Toni Servillo è da leone d'oro e da oscar insieme, di una bravura olimpica, al servizio di un grande film di Mario Martone.
quella che nel film chiamano famiglia allargata è praticamente un harem, Eduardo Scarpetta è un trombeur de femmes, che sanno convivere le une con le altre, solo che ci sono figli e figliastri.
Eduardo Scarpetta è un mostro di bravura, scrive e fa teatro popolare, amato da molti, meno da Peppino de Filippo, con tutte le ragioni del mondo, e anche più.
Eduardo de Filippo è invece devoto al padre/zio e succhia la capacità di scrivere teatro, e di stare sul palcoscenico.
la sceneggiatura è perfetta (come gli attori) e D'Annunzio è un imbroglione, e molto antipatico, per non dire stronzo, lo vediamo in una scena che fa pisciare dalle risate.
Eduardo Scarpetta è un po' Chaplin, un po' Totò, sempre sopra le righe, umiltà zero, cantore dell'anima popolare napoletana, peccato per noi che cinema e televisione non si siano incrociati con lui, e per noi Eduardo Scarpetta sarà per sempre Toni Servillo, il dio del cinema lo protegga.
non perdetevi questo gran film, non ve ne pentirete - Ismaele
…Si vola alto, in Qui rido io. Ma lo si fa senza
snobismo, senza spocchia. Con un gusto e un piacere del racconto che respira
libero in ogni scena. E con una gioia di fare cinema sul teatro, e nel teatro e
per il teatro, che fa bene agli occhi e al cuore. Sino a un finale di grande cinema, che è bene non
rivelare, ma che rivendica al cinema la capacità di giocare con le maschere e
con i miti, e di rendere eterno ciò che a teatro è inevitabilmente effimero e
precario, esattamente come nella vita.
…Come dice Benedetto Croce all’attonito
Scarpetta, quando gli annuncia che lo difenderà dalle accuse di D’Annunzio in
tribunale, “Ma come, voi che ridete di tutto non sapete ridere sul tempo che
passa?”. Alla fine il cuore del film è questo. Centrato sulla figura unica di
questo capocomico arrogante, padre-padrone, pronto a rubare la scena a figli e
figliastri fino all’ultimo istante, anche a costo di umiliarli, “Qui rido io”
ci ricorda che lo spettacolo è ancora l’arma migliore per combattere l’angoscia
del tempo e della morte. Che poi lo faccia prendendo a prestito le forme e i
codici del teatro per trasformarli in cinema, non fa che accrescerne la
grandezza. Altro che “semplice biopic”, come abbiamo sentito dire in giro.
…La Napoli di Scarpetta è per Martone
l'emblema di un'Italia più vasta, il repertorio di tutte le emozioni del mondo
e la lente attraverso cui analizzare a fondo il rapporto tra il singolo e la
società, tra genitori e figli. La parola canta e le canzoni declamano dentro
uno spettacolo che celebra Napoli, il suo splendore e le sue miserie, la sua
umanità irriducibile e barocca. Per una tale impresa serviva un attore-mostro,
una risata enorme, rabelesiana. Toni Servillo vive da sempre nel mondo di
Scarpetta e di De Filippo, è lo specchio di quel mondo, una città aperta. Come
Napoli è un teatro en plein air, dove corpo e lingua vanno
insieme. Dietro al trucco interpreta un predatore sessuale che possiede e
disprezza le donne, un avventuriero prima che un padre e un marito. Sul
palcoscenico è 'Felice', un personaggio contenitore fuori dal tempo, perché
Scarpetta non concettualizzava, era un pittore di emozioni non un architetto di
riflessioni.
Martone osserva il quadro d'epoca, raccoglie le prove e le lascia interagire,
dando 'na voce al segreto di Eduardo De Filippo, che viveva
la sua nascita come una vergogna, e alla rassegnazione muta delle donne,
perennemente ingravidate, che troveranno domani la forza di Filumena Marturano.
La 'prostituta' che sovverte i codici borghesi e forma una famiglia dove il
principio di paternità legittima perde il suo significato.
A ossessionare lo Scarpetta di Martone è il desiderio di essere riconosciuto,
la volontà che "Il figlio di Iorio", parodia della tragedia pastorale
di D'Annunzio difesa in tribunale da Benedetto Croce, perito di parte, venisse
'riconosciuta'. Disattesa resta la frustrazione legittima dei figli
illegittimi, invitati a partecipare soltanto a un apprendistato artistico e
professionale.
Frammentato e intimo, eccessivo e ludico, il film tradisce più una sconfitta
che una conquista, ribadendo una relazione padre-figlio esclusivamente
scenica. Qui rido io è la storia tragicomica di un
capocomico-patriarca e di una compagnia di figli-nipoti, che a turno ripetono
la parte: "Scarpetta m'è pate a me".
Nessun commento:
Posta un commento