassino di origine ebraica è uno intollerabilmente antisemita, dicono, per questo in Israele vorrebbero che Netflix censurasse Farha.
oltre ai motivi sopra esposti ci sono altri motivi per vedere il film.
prima di tutto è una storia raccontata dalla parte degli sconfitti, vista con gli occhi di una ragazzina che aveva uno splendido futuro davanti, e dal 1948 avrà una misera vita in un campo profughi.
la protagonista Farha è bravissima a rendere la paura, la disperazione e l'impotenza, sua e di tutti.
insomma, non sarà un film perfetto, come dice qualcuno, ma allo stesso tempo è un film da non perdere.
buona (Farha) visione - Ismaele
Non riuscivo a togliermi dalla testa quella ragazza,
continuavo a pensare a come poteva sentirsi in questa piccola stanza oscura,
soprattutto perché ho paura dei luoghi stretti e bui. Nel corso degli anni,
queste storie, queste persone, le loro vite, si sono unite nella mia mente,
andando lentamente a formare la storia di Farha. Non volevo trattare Farha solo
come un numero, una dei 700.000 che furono costretti all’esilio. Volevo
concentrarmi sul suo viaggio personale a sui suoi sogni, passati dal combattere
per imparare, al combattere per sopravvivere. E’ una storia di amicizia,
aspirazioni, separazioni, formazione, sopravvivenza e liberazione di fronte
alla perdita.
…Se il contesto
storico è infatti ampiamente delineato, quello più squisitamente umano manca a
volte di profondità.
Darin J.
Sallam dirige con sicurezza, muovendosi con abilità nella
costrizione degli spazi chiusi in cui è ambientata l’ultima parte della
pellicola. La regista lavora con efficacia su luci e suoni, alternando momenti
più claustrofobici ad altri di introspezione, grazie al dualismo
prigione/rifugio su cui riesce a costruire una tensione che giova alla tenuta
complessiva del film. Discreta la prova del cast, nonostante qualche ingenuità
dovuta alla giovane protagonista Karam Taher e alla caratterizzazione non sempre attenta dei
personaggi.
Farha è un film che tratta in maniera sentita e autentica una
pagina terribile di storia recente, non riuscendo però a mantenere sempre una
sua coerenza narrativa interna. L’accostamento della dimensione più intima e
personale a quella collettiva palestinese, pur non essendo esente da scelte a
volte sbrigative e riduttive, restituisce una testimonianza forte e vibrante di
un evento che ha segnato un intero popolo.
“Farha”, la Nakba palestinese in un film e Israele
boicotta Netflix - Michele Giorgio
La campagna contro «Farha» è
cominciata ben prima del rilascio del film su Netflix. Gli israeliani, dai
ministri fino ai cittadini comuni, o meglio la maggior parte di essi, sono
furiosi contro la piattaforma statunitense perché ha reso disponibile al
pubblico mondiale un film che attraverso gli occhi di una ragazzina, racconta
di una strage avvenuta nel 1948, durante le fasi che portarono alla nascita
dello Stato di Israele, di una intera famiglia palestinese, inclusi bambini, da
parte di uomini di una milizia ebraica. «È pazzesco che Netflix abbia deciso di
trasmettere in streaming un film il cui unico scopo è di incitare contro i
soldati israeliani», ha tuonato il ministro delle finanze uscente Avigdor
Liberman. Analogo il giudizio del suo collega alla cultura, Hili Tropper: «quel
film si fonda su di un mucchio di bugie». Dopo l’inserimento di «Farha» su
Netflix, si è anche registrato in Israele un calo degli abbonamenti alla
piattaforma. Azioni che non hanno turbato più di tanto la regista del film, la
giordana Darin Sallam, che ripete di aver rappresentato una
vicenda vera, simile ad altre avvenute nel 1948 e che Israele vorrebbe tenere
nascoste.
Il film piace a molti, naturalmente di più ai
palestinesi che vi notano una accurata rappresentazione della
violenza subita dai loro nonni e parenti anziani quasi 75 anni
fa durante la Nakba, la
catastrofe, così come è chiamato l’esodo di centinaia di
migliaia di palestinesi dalla loro terra e la perdita di tutto ciò che avevano,
a cominciare dai loro villaggi – distrutti in gran parte dopo il conflitto – e
dalle loro case. L’elaborazione del trauma nazionale della
Nakba attraverso l’arte è una delle strade privilegiate che segue da un po’ di
tempo la folta schiera di giovani registe e registi palestinesi sbocciata negli
ultimi 10-15 anni. Un percorso che l’establishment israeliano
prova ad ostacolare, in particolare all’estero, perché getta un’ombra sulle
azioni e le strategie del movimento sionista e contraddice la narrazione
ufficiale della nascita dello Stato ebraico: brutali, violenti e intransigenti
furono solo gli arabi, gli israeliani non fecero altro che difendersi e
realizzare il «ritorno del popolo ebraico dopo duemila anni nella terra
promessa». L’esodo palestinese, secondo questa tesi, fu volontario, nessuno dei
profughi e degli sfollati fu costretto a scappare sotto la minaccia delle armi.
«Questa versione non può essere contraddetta
neanche da un singolo episodio. Il motivo è semplice: la Nakba per Israele non
è mai esistita anche se persino importanti storici israeliani ne hanno scritto
sulla base di documenti ufficiali», spiega al manifesto Jeff Halper,
antropologo israelo-americano autore di sei libri sulla questione palestinese.
«La Nakba non può essere insegnata o studiata nelle scuole – aggiunge Halper –
perché il suo riconoscimento metterebbe in discussione l’immagine luminosa che
la versione ufficiale ha dato di quanto è accaduto prima, durante e dopo il
1948. Anche il massacro di Deir Yassin (un
villaggio nei pressi di Gerusalemme, ndr) ampiamente documentato deve restare
chiuso in un cassetto». Di recente, ricorda l’antropologo, «ha generato
polemiche e condanne a ripetizione Tantura, un documentario (del regista
israeliano Alon Schwarz, ndr) che riferisce
con testimonianze dei protagonisti il massacro di decine di palestinesi
compiuto sempre nel 1948 da una brigata israeliana». Secondo Halper la comunità
internazionale e l’opinione pubblica occidentale accettano senza porsi
interrogativi la narrazione ufficiale israeliana perché «considerano necessario
tutto ciò che, inclusa la Nakba, ha favorito la creazione dello Stato di
Israele».
La campagna israeliana contro «Farha» nel frattempo va avanti. La trama del
film è pura fiction, scrivono sui social tanti israeliani, quelle scene,
aggiungono, non sono mai avvenute nella realtà. I palestinesi al contrario
difendono il film e insistono sul suo fondamento storico. Le atrocità del 1948, scrivono, non sono mai terminate. E
denunciano che in serie tv e film di produzione israeliana, presenti anche su
Netflix, i palestinesi sono sistematicamente rappresentati come un popolo
di violenti e terroristi.
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